Sabato scorso a Roma una gara attesissima ma poco probante. A Firenze invece si cambia spartito: iniziano i nostri Test Match
Non sarebbe stata probante una quasi impossibile vittoria figuriamoci una sconfitta praticamente certa. Sgombriamo subito il campo da ogni dubbio: una partita dell’Italia 2016 contro gli All Blacks 2016 non può diventare un termine di paragone in nessun modo. Punto. Possiamo prendere qualche nota, trovare degli spunti, analizzare tutti gli aspetti che vogliamo, ma che senso profondo può darci una partita giocata contro dei marziani? Perché quello oggi sono i tuttineri, gli unici marziani veri di Ovalia. Sì, anche nella loro versione B scesa in campo sabato all’Olimpico. Perché hai voglia di chiamarle seconde linee, pur di avere giocatori come Cruden, Cane, McKenzie, Scott Barrett e compagnia bella noi ci stracceremmo le vesti. Giocatori che troverebbero posto praticamente fisso anche in tutte le altre più forti nazionali del mondo.
Un meccanismo ben oliato e quasi perfetto che funziona a meraviglia a prescindere dagli attori che lo mettono in scena, questo sono gli All Blacks. Lo diciamo da tempo. Una squadra che dal 2013 ad oggi ha giocato 52 partite pareggiandone 2, perdendone 3 e vincendo tutte le altre 47. Non più tardi di 10 giorni fa l’Irlanda per superare la Nuova Zelanda ha dovuto giocare la partita della vita, meritando quella vittoria ma pure a Chicago i campioni del mondo hanno sfiorato il colpaccio riportandosi in carreggiata dopo essere andati sotto quasi di 20 punti contro una formazione fortissima. Dobbiamo ricordare lo score azzurro nello stesso lasso di tempo? No, ecco. Davvero speravate di vedere qualcosa di molto diverso? L’asfaltata era preventivabile, l’asfaltata è arrivata.
Dice: sì, va bene, però la partita di sabato è stato molto brutta, quasi noiosa, e l’Italia ha giocato male. Tutto vero. Parte del pubblico avrebbe voluto vedere una gara più “garibaldina” dei nostri, ma crediamo che in quel caso sarebbe finita pure peggio. Ci sono cose assolutamente da rivedere, difesa e placcaggi in primis.
Il nostro XV titolare dell’Olimpico poi è di quelli che fin dal suo annuncio ha suscitato un mix di stupore e perplessità. Non che abbiamo lasciato a riposo un Dan Carter o un Maro Itoje, ma sabato a Firenze vedremo probabilmente una formazione più vicina a quella che nelle nostre teste è definibile come “titolare”. Perché il 19 novembre giocheremo contro il Sudafrica, squadra fortissima e dai valori tecnici sicuramente superiori ai nostri, ma alle prese con diversi problemi e in crisi di risultati: una montagna molto alta e impervia da scalare, ma non impossibile.
Quello di Conor O’Shea è un lavoro lungo, bisogna essere pazienti. Il tecnico irlandese deve ricostruire un gruppo dopo due anni disastrosi, lo deve rinsaldare nella testa e rimpolpare dopo diversi addii e abbandoni, che perdere gente come Mauro Bergamasco, Castro o Andrea Masi per noi è un bel problema sia tecnico che d’esperienza. E O’Shea è in carica da maggio, non dimentichiamolo. Mettiamoci pure che i nostri club non stanno vivendo una stagione da incorniciare e questo di sicuro non aiuta.
Contro il Sudafrica possiamo vincere? Difficilissimo, ma a differenza della gara con gli All Blacks quella con gli Springboks è una partita probante sotto ogni aspetto, quale che sia il risultato finale. Che si perda o che si vinca anche il “come” sarà importante e dirà tante cose di quello che siamo. Perché sabato giochiamo contro dei terrestri, non con dei marziani.
Il Grillotalpa
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