Lo scontro sui contributi EPCR mette nuovamente in luce antichi problemi e vecchi modi di fare. Che andrebbero dimenticati
La verità di base è che federazione e club non si parlano. Hanno una comunicazione limitata alle questioni burocratico-amministrative, dove si va avanti per regolamenti e prassi, ma poi non molto di più, e quel di più quando c’è viene generalmente riletto dalle due parti sotto la luce di un mood traducibile in “chissà come mi vuole fregare questa volta”. E’ una comunicazione sospettosa, che non può che essere foriera di problemi.
Al di qua delle Alpi chi ha in mano le leve del comando e i cordoni della borsa è la FIR, normale che verso di essa vadano gli strali – sia quelli fondati che quelli dettati solo dal furore ideologico – di società e appassionati. E’ un bersaglio a volte azzeccato, altre volte fin troppo facile. Perché non è che club e società siano esenti da colpe e responsabilità.
Nei giorni scorsi il presidente del Rovigo Zambelli ha fatto sapere che i 340mila euro di contributi federali complessivi previsti per le partecipanti alla Qualifying Cup non sono ancora arrivati e chissà se e quando arriveranno. A stretto giro arriva la risposta del presidente FIR Gavazzi, che non finirebbe in un manuale di diplomazia: “Non mi pare che la Fir abbia stabilito con nessuna società le modalità dei contributi – ha detto il numero uno del rugby italiano– Non mi risulta che finora siano state fatte riunioni con le società d’Eccellenza per fissare cifre del contributo e modalità d’erogazione. Se dovessi rimanere a fare il presidente della Fir i contributi ai club di Eccellenza dovrebbero essere rivisti dato che i disastrosi risultati non giustificano una tale differenza fra quando versato alle quattro squadre che partecipano e alle sei escluse. I soldi andrebbero legati ai risultati”. Perché oltre a quei 340mila euro ci sono anche i 180mila che si dividono le altre sei squadre di Eccellenza che le coppe europee non le fanno.
Gavazzi sbaglia nei modi ma non solo: quei soldi arrivano infatti dall’EPCR e sono comunque destinati ai club. La FIR può decidere come distribuirli, ma non può né tenerli né utilizzarli per altro, anche se immaginiamo che in un momento di difficoltà economiche avere quel mezzo milione di euro in più in cassa fa sicuramente comodo.
Che i risultati conquistati sui campi continentali dai nostri club siano ampiamente negativi è purtroppo una non-notizia da diversi anni: c’è chi ci prova, chi a volte nemmeno quello, ma alla fine il risultato è praticamente sempre lo stesso. D’altronde se faticano Zebre e Benetton perché non dovrebbero farlo il Mogliano, il Calvisano o il Rovigo, tanto per fare dei nomi? Certo a queste ultime squadre si chiede quantomeno di non perdere contro spagnoli e russi.
Qui infatti è dove sbagliano i club, perché battere cassa dopo certi risultati e certe prestazioni espone il fianco alle polemiche e gli strali di una presidenza FIR che forse oggi è poco diplomatica ma che quando parla di legare contributi a risultati non dice certo una scempiaggine. E magari qualche anno fa le risposte del numero uno FIR non finivano sui giornali solo perché in pubblico venivano usati altri toni. Ma la sostanza…
D’altra parte non può essere Gavazzi a dire “Non mi risulta che finora siano state fatte riunioni con le società d’Eccellenza per fissare cifre del contributo e modalità d’erogazione” perché questa è una cosa a cui la federazione dovrebbe pensare in maniera continuativa.
Va pure ricordato che in passato certe uscite estremamente polemiche dei presidenti dei club contro la federazione servivano a smuovere il tavolo del rapporto bilaterale, non quello complessivo. Il patron X della società Y attaccava FIR e presidente Z e dopo qualche tempo si trovava un compromesso che magari portava sui campi della suddetta società qualche raduno di una nazionale minore, in alcune occasioni anche una gara di quest’ultima e così via. Fa un po’ brutto dirlo, ma se vogliamo esemplificare al massimo bisognerebbe dire che spesso le società negli ultimi 10-15 anni hanno avuto con la federazione un rapporto simile a quello di chi va a chiedere la paghetta, spesso accontentandosi di poco. E, soprattutto, senza mai ridiscutere le fondamenta di una relazione che presenta parecchie spine.
Dice: però i club sono in difficoltà, quei soldi spesso servono anche per la mera sopravvivenza e il coltello dalla parte del manico ce l’ha la federazione. Tutto vero, però bisogna uscire da questa dicotomia assolutamente improduttiva: cosa stanno aspettando le società a ridare vita a una Lega che le rappresenti? Qui lo abbiamo scritto fino allo sfinimento, senza un’associazione dei club non solo tra qualche anno saremo ancora qui a scrivere e a parlare delle stesse identiche cose, ma anche la stessa FIR si troverà ad operare senza uno stimolo al cambiamento molto potente. Sarà un caso, ma nel board dell’EPCR oltre alle federazioni delle squadre che prendono parte alle coppe c’è anche la LNR, la Premiership Rugby (PRL) e il Pro Rugby Wales, ovvero le leghe di club di quei tre movimenti. No, non è un caso.
Certo convergere in un’associazione vuol dire rinunciare a un po’ del proprio spazio di autonomia, vorrebbe dire smettere di pensare solo al proprio angusto orticello (non ci pare che le folle facciano le code per andare a vedere le gare di Eccellenza) ma i benefici sul medio-lungo termine sarebbero evidenti per tutti. A meno che di non voler continuare nel tirare la giacchetta al presidente FIR nella speranza di ottenere un po’ di attenzione, ma a noi non pare un modo di relazionarsi che possa portare a qualcosa di diverso da quello che c’è oggi.
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