Rugby e testa: nel mondo della preparazione mentale con Andrea Masi

Peak performance, preparazione della partita e di un torneo: il lavoro con e su se stessi

andrea masi preparazione mentale rugby

ph. Sebastiano Pessina

Nell’ultimo nostro incontro abbiamo parlato di un aspetta di carattere generale come il rapporto tra il rugbista professionista e il luogo che lo circonda, inteso come ambiente umano, sociale e sportivo. Oggi torniamo invece ad un tema di carattere più tecnico: la preparazione mentale.

 

 

Voglio partire con una premessa: ritengo che nello sport l’aspetto mentale richieda la stessa pratica, lo stesso allenamento e la stessa attenzione che si dedica a quello fisico e tecnico. E come per questi ultimi due, per vedere dei reali benefici la pratica deve essere regolare e costante.
Ciò premesso, possiamo distinguere alcuni diversi momenti in cui si vive e si allena la propria preparazione mentale: c’è quella prima della gara, quella prima di un importante appuntamento come può essere il Sei Nazioni al via in questi giorni e infine quella che precede un’intera stagione. E’ allora che l’atleta fissa con se stesso i propri obiettivi a breve, medio e lungo termine per i mesi successivi e in base ad essi lavora costantemente per raggiungerli. Per quanto riguarda invece la gara, entra in gioco un tipo di preparazione mentale più tecnica e dettagliata.

 

 

Cosa significa prepararsi mentalmente? Potremmo definirlo come una serie di attitudini e comportamenti che ognuno adotta nei giorni che precedono la sfida e che hanno come obiettivo l’accrescimento della carica e delle sensazioni emotive. L’intero processo deve essere graduale, perché se arrivi sovraccaricato alla partita poi rischi di sentirti emotivamente prosciugato. A differenza di quanto si possa magari pensare, anche l’allenamento mentale prevede determinate metodologie di lavoro che portano a raggiungere una preparazione ideale. Certo, non possono essere uguali per tutti: ma del resto nemmeno l’allenamento atletico può essere replicato in maniera identica per l’intera squadra. E nella scelta delle proprie routine e dei propri passaggi mentali, c’è un principio da tenere sempre bene in mente: quello della peak performance. Un’esperienza che quasi tutti gli atleti hanno vissuto almeno una volta nella propria vita.

 

 

Chiamarla una buona prestazione è riduttivo. E’ una prestazione eccellente, eccezionale, in cui l’atleta si esprime al suo massimo e al di sopra del suo standard abituale. Personalmente mi è capitato di vivere diverse peak performance e la sensazione è sempre bellissima. Del resto è un momento eccezionale, durante il quale si vivono sensazioni diverse dal solito: leggerezza, calma, lucidità, sicurezza…Si è completamente assorbiti e concentrati ma senza fare fatica, né fisica né mentale. Tutto viene più facile, si prendono le giuste decisioni di gioco ma in modo quasi naturale e istintivo: il gesto tecnico è quasi automatico. Si ha una sensazione di collettivo piacere, è quasi uno stato di trance. Avete presente quando si vede un atleta giocare una partita eccezionale e si dice: “oggi gli viene proprio tutto”? Ecco, probabilmente in quel momento sta a vivendo una peak performance, un momento di grazia. E un occhio allenato, attento a leggere il linguaggio del corpo, è in grado di cogliere o almeno intuire tutto ciò, riconoscendo rilassatezza, confidenza…. A me è successo nello sport, ma sopraggiunge anche in altri ambiti professionali: mi è capitato di persone che mi raccontassero di una riunione lavorativa o un incontro particolarmente ostico ma in cui tutto è andato per il verso giusto, con le giuste parole, il giusto tempismo, interventi sempre pertinenti, il tutto gestito in un incredibile stato di calma… E le sensazioni che mi hanno descritto erano le stesse che ho provato io. Ecco, questa è una peak performance e diventa un punto di riferimento: anche perché ricordi e registri tutto.

