Un torneo di altissimo livello e ricco di contenuti tecnici: il Sei Nazioni 2017

Andrea Masi legge per noi le prime sei partite. E parla anche di Lions, gap tra gli Emisferi e punti di bonus

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ph. Reuters

E’ il torneo più antico, più affascinante, con una tradizione che non ha eguali. Si gioca in tutte le cattedrali del rugby, posti magnifici dove vedere e far rotolare una palla ovale, davanti a tifosi caldissimi e competenti, capaci di creare un’atmosfera che per me è unica nel mondo dello sport. Il Sei Nazioni è un torneo meraviglioso.

Le uniche partite che si avvicinano a queste sono le fasi finali di Champions Cup, ma ancora resta una certa distanza. Forse il livello fisico e tecnico è simile, ma la carica emotiva e la tensione che ti mette il Sei Nazioni non ha eguali. Nessuna partita è dura come una del Sei Nazioni giocata in trasferta: c’è bisogno di tutte le risorse fisiche e mentali per affrontarle. E’ una prova mentale incredibile.
Ma il torneo quest’anno è reso ancora più difficile e avvincente da due fattori, che ne hanno innalzato ulteriormente il livello che già era altissimo.

 

 

I punti di bonus

Per parlare del Sei Nazioni 2017 non si può che partire dall’introduzione del moderno sistema di punteggio: una vera e propria rivoluzione, se pensiamo a quanto radicata nella tradizione sia questa competizione. E dopo le prime sei partite, credo di poter dire che il punto di bonus abbia reso il torneo più spettacolare. Molti erano scettici, ma credo che il livello tecnico e fisico si sia di conseguenza alzato, così come quello dello spettacolo. Sicuramente è una cosa positiva. Questa novità poi, riguarda particolarmente da vicino l’Italia, che viene ora affrontata in modo diverso. L’approccio che i nostri avversari hanno nei nostri confronti e completamente cambiato: in passato eravamo una potenziale vittoria, ora siamo una partita da punto di bonus. L’obbiettivo è fare bottino pieno! Ma questo è anche qualcosa che dipende da noi: dobbiamo riconquistare quel rispetto che avevamo un tempo. Fino a qualche anno fa eravamo una squadra limitata tecnicamente ma estremamente fisica ed i nostri avversari odiavano giocare contro di noi (a detta dei miei compagni francesi e inglesi). Ora ci affrontano in modo forse più arrogante, con la presunzione di chi sa di dover fare tante mete.

 

 

Il tour dei Lions

E poi a giungo c’è il tour dei Lions in Nuova Zelanda e la concorrenza è altissima. Warren Gatland e stato chiaro nelle sue dichiarazioni, saranno selezionati giocatori in base allo stato di forma espresso durante il Sei Nazioni. Ci sono battaglie individuali affascinanti per conquistare la maglia. E tutto ciò spinge i giocatori a dare di più. Scozia-Irlanda, prima partita dell’edizione, Hogg contro Kearney: era da anni che l’estremo irlandese non faceva una partita di questo livello. E poi Biggar-Ford che si sono stuzzicati a Cardiff, le seconde linee inglesi contro le gallesi… E’ decisamente l’edizione più affascinante degli ultimi anni, Galles-Inghilterra è una delle partite più belle che abbia mai visto nella mia vita. Non so come sia possibile criticare dal punto di vista tecnico un simile torneo, o attribuirgli un certo tasso di noiosità…

A proposito, quel tour dei Lions ci dirà quanto i due Emisferi si sono avvicinati. Il Sudafrica è in netta difficoltà, l’Australia sta ritrovando la propria forma migliore ma ancora non è brillantissima, l’Argentina gioca un rugby eccezionale ma i risultati non seguono le prestazioni. E poi c’è la Nuova Zelanda, che è sopra tutti e tutto. Ma il gap è sempre più risicato: questi Lions hanno tantissima qualità e, cosa forse ancora più importante, hanno la consapevolezza e la consistenza mentale per riuscire almeno a vincere una partita. E c’è anche fisicità e atletismo, perché il livello di fitness di Inghilterra e Irlanda è lo stesso del Super Rugby, sono squadre capaci di giocare 20 e più fasi per 80 minuti. Chiusa la parentesi Lions, torniamo a parlare di Sei Nazioni. E delle squadre che più mi hanno impressionato.

 

 

La Scozia e le sue franchigie: il circolo viruoso

Che dire di questa Scozia? Beh, intanto che gioca un rugby molto positivo, di attacco e il fatto che abbia 5 o 6 potenziali Lions testimonia qualità e crescita. Molto è dovuto allo stile Glasgow, da cui arrivano molti giocatori e che quest’anno ha offerto un rugby di alto livello sia in Pro12 che in Champions Cup. Il lavoro di Cotter, iniziato con qualche difficoltà, ha finalmente ingranato e si vede una grandissima differenza: sorprende un po’ il fatto che debba lasciare proprio ora che la squadra si sta prendendo grosse soddisfazioni. Ma è una policy federale precisa quella di voler un allenatore locale: Townsend a Glasgow ha fatto benissimo e così sarà anche sulla panchina della Nazionale.

Ma c’è un altro aspetto che bisogna sottolineare parlando della Scozia: il miglior momento internazionale è coinciso con la maturazione delle franchigie. Cosi come fu per la nostra nazionale nel Sei Nazioni 2013, con Treviso settimo grazie a dieci vittorie totalizzate, ed una stato di forma individuale che ci permise di vincere due partite ed essere competitivi in tutte le altre. La qualità del rugby che si gioca durante l’anno è fondamentale per ben performare a livello internazionale, sul piano fisico, mentale e tattico. Glasgow che dà 43 punti a Leicester fuori casa è un risultato incredibile e che aiuta a leggere la vittoria della Scozia contro l’Irlanda.

