Irlanda e Scozia: sei cose che abbiamo imparato a novembre

Cosa c’è dietro il buonissimo momento di verdi e Highlanders

scozia irlanda

ph. Action Images

DUBLINO  L’Irlanda ha appena chiuso un 2016 da sogno, nel quale è tornata fra le primissime squadre del ranking mondiale e battuto gli All Blacks per la prima volta. Visto che fra meno di tre mesi i boys in green saranno a Roma, mettiamo in fila le cose emerse dai test match di novembre, compreso un possibile punto debole.

 

1) Non è una squadra forte. È una squadra forte e in crescita. L’ultima squadra dell’emisfero a battere nello stesso anno le tre potenze di quello sud è stata l’Inghilterra nel 2003, l’anno in cui ha vinto la Coppa del Mondo. Non è un caso che sia stata l’Irlanda a farlo. Pochi giorni fa Conor O’Shea ha commentato così la vittoria sugli All Blacks: “Non è stato un successo nel mezzo di niente”. Le partite seguenti hanno aiutato a spiegare questa frase.

 

2) Profondità La si può anche chiamare ampiezza della rosa o abilità a reclutare. Insomma ci siamo capiti. La formazione che ha battuto gli All Blacks non ha schierato per infortunio Peter O’Mahony e Sean O’Brien, due dei giocatori migliori e due leader. In panchina aveva la seconda riserva del mediano di apertura Joey Carbery (la prima è Jackson). Contro l’Australia ancora peggio: infortunati Sexton, O’Mahony e O’Brien, prima della fine del primo tempo i verdi hanno perso anche l’estremo Rob Kearney e l’ala Trimble. Il sostituto di Sean O’Brien, Josh Van Der Flier, è stato eletto migliore in campo. L’Irlanda insomma adesso vince spesso perché ha un bel po’ di riserve di qualità. In particolare in terza linea, che probabilmente adesso è la migliore del pianeta.

 

3) Versatilità dei giocatori Contro gli Aussies il mediano di apertura Joey Carbery ha giocato 50 minuti come estremo e il mediano di mischia Kieran Marmion ha giocato un tempo come ala. Entrambi hanno fatto benissimo e sono stati protagonisti di episodi decisivi. Anche Keith Earls può ricoprire molti ruoli indifferentemente. Avere così tanti giocatori versatili è oro puro in uno sport nel quale gli infortuni sono sempre più frequenti.

 

4) I falli, non li fanno Quattro falli commessi contro gli All Blacks a Chicago, quattro contro gli All Blacks a Dublino, tre contro l’Australia. Joe Schmidt insiste tantissimo su questo punto, con risultati evidenti. Nonostante questa grandissima disciplina, i punti di incontro (uno dei momenti nei quali i falli sono più frequenti) sono uno dei punti di forza della squadra.

 

5) Garry Ringrose In Irlanda, e non solo, ormai molti lo paragonano a Brian O’Driscoll. Basterebbe questo a far capire il talento e le potenzialità di questo giovane centro. Joe Schmidt e tutta la IRFU lo hanno gestito con grandissima attenzione sia tecnicamente che dal punto di vista mediatico. Contro l’Australia, al secondo cap da titolare, è esploso. Una splendida meta e tantissima sostanza, anche in difesa. Oltretutto vedendolo si ha la sensazione che possa ancora migliorare tantissimo.

 

6) Con o senza Sexton c’è una bella differenza Questo è uno degli anelli deboli della squadra. Jonathan Sexton è un giocatore capace di dare alla squadra grande profondità avendo (fra le cose) un piede fatato, capace di far guadagnare alla squadra decine di metri con ogni calcio. Questo rende la squadra imprevedibile in attacco. Contro gli All Blacks a Dublino Sexton è uscito al 18′, da quel momento l’attacco è stato molto più prevedibile. Paddy Jackson non aggiunge la stessa qualità al gioco al piede, Madigan è stato escluso dalla nazionale da quando è andato in Francia e Carbery è molto giovane. Questo fatto è un problema anche per un altro motivo: Sexton si infortuna spesso. Infatti nella conferenza stampa post-Australia Joe Schmidt ha detto chiaro e tondo che non deve giocare fino al 6 Nazioni (“dovrebbe prendere una pausa dal gioco per un po’”). Chissà come sono contenti dalle parti dell’RDS, visto che nelle prossime sette settimane sono in programma quattro partite di Champions cup.

 

di Damiano Vezzosi

 

 

 

EDIMBURGO – La Scozia si coccola i risultati del suo autunno, due successi convincenti contro Argentina e Georgia e una sconfitta arrivata negli ultimi minuti contro l’Australia che, paradossalmente, cancella il ricordo di Twickenham, perché la prestazione messa in campo da Laidlaw e compagni è stata convincente e, soprattutto, confermata nelle uscite successive.

