Accademie U18, Accademie celtiche e doppio tesseramento. Cosa cambia nei prossimi anni (e i nodi del presente)
La notizia è delle scorse settimane. A partire dalla prossima stagione resteranno attivi solamente quattro degli attuali nove Centri di Formazione Permanente Under 18 (più noti come Accademie), e più precisamente Roma, Prato, Milano e Mogliano Veneto. Le strutture di Catania, Benevento, Torino, Padova e Remedello cesseranno invece l’attività con la fine dell’attuale stagione sportiva. Non una rivoluzione, ma certamente una notizia importante e che va a toccare direttamente uno dei temi più caldi e dibattuti degli ultimi anni. Anche perché, con atteggiamento più o meno manicheo, c’è chi ha visto nel sistema Accademie l’unico e necessario passo per colmare il gap con le Nazioni più evolute, chi invece il male assoluto che quel divario non solo non l’ha colmato ma addirittura alimentato. Ora si cambia.
Per capire come e perché dal punto di vista tecnico e sportivo, abbiamo incontrato la persona che lo scorso agosto è arrivata in Italia per diventare Responsabile della Formazione dei Giocatori di Alto Livello Giovanile sino all’Under 20 e delle Accademie: Stephen Aboud.
Per trovare invece risposta ad alcune domande che una simile ristrutturazione inevitabilmente porta con sé, tanto più pochi mesi dopo le elezioni federali, ci siamo invece rivolti alla Federazione.
Quattro Centri di Formazione Permanente U18 e 58 Aree di Formazione: base e punta dell’iceberg
Come abbiamo anticipato, a partire dalla prossima stagione resteranno attive solamente quattro strutture Under 18 Permanenti. Queste saranno affiancate dalle cosiddette Aree di Formazione, che coinvolgeranno le categorie Under 16 e Under 18, e avranno l’obiettivo di innalzare il livello medio della competizione nei club (“la marea che sta sotto l’iceberg”, come Aboud la chiama nell’intervista che pubblichiamo più sotto): la Penisola verrà divisa in 58 aree territoriali, in ciascuna delle quali verranno organizzati interventi dei tecnici federali e che saranno tra loro coinvolte in momenti di incontro/verifica per valutare il lavoro fatto.
Spiega la FIR: “I Centri di Formazione Permanente sono rivolti alla formazione di alto livello, le Aree di Formazione U18/U16 mirano all’innalzamento qualitativo medio del movimento. Ma questi due percorsi sono aperti e possono intersecarsi tra loro per gli atleti che lo meritano“.
Un sistema che ricalca in parte quello degli attuali Centri di Formazione Under 16, con la differenza che la tendenza di base è quella di far spostare i tecnici per andare dai club e dai ragazzi, e non viceversa come ora avviene.
Un ritorno allo status quo
Questi i dettagli strutturali della riforma. La questione più importante, e con le ricadute più sostanziali, è indubbiamente quella della riduzione dei Centri di Formazione Permanenti Under 18, che tornano ad un numero simile a quello del 2009 quando vennero inaugurate le tre Accademie Zonali U17/18 di Mogliano Veneto, Parma e Roma. Una vera e propria inversione di tendenza, se pensiamo che in anni recenti il Presidente Gavazzi non ha mai nascosto la volontà di aumentare il numero delle Accademie. Intenzione questa che è stata ribadita nel programma elettorale con il quale il numero uno FIR ha ottenuto lo scorso settembre la rielezione: “Aumento dei Centri di Formazione Permanente U18 da 9 a 10”, è scritto sul programma. Un punto questo che può aver avuto un peso specifico non indifferente nel momento in cui gli aventi diritto al voto hanno scelto da che parte schierarsi.
“Ogni azienda che voglia continuare nella propria crescita deve avere la capacità di rivedere i propri processi e di riallinearli ai propri obiettivi“, risponde la FIR. “L’aumento dei Centri di Formazione Permanente in passato ha permesso di comprendere come, oggi, sia più funzionale al percorso formativo di atleti di alto livello restringere il collo di bottiglia della selezione. In questi anni il livello medio qualitativo dei giovani si è alzato, l’obiettivo per il futuro è continuare in questa crescita media ma, al tempo stesso, lavorare più efficacemente sui picchi qualitativi“.
