Il Galles sempre in crisi ma (quasi) sempre vincente, l’Irlanda sulle ali dell’entusiasmo e la miglior Scozia delle ultime edizioni
Il Sei Nazioni 2017 è ormai dietro l’angolo. L’appuntamento è per sabato pomeriggio al BT Murrayfield di Edimburgo, quando Scozia e Irlanda daranno ufficialmente il via al torneo più antico e prestigioso di Ovalia. Dopo le tante cose scritte sugli Azzurri di coach O’Shea e capitan parisse, è arrivato il momento di buttare l’occhio in casa delle nostre cinque avversarie. Iniziamo con Irlanda, Scozia e Galles.
Qui Galles: dal 2013 in crisi di gioco ma alla fine…
Sarà il primo avversario di fronte a Parisse e compagni, nell’esordio di domenica allo stadio Olimpico di Roma, e vista la situazione attuale – ai nastri di partenza – parte da terzo incomodo con velleità di inserirsi nel discorso per la vittoria finale, in quello che sembra un duello annunciato fra Inghilterra e Irlanda: il Galles è pronto a fare il suo esordio nel Sei Nazioni 2017. Dopo 69 caps da capitano, nessuno come lui nella storia gallese, Sam Warburton ha deciso di lasciare i gradi di leader ad Alun Wyn Jones. Non l’unica novità, perché in panchina come head coach dei Dragoni non siederà Warren Gatland, impegnato nel preparare da capo allenatore il Tour dei Lions in Nuova Zelanda, ma bensì l’assistente Rob Howley.
Le scelte del tecnico sono ricadute su un gruppo di giocatori piuttosto esperto e rodato con atleti come Scott Baldwin, Justin Tipuric, Dan Biggar, Jonathan Davies, Jamie Roberts e Leigh Halfpenny a cui si aggiungono però ben sette uncapped: Olly Cracknell, Thomas Young, Owen Williams, Ashton Hewitt, Steffan Evans, Rory Thornton e Aled Davies. Charteris e Faletau non saranno presenti all’esordio contro l’Italia, ma dovrebbero recuperare durante il torneo. A novembre la squadra gallese ha giocato quattro Test Match subendo dapprima una bruciante sconfitta per 8-32 contro l’Australia e poi trovando tre vittorie, non del tutto convincenti, rispettivamente contro Argentina (24-20), Giappone (33-30) e un Sudafrica ai minimi storici (27-13). Dopo il secondo posto del 2016, con l’unica sconfitta (risicata) che è arrivata contro l’Inghilterra poi vincitrice con Grande Slam, il calendario sorride ai Dragoni che davanti al pubblico amico del Millennium Stadium riceveranno Inghilterra e Irlanda.
Dal punto di vista del gioco, molto si è detto sul cosiddetto Warrenball game, che sembra aver pagato i maggiori dividendi tra il 2012 e il 2013 con i due titoli nel Sei Nazioni e mettiamoci pure il tour Lions in Australia. Molto si è detto anche dei suoi principali interpreti, i vari North, Roberts, Davies e Warburton, non più ai livelli di qualche anno fa e per alcuni fuori giri per il tipo di gioco proposto. Molto si è detto della mancanza di un piano B in grado di aggirare difese che ormai sono abituate a centri ed ali in formato terza linea. Ma i numeri non si smentiscono: negli ultimi due anni pareggio con l’Irlanda e sconfitta sotto break con l’Inghilterra (2016) e sconfitta sotto break con l’Inghilterra (2015). Per il resto, solo vittorie. D’altronde, seconde e terze linee sono di assoluto livello: touche e ruck, più che la mischia chiusa, possono diventare un punto di forza con giocatori come Alun Wyn Jones, Justin Tipuric e lo stesso Sam Warburton. E’ chiaro però che ci si attende molto dai trequarti, dove ci saranno anche la freschezza di Gareth Davies e dei tre Williams a dare imprevidibilità ad una manovra talvolta troppo verticale. La cerniera Webb-Biggar dovrebbe essere quella incaricata di gestire e scatenare le corse di Leigh Halfpenny e compagni.
Qui Irlanda: entusiasmo e una nuova “Golden generation”
DUBLINO – “L’obiettivo dell’Irlanda in questo Sei Nazioni è arrivare nelle prime due, anche se mi aspetto un torneo molto equilibrato”. Joe Schmidt ha alzato l’asticella dei verdi di un gradino rispetto alla “metà superiore della classifica” che aveva indicato 12 mesi fa. D’altra parte la storica vittoria sulla Nuova Zelanda dello scorso novembre e in generale quello splendido mese, hanno fatto crescere, oltre alle aspettative dei tifosi, la consapevolezza tecnica del gruppo. I biglietti per le due partite interne sono stati polverizzati in pochi minuti, soprattutto quelli per il match con l’Inghilterra del 18 marzo, ultima partita in assoluto del torneo. In molti da queste parti – ma non solo – pensano che proprio quella partita tra Irlanda e Inghilterra potrebbe essere quella che deciderà la vincitrice del torneo, con i bianchi della rosa che arriveranno a Dublino con la possibilità di fare il Grande Slam per il secondo anno consecutivo. L’Irlanda dunque vuole arrivare a quella partita in condizione da provare a vincere il torneo. Molti fattori autorizzano questo ottimismo ma qualcuno invita alla prudenza. Anche se in Irlanda nessuno vuole vedere l’Inghilterra alzare il trofeo il 18 marzo a Dublino.
