La vera sfida della Nazionale? Si gioca nelle franchigie e fuori dal campo

L’alto livello esige un professionismo continuo e a 360°. Ma a Parma viaggia a targhe alterne (visto e spedizione permettendo)…

o'shea catt nazionale italia

ph. Sebastiano Pessina

L’avventura di Conor O’Shea e del nuovo staff tecnico della nazionale azzurra è iniziata da qualche mese e dopo il tour conoscitivo di giugno, la prima sessione di esami entra ora nel vivo con il secondo e (ancor più) con il terzo impegno di novembre, rispettivamente contro Sudafrica e Tonga. Una delle parole chiave che abbiamo imparato a conoscere del vocabolario O’Shea-Rugby (accanto ad altre come Fitness) è “comunicazione”, declinata poi nelle più specifiche forme di “coordinamento, condivisione tecnica” e via dicendo. Il viaggio dell’alto livello italiano, che ha nelle Accademie, nell’Under 20 e nelle franchigie alcune delle sue tappe fondamentali, deve proseguire condividendo alcuni principi di lavoro comuni, fondamentali per creare un circolo virtuoso formativo. E così, Guidi e Goosen seguono la Nazionale in tour e in ritiro, Aboud segue i giovani Accademici in orbita permit player, l’Accademia si allena con le Zebre e via dicendo.

 

La fondamentale questione del coordinamento e del riflesso tra il vertice della piramide e i piani più bassi (soprattutto nei confronti delle franchigie, gradino subito precedente) è importante che si verifichi in ogni aspetto della gestione del gioco. Dentro il campo, per esempio lo specifico lavoro sulla difesa fatto a giugno Oltreoceano, ma anche fuori per quanto riguarda la capacità di fornire all’atleta un ambiente di alto livello nel quale lavorare giorno dopo giorno e al di là delle parentesi in Nazionale. E qui arrivano i veri problemi e, di conseguenza, le vere sfide.

 

 

Prendiamo per esempio le Zebre, dove la situazione di stallo fuori dal campo sembra non evolvere. Dopo gli acquisti non voluti dallo staff tecnico e il caso-Manici che ad inizio stagione ha messo a confronto giocatori e dirigenza, il mese di ottobre ha fatto registrare un nuovo caso di ritardo (ancora non risolto) nel pagamento degli stipendi. Della nuova club house in legno che avrebbe dovuto rimpiazzare la tensostruttura ancora non si vedono tracce, così come del bilancio 2015/16, il primo dalla “privatizzazione” che lo scorso anno ha portato nuovi soci. E se del punto di vista puramente finanziario era preventivabile che la franchigia non potesse certo staccarsi dal rubinetto federale, senza il quale non potrebbe sopravvivere, la nuova gestione non sembra aver fino ad ora portato valore aggiunto nemmeno da altri punti di vista, tra rimescolamenti ai vertici (dimissioni di un Presidente e due consiglieri), sponsor che latitano e (almeno dall’esterno) un senso di scollamento tra parte societaria e tecnica.

 

Le parole di Guidi del post Zebre-Connacht (quella sospesa di Pro12) risuonano ancora: “Ci sono cose che dobbiamo imparare a fare. Così non si può competere, altrimenti, con tutto il rispetto e parlo della mia società, siamo il Cecina. E il Cecina a questi livelli non può stare. Agli sforzi dei ragazzi bisogna accompagnare altri sforzi”. Tra giocatori non disponibili in trasferta per problemi nei visti, altri che arrivano con quello turistico e che non possono allenarsi, trasferte ad Edimburgo dove non arriva il materiale medico, la sensazione è che siano ancora molti i passi da fare per creare un ambiente veramente professionistico, che giustifichi i quattro milioni di Euro di contributo federale. Ma soprattutto, che dia una valida e credibile prospettiva professionale ai giovani che escono dall’Accademia e in generale ai giocatori che devono rinnovare (Biagi e Canna a fine stagione, per esempio).

 

Sia chiaro, il Pro12 non è una competiziome seria. È serissima. Può formare giocatori in grado di vincere Coppe Europee e battere gli All Blacks. A patto però che vada affrontato con la dovuta serietà e competenza in ogni suo aspetto. Non si possono esigere prestazioni in campo da professionista senza dare al giocatore un contesto da professionista in cui crescere e costruire quelle prestazioni: e non bastano i raduni azzurri con droni e GPS, perché è nel quotidiano lavoro con le franchigie che ciò deve accadere. Lì, nel gradino più sotto della Nazionale, si gioca la partita decisiva del prossimo quadriennio e del nuovo corso tecnico. Altrimenti possiamo chiamare O’Shea e scegliere come assistenti Hansen e Schmidt, ma le cose non cambierebbero.

 

di Roberto Avesani

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