Razionalizzazione tecnica e un risparmio non indifferente
A questo punto la vera questione è capire da quali esigenze nasca questa riforma. Ci sono sicuramente motivazioni di carattere tecnico: 9 Accademie erano troppe e Stephen Aboud come leggerete lo ha confermato. Lavorare su quasi 300 ragazzi è troppo e ridurne drasticamente il numero, impone maggiore selettività ai tecnici e richiede da parte degli atleti maggiore potenziale per essere coinvolti.
Ma è indubbio che questa riforma comporti anche una notevole riduzione di spese da parte della Federazione. Considerando che tra affitto delle strutture, staff tecnico full time e costi logistici, un’Accademia Under 18 costa in media all’incirca 300.000 Euro a stagione, la stima di 1.6 milioni di Euro l’anno non dovrebbe discostarsi troppo dalla realtà. Il risvolto economico c’è e non è di quelli indifferenti.
Le strutture in chiusura e il problema “esodati”
La riforma porta poi con sé un altro aspetto, che riguarda in modo diretto ragazzi e membri dello staff tecnico delle cinque strutture in chiusura. Detta in modo molto diretto ma estremamente chiaro: quanti sono e che fine faranno?
Dovrebbero essere un centinaio i ragazzi delle cinque strutture in chiusura che stanno completando il primo anno di attività e che avrebbero dovuto portare a termine il ciclo naturale di 2 anni. Atleti che per poter entrare in Accademia, hanno sostenuto assieme alle loro famiglie gli sforzi materiali ed emotivi conseguenti, in alcuni casi cambiando anche indirizzo scolastico.
“Siamo consapevoli dei sacrifici dei ragazzi e delle loro famiglie – spiega la FIR – Li rispettiamo e cercheremo di ridurre al minimo l’impatto“. Dal punto di vista del percorso sportivo, “per il primo anno del nuovo progetto, la priorità della selezione sarà rivolta agli atleti del 2000, quelli che entreranno nel loro secondo anno, per ridurre al minimo il drop-out“. A coloro che avranno dimostrato potenziale, sarà proposto di entrare a far parte di una delle quattro strutture in attività: in caso di alta adesione, per la prossima stagione queste saranno formate quasi esclusivamente da atleti al loro secondo anno di Accademia. Senza contare che proporre ad un ragazzo di Torino di spostarsi a Milano è un conto, mentre le problematiche per chi faceva parte del Centro di Formazione Permanente di Benevento o Catania sono ben superiori.
Gli atleti che non completeranno il biennio, resteranno comunque coinvolti nel sistema delle Aree di Formazione, dove “continueranno ad essere seguiti dagli stessi tecnici con cui hanno lavorato sino ad oggi “. “Gli staff tecnici dei Centri di Formazione Permanente attuali, dove non confermate le strutture – specifica infatti la FIR – lavoreranno sul territorio attraverso le Aree“.
Resta da capire se verranno effettivamente riassorbiti tutti, così come resta qualche domanda su come verranno riutilizzate strutture e materiali dei centri che verranno dismessi.
Un pericoloso precedente?
C’è il rischio che questo cambio di rotta possa in futuro rappresentare un disincentivo per gli atleti, che valuteranno più attentamente se accettare o meno di entrare in Accademia? “Chi entrerà a far parte del progetto lo farà conoscendone, come già accade, gli aspetti positivi e quelli negativi – prosegue la FIR – Non possiamo dare certezze su chi diventerà un giocatore professionista, ma nei Centri di Formazione Permanente vogliamo lavorare con quei giovani atleti che hanno le potenzialità per raggiungere tale obiettivo, aprendo ovviamente le porte a chi arrivando dalle Aree di formazione potrà ambire agli stessi obiettivi“.
Intervista a Stephen Aboud
Stephen, da cosa nasce questa riforma e quali sono i principi che la ispirano?
Non parlerei di riforma, piuttosto di riallineamento del progetto tecnico al termine della sua prima fase. Avremo modo di parlarne più approfonditamente, ma sintetizzando vi sarà una parte del progetto orientata all’elite con i Centri di Formazione Permanente, una ai Club ed alla base con le Aree di Formazione. Non due rette parallele, ma due vasi comunicanti. Assieme a me in questi mesi ha lavorato un professionista eccellente, Andrea Di Giandomenico: lui ha visitato i Centri di Formazione Permanente ogni settimana, assieme abbiamo valutato gli specifici report che ogni settimana abbiamo a disposizione sui profili dei giocatori, sul lavoro che fanno che è stato monitorato da vicino per capire gli standard delle strutture e, soprattutto, per capire se esistano differenze di livello e sulla qualità dei giocatori, oltre che nel contributo che negli anni ciascuna ha dato nel formare atleti poi arrivati all’Alto Livello.