Ci sono molti spunti per analizzare il novembre dei Dark Blues; noi abbiamo scelto di farlo prendendo spunto dalle sei lettere che formano il nome del Paese, anche per celebrare degnamente un mese positivo che si chiude con St Andrew’s Day.

 

S per settima, come la posizione del ranking World Rugby in cui la Scozia si proietta verso il prossimo Sei Nazioni. La vittoria sui Pumas, arrivata al minuto 83 con un piazzato di capitan Laidlaw – ma al termine di una prova eccellente, sotto il profilo del carattere – ha consentito ai Dark Blues di superare la Seleccion Argentina e la Francia, e il netto successo sulla Georgia a Kilmarnock ha confermato la posizione. Ovviamente, ci si aspetta che nel prossimo Sei Nazioni la Scozia possa anche migliorarsi, e le premesse ci sono davvero tutte.

 

C come Cotter, Vern Cotter. L’head coach neozelandese, arrivato alla guida dei Dark Blues nel giugno 2014, un anno dopo aver trovato l’accordo con la Scottish Rugby per voler rispettare fino in fondo il suo contratto con l’ASM Clermont Auvergne, ha raccolto sabato scorso il sedicesimo successo su trentuno gare finora giocate. L’era-Cotter, che finirà tra cinque gare, al termine del prossimo Sei Nazioni, ha avuto alti e bassi ma è innegabile che la squadra, nel contesto, sia cresciuta esponenzialmente e nelle ultime uscite abbia anche dimostrato di saper soffrire, di saper rimanere concentrata anche quando messa sotto pressione e di essere diventata “affidabile” quando chiamata, come contro la Georgia, ad imporre il proprio gioco.

 

O come obiettivo. Gregor Townsend prenderà la guida del gruppo in giugno, ma prima di allora ci sono ancora cinque gare da giocare e, possibilmente, cercare di vincere. Tutte, credendoci fino in fondo, anche sapendo che andare a Londra e Parigi a vincere sarà dura, ma non impossibile. Iniziare a porsi come obiettivo le gare casalinghe, darebbe già un alibi per eventuali sconfitte “on the road”, alibi che la Scozia, per il suo benessere psicologico, non deve avere. I Dark Blues devono scendere in campo sempre per vincere, ma devono, soprattutto, crederci. La vittoria sui Lelos, in una gara potenzialmente molto difficile, ha confermato che Laidlaw e compagni possono gestire la pressione sulle loro spalle. Adesso ci si aspetta un ulteriore passo in avanti verso la definitiva consacrazione, con giocatori come Hogg, Russell, Laidlaw e i giovani Gray, Fagerson e Watson, solo per citarne alcuni, che danno il giusto mix alla squadra.

 

Z come zero, i successi raccolti nel Sei Nazioni 2015 dopo aver ‘illuso’ tutti nell’autunno 2014. Dopo due anni, la Scozia si trova di nuovo di fronte alla stessa domanda: riuscirà a dare continuità? Riuscirà a giocare un Sei Nazioni finalmente da protagonista? Dopo quel Torneo, la Scozia è solo cresciuta, facendo bene alla RWC2015, ripetendosi al Sei Nazioni 2016, con due successi (quello storico sulla Francia e quello di Roma contro l’Italia) e tre gare perse, ma in cui ha quasi chiuso il gap con l’Inghilterra (che ha chiuso il Torneo prendendosi il Grand Slam). L’edizione 2017, contando anche la rivoluzione nel punteggio annunciata da poco, dev’essere quella della consacrazione per questo gruppo, che se riuscirà a diventare ancora più forte psicologicamente, ha davvero le carte in regola per mettere in difficoltà chiunque.

 

I per iniziativa, uno dei punti di forza della Scozia. Quando la Scozia è riuscita a tenere l’ovale in possesso, ha sempre messo in difficoltà chiunque, nonostante qualche errore di handling, mentre in fase difensiva i Dark Blues hanno fatto vedere buone cose, ma concesso troppe punizioni. La Scozia non è perfetta, ci sono ancora aspetti su cui lavorare ma la strada intrapresa è quella giusta.

 

A come autunno, una stagione che, negli ultimi tre anni, ha regalato soddisfazioni e, come detto, anche illuso un po’ tutti su possibili successi futuri – leggasi, ancora una volta, il Sei Nazioni, che per una Home Nations che non lo vince dal 1999  rischia di diventare una specie di ‘ossessione’. Quello del 2016, comunque, è stato un altro autunno che ha prodotto buoni frutti. Vedremo se quanto raccolto in novembre sarà ancora buono in febbraio; la nuova struttura coi punti di bonus potrà fare la differenza, tutti da queste parti sperano in positivo.

 

Di Matteo Mangiarotti

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