Prima tappa del viaggio alla scoperta della palla ovale nella capitale francese
La notizia è rimbalzata sui media di tutto il mondo: lunedì i club parigini Racing 92 e Stade Français hanno annunciato la loro fusione, sorprendendo i loro stessi giocatori e tifosi. Come si sono presto evolute le cose è cosa nota, con lo sciopero dei giocatori dello Stade Francais e una serie di riunioni che proseguirà la prossima settimana (a questo LINK le ultime novità).
Una rivalità, quella della Capitale, non sempre accesa quanto quelle presenti in altre parti della Francia, ma non per questo meno significativa. Ripercorriamo brevemente la storia e gli avvenimenti dietro due emblematiche società che forse, dalla fine dell’attuale stagione, non saranno mai più le stesse.
Gli esordi: le rugby à Paris
Come in molti altri Paesi del mondo, lo sport della palla ovale venne introdotto in Francia da alcuni espatriati inglesi, che nel 1872 fondarono a Le Havre un club devoto ad un miscuglio di rugby e calcio (le regole, al tempo, risultavano ancora piuttosto fluide); poco tempo dopo sorse a Parigi una società nota come English Taylors RFC, seguita da un’altra rappresentativa composta perlopiù da uomini d’affari e commercianti stranieri, il Paris FC, nel 1878. Fu però nel 1882 che ebbe luogo la formazione del Racing Club, un centro multisportivo dedicato a numerose discipline. A dire la verità, il rugby venne aggiunto alla lista di sport praticati dal Racing soltanto nel 1890, mentre già nel 1883 (o 1887, secondo altre fonti) un gruppo di studenti liceali diede vita allo Stade Français.
Mentre le prime due formazioni parigine rappresentavano soprattutto gli interessi di una parte della popolazione straniera della città, dunque “estranea” a qualsiasi tipo di competizione nazionale o locale, Racing e Stade divennero subito emblema per i locali devoti allo sport del rugby, e pertanto furono scelte per disputare la prima finale valida per il campionato francese, giocatasi il 20 marzo del 1892 al Bois de Boulogne. In campo, oltre ai giocatori, scese un arbitro d’eccezione: il barone Pierre de Coubertin, padre delle Olimpiadi moderne. Vinse il Racing, che dopo una grande rimonta si impose sullo Stade per 4 a 3 (al termine del primo tempo il risultato parziale era infatti di 0 a 3 per gli stadistes). La rivincita ebbe però luogo già l’anno successivo, quando in una edizione allargata a vero e proprio torneo fu lo Stade a vincere, ripetendosi nel 1894 e nel 1895. In quest’ultima edizione fronteggiò in finale l’Olympique, laureatosi poi campione nel 1896. Lo Stade tornò a vincere nei due anni seguenti, ma nel 1898 avvenne qualcosa di epocale: la competizione venne aperta anche a club esterni all’area metropolitana di Parigi, come Tolosa, Lione e Bordeaux. E fu proprio lo Stade Bordelais, società del capoluogo aquitano, ad aggiudicarsi l’edizione di fine secolo.
Le rugby dans la France du sud-ouest: il dominio di Ovalie
Nel frattempo, il Racing non rimase a guardare. Nel 1900 i ciel-et-blanc tornarono alla ribalta nazionale battendo proprio Bordeaux in finale, facendo lo stesso nel 1902 (anno in cui assorbirono l’Olympique): nel 1901 e nel 1903 la vittoria fu di nuovo dello Stade Français.
La rivalità goduta da quest’ultima società con lo Stade Bordelais fu però ben più grande di quella con i concittadini, dato che tra il 1904 ed il 1908 la finalissima fu sempre disputata tra queste due compagini (lo Stade si impose in una sola occasione). L’avvento dello Sporting Club Universitaire de France nel 1911 diede per un po’ filo da torcere alle due più antiche società parigine, con il Racing sconfitto in finale dal Tolosa nel 1912 e dal Tarbes nel 1920, e lo Stade battuto sempre dal Tolosa nel 1927 (la foto a sinistra è del derby del 1930). Poco dopo, lo Stade sprofonda nelle leghe minori, barcamenandosi per decenni tra il terzo ed il quarto livello del rugby transalpino, mentre il Racing, forte della sua immagine aristocratica di club dei sobborghi “in” dell’hinterland parigino, si inventa infinite eccentricità (celebre il match -avvenuto però in tempi più recenti- in cui tutti i giocatori indossavano papillon rosa) che però non si traducono in un successo sul campo.
di Marco Meneghetti
Si ringrazia per le immagini Frédéric Humbert, Committee Member del Twickenham World Rugby Museum
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