L’idea è nata in un preciso momento?
E’ un qualcosa che si è sviluppato nei mesi, così come la filosofia che la ispira. Quando sono arrivato avevo una posizione completamente aperta senza preconcetti. Ma se applichi i principi dell’alto livello, devi lavorare con i migliori giocatori, allenati dai migliori tecnici, nel miglior modo e nel miglior ambiente e con più frequenza.
Quindi i Centri di Formazione Permanente erano troppi?
Uno dei principi fondamentali dell’alto livello è che eccellenza e formazione di massa non vanno d’accordo. L’eccellenza è tale perché si riferisce ad un qualcosa di ristretto, ad un sistema in cui è difficile e selettivo entrare. Quando riduci i numeri, il livello naturalmente si filtra verso l’alto: meno posizioni per migliori giocatori.
Oggi stiamo spalmando le nostre risorse in modo troppo ampio, lavorando con troppi giocatori. O meglio, troppi in base al loro potenziale: nei Centri di Formazione Permanente ci sono giocatori con forte potenziale, con ragionevole potenziale e senza potenziale.
Non abbiamo il talento per poter alimentare 9 Centri di Formazione Permanente?
Se domando perché usiamo le risorse sui giocatori senza potenziale, non in senso assoluto ma in funzione dell’alto livello, la risposta è che tutto ciò è importante per i club. E’ una giusta ragione per alzare il livello medio del club game, ed è una buona risposta. Ma l’innalzamento dell’iceberg passa da due diversi momenti: alzare la marea che sta sotto e smussare la punta. Concentrarsi solo su uno dei due aspetti, qualunque esso sia, è sbagliato. Per avere successo servono entrambe queste esigenze: alzare la marea, ovvero il livello medio, e limare la punta, ovvero il lavoro fatto sull’élite.
Il progetto prevede l’identificazione di 58 aree di formazione a livello Under 14 per l’attività regionale ed Under 16/Under 18 per quanto riguarda l’attività di base, e il lavoro con i quattro Centri di Formazione Permanente Under 18 per quanto riguarda il piano più alto. Vogliamo arrivare ad avere maggiore influenza con il messaggio tecnico federale sulla formazione di livello più alto, senza però perdere influenza sulla base. Dalle Aree di Formazione fino all’Accademia Nazionale, serve una filosofia di sviluppo connessa, che si basi su un lavoro fisico, tecnico e mentale condiviso e comunicante. Non si può pensare di arrivare all’Alto Livello con un sistema di formazione a comparti stagni.
Entrare nei Centri di Formazione Permanente sarà più difficile?
Gli standard diventeranno superiori, ed entrare richiederà un livello più alto di potenziale. Per quanto riguarda la selezione, ci baseremo sulla competenza e sull’esperienza dei nostri staff, di cui abbiamo piena fiducia, sia per quanto riguarda i Centri di Formazione Permanente sia per selezionare chi di anno in anno entrerà in Accademia Nazionale.
Lei sarà coinvolto in sede di selezione?
Sì, direttamente. Ma una cosa è importante: non prenderemo mai decisioni giuste per il 100% delle persone, ma da qualche parte bisogna partire. Saremo sempre flessibili e disposti a mettere a punto le cose: se serviranno cambiamenti, sarà nostra responsabilità farli.
Pensa che il fatto di avere a disposizione 9 Centri di Formazione Permanente e tanti ragazzi da coinvolgere, abbia allentato i criteri di selezione?
Non posso saperlo, ma quando hai una scelta limitata devi farla in modo più accurato. Altrimenti non staremmo così attenti a chi sposare! Scherzi a parte, quando hai meno opportunità, devi essere veramente sicuro di prendere le decisioni migliori.
La struttura permanente Under18 più a meridione è quella di Roma. Quali opportunità avrà un atleta del Sud Italia per essere considerato per il percorso di alto livello?
Tutti gli atleti coinvolti nelle 58 Aree di Formazione di tutta Italia, avranno la stessa opportunità di essere identificati e invitati a partecipare ad uno dei Centri di Formazione Permanenti Under 18. Se avessimo la possibilità di avere una struttura permanente in più, e in futuro potrebbe essere così, probabilmente avrebbe senso averne una più a sud di Roma. Ma bisogna tenere conto di due cose: anche ne avessimo dieci, ci sarebbe sempre qualcuno scontento; e l’attuale demografia del rugby italiano giustifica le scelte che abbiamo fatto, che sono andate nella direzione della maggior cultura rugbistica e dello sviluppo della qualità.
