Il Sei Nazioni che cambia: un passo inevitabile nella nuova era di Ovalia

Il torneo più antico tenta di voltare pagina. Senza dietrologie e messaggi subliminali

inghilterra sei nazioni

ph. Gonzalo Fuentes/Action Images

Tanto tuonò che alla fine piovve. Più di qualcuno forse si aspettava deboli e graduali rovesci prima dell’acquazzone finale, ma la scelta del Board del Sei Nazioni è stata differente con un’autentica e improvvisa bomba d’acqua: l’edizione 2017 del torneo più antico di Ovalia sperimenterà il moderno sistema di punteggio. Al termine dell competizione si discuterà se mantenere o meno l’importante modifica. E siamo pronti a scommettere che così succederà.

 

Il rugby negli ultimi anni ha conosciuto momenti di fortissimi cambiamenti, dentro e fuori dal campo. Tra modifiche al regolamento volte a favorire la spettacolarizzazione, allargamento dei confini tradizionali e storici ritorni olimpici, la sensazione è che ormai si sia definitivamente entrati in una nuova epoca ovale. Fatta di telecamere e replay, giocatori e arbitri microfonati, stagioni internazionali infinite e basata su un rugby sempre più veloce e fisico. Poteva in un simile contesto il torneo più antico di uno degli sport per tradizione più “chiusi” non adeguare il proprio sistema di punteggio, o quantomeno non fare un tentativo? Probabilmente no.

 

Ora, appare francamente campata per aria l’ipotesi che il Board abbia voluto dare (anche) un altro tipo di messaggio, del tipo: possiamo cambiare il punteggio dal giorno alla notte e soprattutto a due mesi dal kickoff, figuratevi se non possiamo introdurre un sistema di promozione e retrocessione. La decisione di modificare il sistema punti riguarda solo ed esclusivamente ciò che accade in campo, ovvero dove i vari Board di Ovalia vogliono con sempre maggior forza una ed una sola cosa: la spettacolarizzazione. “Siamo convinti di aver fatto la scelta giusta per tutti: tifosi, squadre e broadcasters” (Pat Whelan, Chairman del Sei Nazioni) – “Siamo consapevoli che dovevamo incoraggiare le squadre che cercano di segnare mete e giocare un rugby di attacco” (John Feehan, Chief Executive del Sei Nazioni). Del resto, qualunque modifica alle regole di gioco introdotta in tempi recenti è andata in questa direzione, così come le dichiarazioni di chi quelle modifiche le ha pensate e poi pubblicamente presentate. Insomma, nessuna dietrologia e solo il desiderio di incoraggiare le squadre ad attaccare maggiormente o premiare quelle che decidono di farlo.

 

Dal punto di vista puramente sportivo poi, è innegabile che il moderno punteggio restituirà a fine Sei Nazioni una classifica che riflette maggiormente i reali rapporti di forza tra le squadre: perdere 20-21 (Scozia-Italia, 2014) non è esattamente come perdere 11-52 (Italia-Inghilterra, 2014), così come non lo è uscire sconfitti ma difendere alla morte per non concedere il bonus difensivo. Per chi ha scelto di cambiare, il sistema di punteggio tradizionale rappresentava un ultimo (e forse romantico, aggiungiamo noi) baluardo di un rugby ormai superato. Inevitabile prima o poi si tentasse la rivoluzione. Senza dimenticare che gli aspetti del gioco da salvaguardare sono ben altre.

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