Consistenza mentale, problema infortuni e la serenità del tecnico neozelandese. Intervista al DS dei Leoni
Dopo l’importante vittoria contro gli Ospreys, la Benetton Treviso ha trascorso tre giorni in Toscana dove staff e giocatori hanno partecipato ad attività di team building in vista del finale di stagione. La vittoria delle Zebre contro Connacht ha riaperto il discorso Champions Cup, ma in casa Leoni si continua a respirare fiducia ed ottimismo nei confronti degli ultimi impegni ma anche della prossima stagione. Di questo e molto altro abbiamo parlato con il Direttore Sportivo Antonio Pavanello.
Come sono andati questi tre giorni assieme e quando avete pensato di farli? Era già nei vostri piani o l’esigenza è emersa a stagione in corso?
E’ una cosa che avevamo pensato di fare ad inizio stagione, anche alla luce di quanto emerso lo scorso anno. Dal nostro lavoro con l’Università Ca’ Foscari, avevamo capito che dal punto di vista del gruppo un momento cruciale della stagione è il post Sei Nazioni, quando la squadra si divide in due macrogruppi che praticamente per due mesi sono tra loro lontani. E’ un periodo particolare e per questo abbiamo deciso di spendere alcuni giorni assieme: la pausa per le Coppe calza a pennello. Credo sia un lavoro che paga, anche in ottica prossima stagione perché il gruppo sarà più o meno questo senza grandi stravolgimenti. Sono stati giorni di scarico mentale, ci volevano.
Che giocatori hai visto dopo gli Ospreys?
Molto felici. E’ stata una vittoria meritata per tutti gli 80 minuti. Ho visto tanta gioia, ma siamo subito tornati focalizzati con i piedi per terra. Sappiamo quanto è facile cadere dopo un momento di entusiasmo, e noi rugbisti italiani siamo capaci di grandi debacle dopo grandi prestazioni.
Anche a cavallo tra il 2016 e il 2017 avevate trovato un buon momentum, poi però è svanito. Come si trova continuità dopo una vittoria?
Continuare a lavorare focalizzandosi sui dettagli e rimanendo positivi, senza stravolgere la squadra dal punto di vista delle scelte. Contro Bayonne e Zebre avevamo trovato un buon momento, poi la partita contro Glasgow persa nonostante una grande prestazione ci ha in qualche modo condizionati e fatto perdere fiducia. A Newport infatti siamo stati sovrastati, anche per i tantissimi infortunati, per poi tornare in carreggiata contro La Rochelle.
A fronte di risultati negativi, cosa vi ha convinto di essere sulla buona strada?
A parte Cardiff, sono state partite per noi interessanti e con contenuti positivi. Fino a Belfast, dove abbiamo perso 19-7 senza raccogliere neanche il bonus e con tanto rammarico. Siamo stati per larghi tratti in partita, contro gli Ospreys abbiamo raccolto ciò che ci siamo meritati. E’ un momento positivo e siamo nella giusta direzione: a Llanelli, con gli Scarlets in trasferta, sarà un vero e proprio banco di prova.
Hai citato i molti infortunati con cui avete fatto i conti. Un numero fisiologico all’alto livello o fuori dalla norma?
Sono numeri importanti e superiori alla media, sono sicuro che ci hanno condizionati. Da inizio stagione non siamo mai riusciti a mettere in campo quello che per lo staff è il XV ideale. In alcune partite abbiamo schierato 10-11 giocatori di questa formazione per noi “sulla carta” ideale, in alcune 5/6, in una partita solamente 2. Parlo di titolari ideali, quelli che noi staff ci configuravamo come formazione ottimale. Chiaramente ciò ha permesso di vedere la forte crescita di alcuni ragazzi con cui si è lavorato maggiormente e che hanno strappato un posto: un aspetto per noi davvero importante anche in vista della prossima stagione.
Da questo punto di vista mi sono confrontato spesso nel corso della stagione con Pat Lam (head coach di Connacht, ndr) e Nathan Bombrys (Managing Director dei Glasgow Warriors, ndr): entrambi loro sono stati molto penalizzati dagli infortunati, poi sai, con una rosa più ampia e un’Accademia propria è tutto un altro discorso…
Siete stati condizionati anche in sede di allenamento?
Kieran e lo staff prediligono il lavoro squadra contro squadra. Ma è chiaro che se non hai sei prime linee o due linee veloci, non puoi provare nel modo migliore né gli ingaggi né attacchi e difesa dei trequarti. Con 25 giocatori in campo è chiaro che devi rivedere e ripensare gli allenamenti: non abbiamo lavorato come avremmo potuto: non è una scusante ma un fatto oggettivo. Alcune settimane il gruppo rehab era di 15 giocatori, praticamente una squadra completa.
C’è qualcosa da rivedere in sede di preparazione e allenamento?
Abbiamo fatto un’analisi come staff. Alcuni infortuni sono dovuti a particolare sfortuna o a fenomeni extra-rugbistici, nella maggior parte dei casi non si era pronti fisicamente o tecnicamente: se con le velocità e l’intensità del Pro12 non sai andare a contatto in un certo modo o impostare un placcaggio nella maniera ottimale, le probabilità di infortunio aumentano. In parte abbiamo rivisto il nostro lavoro, cercando di preparare al meglio la squadra.
L’arrivo di coach Crowley e di alcuni promettenti giocatori aveva alzato il livello delle aspettative forse oltre le reali ambizioni. Un errore di entusiasmo o vi aspettavate di più?