A questo punto la vera domanda è: come creare un circolo virtuoso? Bisogna prima di tutto sistemare le franchigie. Molti prendono come esempio il modello argentino e la scelta di entrare in Super Rugby, che sta dando frutti se non con i risultati quanto meno con le prestazioni. Però dietro i Jaguares c’è un movimento con un numero di tesserati elevatissimo che produce quantità e qualità e non è purtroppo il caso dell’Italia. I Jaguares non si preoccupano di dover formare i giocatori, li preparano fisicamente, tatticamente e mentalmente al livello internazionale. Che è una bella differenza.

Ci si domanda anche se per alcuni non sia meglio prendere la strada dell’estero. La risposta non è univoca, perché c’è una discriminante fondamentale: avere minutaggio. Nella mia esperienza la Premiership è stata fondamentale, ma perché giocavo nei Wasps nel vero senso della parola, mi preparavo e scendevo in campo. E’ importate l’esperienza dell’estero, ma nella misura in cui si ha minutaggio: stare in panchina, come magari mi capitava al Racing, limita la possibilità di essere performanti. Allenarsi con un grande club, insomma, non basta. Bisogna aver spazio.

 

 

La Francia: fisico a disposizione della velocità

Abbiamo citato il Racing e il discorso si sposta alla Francia. Una squadra che sta acquisendo sempre più fiducia, grazie al lavoro eccezionale di Novès e dello staff tecnico. Quello che più mi impressiona della squadra è la fisicità: giocatori come Atonio, Vahaamahina, Picamoles c’erano anche prima, ma ora giocano in modo più organizzato e funzionale. Ancora manca una struttura profonda come quella di Inghilterra e Irlanda, ma rispetto al passato questi chili sono sfruttati per giocare in velocità con l’offload, punto di forza collettivo. Con Saint-Andre si vedeva che alcuni giocatori erano come legati, come timorosi di giocare e di sbagliare e si percepiva una generale mancanza di feeling: ora invece ci sono maggiori confidenza e fiducia. Non so se sia un gioco in grado di far vincere trofei e se nei momenti difficili sia affidabile, perché la struttura è limitata e contano ancora molto le individualità. Però oggi come oggi fa paura a tutti, chiedere all’Inghilterra e agli All Blakcs che se la sono vista bruttissima. Questa Francia mi piace e sta ancora crescendo. L’unica nota dolente è forse la difesa: contro la Scozia due mete sono arrivate per scelte sbagliate di Vakatawa, unico giocatore senza club e sotto contratto federale che durante la stagione gioca a Seven, e forse ha ancora delle lacune per quanto riguarda timing e lettura dell’attacco nel rugby a quindici. Discorso che ci riporta all’importanza del lavoro di preparazione di qualità nel club.

 

 

Inghilterra e Irlanda: quando la struttura è tutto

L’Inghilterra, dicevamo. Che se l’è vista brutta contro i Bleus, ancora non ha giocato il suo miglior rugby in questo Sei Nazioni, ma ha una forza mentale straordinaria molto simile a quella della Nuova Zelanda. Ovvero, trovano il modo di vincere anche non giocando bene. Un cambiamento radicale rispetto alla squadra uscita malamente dal Mondiale. Eddie Jones dice di andare in campo con 15 starters e 8 finishers. E nelle due partite, in effetti, il risultato è stato ribaltato dalla panchina che ha avuto un impatto incredibile sulla partita. E’ ancora la favorita, ma occhio all’Irlanda. In Scozia aveva l’opportunità di vincere ma non ha trovato le risorse, ma per quanto riguarda la struttura e l’intensità dell’organizzazione secondo me non ha rivali. Non ripete mai la stessa giocata, cambia sempre opzione, esegue movimenti sempre diversi e adattarsi ad un attacco del genere è difficilissimo: analizzata al video, deve far venire il mal di testa! Per la struttura dell’attacco, Joe Schmidt è uno dei migliori tecnici al mondo e se li lasci giocare ti ammazzano. E’ una squadra che per essere battuta va attaccata, perché se lasci il pallino del gioco fanno 20 fasi e ti logorano.

 

 

 Il Galles alla ricerca di imprevedibilità

Infine il Galles. Hanno uno stadio che è la vera Cattedrale del rugby, ed i tifosi sono tra i più passionali e competenti. Howley sta cercando di cambiare lo stile di gioco di questa squadra ricercando un rugby più positivo e meno prevedibile di quello impostato da Gatland il cui credo è usurare fisicamente l’avversario con gioco diretto e soprattutto sempre stesso senso di attacco. Si vedono segnali incoraggianti rispetto al gioco sviluppato lo scorso novembre.

 

 

Tra meno di una settimana ci saranno altre sfide elettrizzanti, a partire da Scozia-Galles con battaglie individuali esaltanti che potrebbero valere un biglietto per la Nuova Zelanda. Per proseguire con Irlanda-Francia, uno scontro struttura contro estro. E per finire si va a Twickenham per Inghilterra-Italia e l’obbiettivo è uscire a testa alta. Ora vi saluto con l’augurio di vivere il solito noioso weekend di Sei Nazioni!

 

di Andrea Masi

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