La Georgia ha bussato anche alla porta del Board celtico. Che però pensa alle Conference
I sette colli di Roma, le sette virtù, i sette peccati capitali, i sette re di Roma…E il Sette Nazioni? Già perché recentemente il numero sette sembra circolare con una certa insistenza anche all’interno di Ovalia, sponda Vecchio Continente. E dopo Conor O’Shea nei giorni scorsi (“C’erano quattro nazioni, poi cinque. Dovremmo se proprio espanderci, non andare nell’altra direzione”), dal raduno azzurro nella Capitale dove Parisse e compagni preparano la sfida di domenica a Twickenham contro l’Inghilterra, l’allenatore della mischia Giampiero De Carli è tornato a parlare circa l’eventuale cambiamento nel format del torneo. E ancora una volta, la parola è aggiungere e non togliere.
“Un torneo allargato, a mio modo di vedere, potrebbe risultare ancor più interessante, mentre togliere una squadra per inserirne un’altra non apporterebbe alcun valore alla competizione”, dice il tecnico classe 1970 che di partite nel Sei Nazioni ne ha giocate 12. E ancora, sulla crescita della Georgia candidata numero uno in caso di un qualunque cambiamento nella struttura del torneo più antico e prestigioso: “Ha avuto una grande crescita, nel suo contesto vince le partite in modo abbastanza netto. Sono favorevole all’ampliamento del torneo a sette squadre”. Il riferimento è al successo dei Lelos nella European Nations Cup (oggi Rugby Europe Championship), con otto trofei nelle ultime nove edizioni, le ultime sei consecutivamente (e anche quest’anno il torneo è iniziato con un monologo). “Oggi dobbiamo capire che l’evoluzione del nostro sport passa dal far entrare delle squadre, come avvenuto per l’Italia“.
E a proposito, nella riunione di Parigi del 9 marzo il Presidente di Rugby Europe Octavian Morariu presenterà in via ufficiale al Board del Sei Nazioni, la proposta di barrage tra l’ultima classificata del Sei Nazioni e la vincente del Rugby Europe Championship. A confermarlo, lo stesso Morariu a L’Equipe.
La quinta volta dei Lelos contro una Tier One
Il diritto di partecipare al Sei Nazioni va però conquistato sul campo, come fecero gli Azzurri con le fondamentali vittorie negli Anni Novanta. Quel che è certo è che nella nuova era di World Rugby, che sembra tutelare maggiormente le nazioni Tier Two, le occasioni per lanciare sul campo segnali importanti non mancheranno. Dopo la sfida di novembre a Kilmarnock contro la Scozia (per la cronaca persa 43-16), è arrivata nelle scorse ore la conferma che anche nella finestra autunnale 2017 la Georgia affronterà una nazione Tier One: il Galles al Principality Stadium. Escluse le sfide iridate della Rugby World Cup, sarà la quinta partita di sempre contro una nazionale di prima fascia. Un’occasione importante per la Georgia, per il Board invece il primo di una serie di Test Match per verificare le reali aspirazioni dei caucasici. Secondo WalesOnLine, l’ex Primo Ministro e imprenditore (miliardario) Bidzina Ivanishvili avrebbe già pronto un tesoretto da investire nelle casse della federazione in caso di ingresso nel torneo (si legge di 10 milioni di Euro l’anno). “E’ una questione di valore sportivo o economico? – domandava nei giorni scorsi allo Sportsmail l’head coach della nazionale Milton Haig – Perché noi li abbiamo entrambi…Quando sono arrivato nel 2011 lo sponsor di maglia dava 10.000 dollari, oggi 300.000″.
Il Pro12 di domani: Oltreoceano, oltre il Mar Nero o (più probabilmente) diviso in Conference?
E se la crescita della Georgia interessasse non solo il livello internazionale, ma anche quello di club? E più precisamente il Pro12? “Sì, abbiamo parlato con il Board celtico -ha confermato sempre coach Haig al Daily Mail – L’obiettivo è di avere un fully contracted team“. Le due cose potrebbero essere correlate, ma non certo in modo automatico. Anche perché la sensazione è che il Pro12 così come lo conosciamo oggi non durerà a lungo.
L’ipotesi di cambiamento più remota è quella che guarda Oltreoceano. L’autorevole Scotsman rivela che sarebbe già pronto il nome (“Guinness Atlantic Rugby Championship”) e la volontà sarebbe quella di partire entro il 2019 con un nuovo torneo, allargato ad una squadra statunitense e una canadese. Nelle ore in cui la Scozia batteva l’Irlanda nella prima giornata del Sei Nazioni, il boss del torneo celtico Martin Anayi si trovava in Texas per sondare nuovamente il terreno dopo che più e più volte le parti si erano incontrate.
Ma se l’ipotesi transoceanica risulta difficilissima per una serie di evidenti motivi, più fattibile e realizzabile (e il Board ci starebbe seriamente pensando) è l’idea di mantenere l’attuale numero di squadre per ciascuna delle quattro Union coinvolte, dividendo però i 12 team in due Conference con partite di andata/ritorno con le avversarie di girone e match singoli con le altre sei. Il risultato? Minor numero di partite nella stagione regolare (16 invece di 22) e possibilità di modificare la struttura dei playoff (prime due qualificate alla semifinale, barrage alla Top14 tra seconda e terza). Minor numero di partite significa minori costi (di rosa e logistici di trasferta) e possibilità di impiegare più spesso i giocatori internazionali. E a parità di budget, costruire squadre più competitive per far fronte allo strapotere economico dei club inglesi e francesi.
Cari Lettori,
OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.
Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.