Continueranno ad essere coinvolti gli stessi staff tecnici, o ci saranno per esempio integrazioni con allenatori stranieri?
La decisione non è ancora stata presa in modo completo. Ma se è un modo per domandare se in Italia ci siano buoni allenatori, la mia è risposta è sì, decisamente. Per quanto riguarda gli allenatori dall’estero, in questo momento non credo sia una nostra necessità. Spero che continueremo a lavorare con tutti i migliori allenatori che già abbiamo a disposizione.
La struttura del lavoro quotidiano cambierà?
L’idea è che resti esattamente com’è, ma la mia intenzione è che aumentino qualità e intensità del lavoro, così come l’allineamento con la direzione tecnica nazionale di tutto l’Alto Livello. Con meno strutture, il coordinamento sarà più facile. Sullo staff ci sarà più pressione e il loro lavoro sarà sottoposto a revisione. E, come è normale che sia, ci sarà una costante revisione anche sul lavoro dei ragazzi, per vedere se stanno migliorando, se stanno interpretando bene il loro essere un atleta dal punto di vista dello stile di vita, se vogliono continuare a far parte del progetto. Non cambierà nulla: aumenteranno solo le nostre aspettative in termine di standard qualitativo.
Dopo i Centri di Formazione Under 18 c’è l’Accademia Nazionale. Una, ma solo per poco. Conferma?
Il passo successivo è partire a luglio 2018 con una seconda Accademia Nazionale Under19/20, ed entrambe saranno legate alle franchigie.
A che campionato parteciperanno?
La decisione ancora non l’abbiamo presa. Dobbiamo identificare il livello di competizione più adatto. Se sarà la Serie A, continueranno a competere a quel livello. Il passo successivo ancora è quello dei permit player, inteso in senso “anglosassone”.
Come saranno gestiti i permit player?
Finito il percorso nelle Accademie Nazionali, dovremo identificare i giocatori con il miglior potenziale e che possono diventare professionisti. Questi avranno una connessione sia con le franchigie che con i club di Eccellenza: in un parola, anzi due, doppio tesseramento. Avranno il beneficio di allenarsi a tempo pieno con gli atleti delle franchigie, ma anche l’opportunità di fare esperienza in Eccellenza. Non solo, perché vivere quotidianamente il rugby nelle franchigie darà loro una forte motivazione: l’aspirazione sarà quella di strappare un contratto professionistico.
Che giudizio si è fatto sul Sei Nazioni Under 20 dell’Italia?
Se vuoi vincere in modo consistente e frequente, non una volta ogni tanto, di cosa hai bisogno? Di avere giocatori migliori dei tuoi avversari. A livello di club puoi farlo comprandoli, a livello internazionale ovviamente no. Eravamo preparati bene? Sì. I ragazzi hanno dato tutto? Si. La gestione della squadra è stata efficiente? Si. Eravamo nella posizione di poter vincere 3 partite: ma nei momenti critici abbiamo dimostrato ora mancanza di abilità tecnica, ora mancanza di controllo emotivo sul match, ora mancanza di esperienza. E tutto questo può cambiare facilmente il momentum di una partita. Ma quando giochi contro avversari più abili nei tre aspetti in cui siamo mancati, allora è difficile vincere. Avessimo battuto l’Irlanda e anche la Scozia, avremmo potuto dire che questi tre aspetti sono migliorati e sono diventati pari a quelli degli avversari? No. Devo guardare al risultato nel contesto della performance, la performance nel contesto della nostra preparazione, la nostra preparazione nel contesto delle nostre risorse di giocatori e abilità. Devo vedere tutto.
La Serie A in cui giocano diversi ragazzi dell’Under 20, prepara al Sei Nazioni di categoria?
Basta vedere dove giocano gli avversari e abbiamo la risposta. Ma la vera domanda è: giocare in Eccellenza, quello ci permetterebbe di confrontarci con i ragazzi inglesi che giocano già in Premiership o i francesi in Top14? Ecco perché, al termine dell’Accademia Nazionale, abbiamo bisogno di un gruppo di ragazzi legati alle franchigie e ai club di Eccellenza con doppio tesseramento.
di Roberto Avesani
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