L’entusiasmo è dato dalla grande quantità di giovani talenti che stanno arrivando alla nazionale, così tanti che c’è chi parla di nuova “Golden generation” dopo quella di O’Driscoll, O’Gara e O’Connell. La lista di chi si è affacciato alla nazionale da meno di due stagioni è impressionante: Gary Ringrose, Josh Van Der Flyer, Luke McGrath, i fratelli Rory e Niall Scannell, Jack Conan, Tadhg Furlong, James Tracy, CJ Stander, John Ryan, Billy Holland, Dan Leavy. Senza dimenticare Joey Carbery (fuori perché operato alla caviglia). Non solo, ma altri come Rory O’Loughlin e Adam Byrne premono per entrare. Infine una menzione per Peter O’Mahony: non è un giovane, ma saltò tutto il torneo 2016 e adesso è in uno splendido momento di forma. Peccato solo per l’infortunio che lo costringerà a saltare la prima partita.
Al momento però il problema irlandese è l’apertura. Johnny Sexton ha giocato pochissimo dal giorno della vittoria sugli All Blacks, sicuramente non sarà in campo sabato al BT Murrayfield contro la Scozia e non è detto che prenderà l’aereo per la sfida di Roma della prossima settimana. È in dubbio anche Sean O’Brien, che però si è allenato regolarmente e comunque in terza linea le alternative non mancano. Da alcuni giorni è stato chiamato in gran segreto Ian Keatley da Munster, per coprire proprio l’assenza di Sexton divenendo vice-Jackson. Carbery come detto è fuori per tutto il torneo, quindi c’è la possibilità concreta che la responsabilità del numero dieci sia per tutto il torneo o quasi sulle spalle di Paddy Jackson. In questo momento Schmidt non ha una terza apertura in ritiro, ma vista la precaria salute di Sexton potrebbe essere costretto a convocare Madigan già prima di salire sull’aereo per Roma.
Intanto sembra che alcuni pezzi grossi del rugby mondiale facciano a gara per distrarre Joe Schmidt. L’ex allenatore della Nuova Zelanda campione del mondo Graham Henry ha dichiarato in un’intervista alla Espn che “è un allenatore molto speciale. Sono stato a trovarlo la scorsa estate e ho potuto vedere quanto i giocatori irlandesi lo ammirino. Poco ma sicuro che sta facendo benissimo con l’Irlanda. Lo dimostrano i cambiamenti che ha apportato all’Irlanda dopo la sconfitta con gli All Blacks del novembre 2013 (quella della celeberrima meta di Crotty nei minuti di recupero). Ha cambiato da quella sconfitta a Dublino, significa che cerca sempre di migliorare e imparare da ogni situazione. Impressionante”.
di Damiano Vezzosi
Qui Scozia: quella migliore degli ultimi anni
EDIMBURGO – “Si, non ho assolutamente nessun dubbio in proposito. Questa è la miglior Scozia in cui abbia mai giocato. È molto facile per me rispondere, perché abbiamo grande profondità, molti giocatori giovani che stanno crescendo e ci permettono di stare più tranquilli e anche dal punto di vista tecnico siamo una squadra molto forte. Per questo c’è grande entusiasmo, ma non dobbiamo dimenticare che finora non abbiamo ancora vinto nessuna gara e lo scorso anno abbiamo vinto due gare, abbiamo margini di miglioramento”. Parole di Greig Laidlaw, capitano della Scozia, che durante il lancio del Sei Nazioni 2017 all’Hurlingham Club di Londra non ha trattenuto l’entusiasmo per la prossima avventura, per l’inizio di un Championship che, mai come quest’anno, potrebbe sorridere al XV du Chardon.
La Scozia si presenta all’avvio del Torneo sulla scorta di buone prestazioni (e buoni risultati) ottenuti in autunno, a chiudere un anno, il 2016, che si può tranquillamente definire soddisfacente. I successi ottenuti al Sei Nazioni (contro Italia e Francia, battuta dopo dieci anni), nel tour estivo in Giappone e poi in novembre (contro Pumas e Georgia) hanno permesso finalmente a Laidlaw e compagni di superare il “blocco psicologico” che proprio il capitano di Gloucester aveva ammesso ci fosse prima della RWC 2015. Gli fa eco Stuart Hogg, adesso uno dei migliori estremi in attività, che in conferenza stampa settimana scorsa aveva dichiarato che “c’erano momenti, negli anni passati, in cui avevamo paura di quello che ci sarebbe potuto capitare, ma adesso abbiamo fiducia in noi stessi e sappiamo che possiamo portare a termine il lavoro”. Al momento l’unica assenza pesante è quella di WP Nel, che lascia un vuoto difficile da riempire in prima linea, ma la Scozia ha adesso una certa profondità che permette a coach Cotter di dormire sonni piuttosto tranquilli. “Sarà fondamentale partire bene, abbiamo visto come il Torneo si è evoluto negli ultimi anni e quanto sia importante partire col piede giusto, anche perché ci sono solo cinque gare , ma non è mai facile, men che meno quando ti capita di aprire il Sei Nazioni contro l’Irlanda,” ha chiuso Laidlaw.
La sfida più grande per la Scozia sarà quella di mettere da parte le emozioni, cercando di trovare la chimica giusta che ha aiutato le due squadre di club a fare così bene in Europa (per la prima volta Glasgow ed Edinburgh sono entrambe ai quarti di coppa). Un successo in casa contro l’Irlanda – che manca dal 2013 – sarebbe un ottimo modo per cominciare. Non sarà facile, ma i Dark Blues hanno tutte le carte in regola per fare bene, perché sanno cosa devono fare, come devono farlo, e hanno la qualità necessaria per farlo.
di Matteo Mangiarotti
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