 

 

La vera domanda a questo punto è una: come è possibile mantenere alto il proprio livello dopo aver raggiunto quella vetta? Esistono delle tecniche che permettono di replicarlo o quantomeno avvicinarsi. Tante cose aiutano: avere una forte motivazione, porsi obiettivi chiari e raggiungibili, essere preparato tecnicamente e fisicamente. Ma uno degli aspetti più importanti riguarda la considerazione di sé e la propria autostima, che va coltivata e accresciuta: è importante parlare con se stessi, come fanno i tennisti che si caricano durante le gare o nel rugby i piazzatori prima di un calcio, che è un modo per conoscersi, per approfondire il rapporto con se stessi. Poi è importante essere positivi, togliersi dalla testa e stare alla larga da tutte le persone che possano intaccarti o dare input negativi. Questo in linea generale. Poi c’è tutta la parte di avvicinamento alla partita. Trovare la propria routine può richiedere tempo e solamente attraverso prove e costanza si può individuare quella giusta.

 

 

La concentrazione che accompagna l’avvicinamento, dicevamo poco sopra, deve essere graduale per non rischiare di arrivare scarichi e avendo perso per strada energie. Con tutte le proporzioni e le differenze da persona a persona, diciamo che 24 ore prima di un match il tasso di concentrazione deve essere blando, attorno al 30%. Poi con il passare delle ore è importante alzare la propria autostima, motivarsi, visualizzare magari una o più sequenze di gioco, pensare ai movimenti del proprio avversario diretto, riprodurre visivamente gesti tecnici concentrando l’attenzione sui particolari (testa giù al momento del calcio, piedi vicino al punto di impatto durante un placcaggio, lancio di una touche in sintonia con il saltatore…) Queste tecniche vanno ripetute ogni due o tre ore alzando progressivamente il livello di concentrazione, senza scordarsi che un ruolo fondamentale lo gioca anche la capacità di non farsi prendere dall’ansia o dallo stress: per questo, ci sono per esempio specifiche tecniche di respirazione che aiutano a rilassarsi.

 

 

Per quanto riguarda la mentalità positiva, vale la pena aprire una parentesi. E’ importante non solo essere positivi con se stessi, ma anche essere coinvolti in un ambiente positivo. Significa accentuare e sottolineare le cose buone che si fanno in allenamento, perché così rimangono più facilmente nella mente dell’atleta, che può evocarle in futuro. In genere nella prima parte di settimana lo staff ha un atteggiamento più critico: ti dice dove hai sbagliato, esige un allenamento duro…Poi man mano che la gara si avvicina si deve avere un atteggiamento che accentui le cose positive fatte, per alzare il livello di stima collettivo. Prima della gara bisogna sentire solo parole positive e che possano realmente caricare. E’ in quel momento che il capitano o i leader dello spogliatoio fanno il proprio discorso per alzare il livello emotivo, toccando punti specifici con le parole migliori. Se dette nel modo e al momento giusto, possono dare un aiuto in più, però a livello professionistico il lavoro più duro e decisivo l’hai fatto dentro di te e da solo nei giorni precedenti. Quando individualmente si sbaglia la preparazione, se mentalmente non si è pronti, è difficile se non impossibile recuperare durante la partita. E per assurdo e per esperienza, le partite più difficili da preparare sono quelle sulla carta più semplici, quelle in cui parti favorito: si sottovaluta l’impegno, calano concentrazione e aggressività, i primi placcaggi non sono duri come dovrebbero, svaniscono le certezze e si subiscono impatti duri. E’ un lavoro fondamentale dicevamo in apertura, tanto quanto quello fisico e tecnico.

 

 

Torniamo per un attimo al ruolo dell’allenatore nel creare un ambiente positivo che dia sicurezza ed autostima ai giocatori, e prendiamo l’esempio di Conor O’Shea. Ricordate ciò che abbiamo detto nel parlare della figura del Director of Rugby, che crede nei suoi ragazzi e li protegge dalle critiche? Ecco, Conor sta cercando di cambiare una certa mentalità per cui tendiamo sempre a vedere gli aspetti negativi e non parliamo mai delle cose positive. Un bicchiere pieno a metà può essere visto in due modi e per noi spesso è mezzo vuoto: e la spirale di negatività è come una palla di neve che rotolando diventa sempre più grande e da cui è difficile uscire. Essere positivi con se stessi, sentirsi dire di essere competitivi, è fondamentale per la preparazione.