Personalmente ho sempre detto che dobbiamo stare con i piedi per terra e ricordato che sarebbe stato difficile. Abbiamo cambiato tanti giocatori e quasi tutto lo staff tecnico, c’è bisogno di tempo perché gli ingranaggi inizino a girare nel modo migliore. Servirà ancora tempo, è una stagione che mette le basi per il futuro, per un nuovo progetto che abbiamo iniziato guardando al lungo periodo. Sicuramente siamo tutti ambiziosi e orgogliosi, ci aspettavamo qualche risultato in più e a volte non è arrivato davvero per poco. Ma sono sicuro che tutto questo lavoro pagherà, e arriveranno altri successi già prima della fine di questa stagione.
Cosa ti ha colpito di più di coach Crowley e qual è la cosa più importante che ha portato?
Direi la serenità nell’affrontare i problemi. E’ un aspetto che continua a sorprendermi: anche nei momenti più difficili per gli infortuni, quando non sapevamo in che modo completare la lista gara di 23, Kieran ha sempre dimostrato grande serenità e controllo della situazione. Poi dal punto di vista tecnico sta portando un gioco più aperto, che è chiaramente più difficile da assimilare rispetto ad uno più conservativo.
Ha puntato molto sulla cultura del club: da subito ha voluto sapere la nostra storia, fa tante domande, si è da subito informato. Ha voluto capire la filosofia Benetton per poi trasmetterla ai ragazzi, molti dei quali erano alla prima esperienza qui a Treviso. E’ stato un fatto importante, per creare un senso di appartenenza che forse negli ultimi anni si era un po’ perso.
Come è andata la stagione dal punto di vista del coordinamento con la Nazionale?
Non dico che O’Shea sia qui a Treviso ogni settimana, ma poco ci manca! Vedo che con Kieran lavorano in sintonia, hanno un modo simile di approcciarsi ai giocatori e credo proprio ci sia molta stima reciproca. In campo vogliono che sia il giocatore a capire dove sta sbagliando, facendolo arrivare autonomamente alla soluzione piuttosto che intervenendo direttamente con la correzione. Entrambi trasmettono energia e positività.
Lo staff Benetton come ha vissuto questo dialogo?
Con estrema serenità e molta comunicazione, che è la base di tutto. Stiamo lavorando molto per aiutarci a vicenda.
Quest’anno la squadra ha sofferto molto il primo quarto di gioco. Come si migliora?
Quello dei primi ’15 minuti è un problema che c’è e che stiamo affrontando con un lavoro specifico a livello tecnico, tattico e mentale. Abbiamo utilizzato un rilevatore che mette in rapporto il coordinamento atletico, il sistema nervoso e i fattori cardiovascolari per capire come i ragazzi approcciano la partita dal punto di vista nervoso e quali sono le conseguenze motorie e atletiche. Curando tutti questi aspetti, devo dire che siamo sulla buona strada per migliorare questo aspetto.
Dove servono i maggiori miglioramenti?
Sarebbe facile dire che dobbiamo migliorare ovunque: attacco, difesa, prime fasi… Una cosa sottolineo: l’insistenza sull’esigenza personale dei giocatori, che è un aspetto che cerchiamo di curare con particolare attenzione. Il lavoro non finisce in campo o in palestra, professionisti si è 24 ore al giorno: quando si dorme, quando ci si nutre, quando si fa l’analisi video individuale. Vogliamo atleti responsabili a livello personale della propria crescita. Da parte nostra, cerchiamo di dar loro un ambiente il più positivo e di qualità possibile per realizzarsi come giocatori e come persone.
Capitolo nuova stagione. La rosa è completa?
Mancano due rinnovi, dopo di che tutto è concluso. Come già ho detto, manterremo il gruppo con continuità. Poi certo, un po’ di scrematura è normale ci sia.
Quest’anno non ci saranno tanti cambiamenti…
Gli ultimi 3 anni da questo punto di vista sono stati particolari. Nelle ultime 3 stagioni abbiamo cambiato prima 24, poi 17 e infine 14 atleti della rosa. Chiaro che quando vai a modificare la spina dorsale della squadra è difficilissimo poi trovare l’amalgama tecnico e di gruppo. In vista della prossima infatti le cose cambieranno: una piccola scrematura è sempre necessaria, ma cambieremo il meno possibile per dare allo staff tecnico un gruppo che abbia continuità.
Dopo i vari Pasquali, Tebaldi, Allan e Benvenuti, ora portate in Italia anche Negri…
Non abbiamo un grande numero di giocatori nel giro dell’alto livello, quelli che ci sono credo debbano essere valorizzati dando a chi lo merita una possibilità.
Dall’Eccellenza che giocatori arrivano?
Ci sono giocatori validi. Ne sono sicuro. La cosa più importante da capire è se a livello mentale riescono a sopportare la sofferenza fisica e mentale che l’alto livello comporta. Essere disposti ad affrontare sacrifici è fondamentale, ma l’Eccellenza può offrire tanto alle franchigie così come la Nazionale Under 20 di quest’anno. Servono però ambienti di alto livello dove possano continuare il proprio percorso di crescita: in questo momento, credo che Treviso lo offra.
Serve un’Accademia legata alle franchigie?
Avere la possibilità di lavorare in maniera diretta con i giovani e con i nostri tecnici, è un passo decisamente importante. Vivendo un giocatore quotidianamente si capiscono anche le motivazioni mentali, che ripeto sono fondamentali.
di Roberto Avesani
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