 

 

E poi c’è tutto ciò che non è rugby. Che ha un ruolo fondamentale. Quando ero giovane, diciamo fino ai 26 anni, vivevo di rugby. Allenamento, casa, allenamento, casa…Solo rugby, insomma. Poi però ti rendi conto che devi staccare la testa perché rischi di arrivare troppo carico o stanco alle partite. Può sembrare un’espressione un po’ paradossale, ma rischi di vedere l’allenamento/partita come un “lavoro” e perdi il piacere di viverli. Invece, è fondamentale staccare completamente la spina, godersi la famiglia e i propri hobby, liberare la mente dal rugby. Anche perché in questo modo quando si ritorna il giorno dopo ad allenamento c’è ancora carica e voglia di dare il tuo 100%. E da questo punto di vista, il modo in cui è cambiata l’organizzazione quotidiana del lavoro al club aiuta: oggi verso le 14/15 tutto è finito e si è liberi. Si ha maggior tempo libero per staccare.

 

Chiudiamo con una nota di attualità: Manca pochissimo al Sei Nazioni, per un giocatore internazionale di uno dei sei paesi coinvolti il momento più alto dell’intera stagione. Non dovrebbe essere così, ma in quel momento cambia tutto: pressione e intensità a livello internazionale sono diverse, anche rispetto ad un campionato duro come la Premiership ci sono innalzamenti di livello sensibili. Un modo per prepararsi e acquisire autostima è quello di alzare il proprio livello: un mese prima del Sei Nazioni facevo più lavoro extra sul fitness, sulle skills, stavo più attento all’alimentazione. Certo sono dettagli nella mole di lavoro di preparazione, però già sai che anche a livello mentale è un torneo che esige un surplus di energie e se hai la consapevolezza di aver fatto il massimo per prepararti, allora sale anche la tua confidenza. Può aiutare un mental coach, figura di cui molto si discute nello sport professionistico moderno? Certo. Non ho mai avuto la fortuna di averne uno che mi seguisse e aiutasse, ma ho rimediato documentandomi e leggendo libri. Cosa che ha rivoluzionato il mio approccio alla partita e alla gestione della pressione, fortificando la fiducia in me stesso.

 

Di Andrea Masi

Per essere sempre aggiornato sulle nostre news metti il tuo like alla pagina Facebook di OnRugby e/o iscriviti al nostro canale Telegram.
onrugby.it © riproduzione riservata

Cari Lettori,

OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.

Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.

item-thumbnail

Come i Wasps hanno costruito la loro straordinaria stagione

Andrea Masi racconta la trasformazione della squadra più in forma del momento: da due vittorie nelle prime otto alla finale di Premiership

19 Ottobre 2020 I nostri esperti / A bordo campo
item-thumbnail

Andrea Masi: continuo a lavorare (da casa) per i miei ragazzi e per i prossimi obbiettivi

La nostra firma eccellente ci racconta come sta gestendo i giovani dell'Academy U18 e ci dà un'anticipazione sul suo futuro

7 Aprile 2020 I nostri esperti / A bordo campo
item-thumbnail

Il rugby alle sue radici: Andrea Masi ripercorre il Mondiale

Nuovo appuntamento con la rubrica dell'ex azzurro, che ci offre il suo punto di vista sulla Rugby World Cup conclusa da poco

14 Novembre 2019 I nostri esperti / A bordo campo
item-thumbnail

La testa, le mani, i piedi: con Andrea Masi analizziamo la costruzione di un giocatore professionista

Come lavora la Academy under 18 degli Wasps con i propri giovani prospetti

28 Gennaio 2019 I nostri esperti / A bordo campo
item-thumbnail

Moduli e schemi nel rugby: le tattiche più usate nella palla ovale

Andrea Masi apre una finestra sulle strutture di gioco più comuni al giorno d'oggi nel nostro sport, tra opportunità e rischi

13 Luglio 2018 I nostri esperti / A bordo campo
item-thumbnail

Andrea Masi ci riporta a Edimburgo: cosa resta di Scozia-Inghilterra

Le scelte criticate di Jones, una panchina inglese meno efficace del solito e la bravura scozzese nei punti d'incontro

4 Marzo 2018 I nostri esperti / A bordo campo