Il trequarti inglese racconta la funzione del PRPW e le differenze culturali dei giocatori isolani
Tonga, Samoa e Fiji: per un totale di 600 giocatori sparsi in tutta Europa, di cui più di 80 in Premiership. Una cifra esorbitante se si pensa all’esiguo numero di abitanti delle tre isole del Pacifico (circa 1.000.000 di persone per tutte e tre le isole messe insieme) ed ai rugbysti che ormai tutti gli anni vengono fatti emigrare dalle loro terre native per arrivare a disputare delle stagioni nel Vecchio Continente.
E’ stato il caso ad esempio sette anni fa di Manu Tuilagi: il samoano infatti, che oggi gioca per Leicester e l’Inghilterra, ultimo di sette fratelli, di cui cinque invece militano o hanno militato nella nazione di nascita, ha raccontato a Press Association Sport il compito del Pacific Rugby Players Welfare (PRPW).
Un sindacato che dal 2010, sotto la direzione dell’ex seconda linea samoana Dan Leo (in carriera anche con le maglie di Wasps e London Irish) tutela i giocatori provenienti da quella zona del mondo: “Questo organismo riesce ad aiutare tutti ed ha aiutato anche me quando ho avuto problemi con i documenti necessari al tesseramento – ammette Tuilagi, che al momento di rappresentare l’Inghilterra a livello scolastico rischiò di non veder mai decollare la sua carriera a causa di un visto turistico scaduto e mai rinnovato con lo status di clandestino – inserirsi in un contesto culturale diverso da quello in cui sei abituato a vivere, è stato difficile. Dobbiamo ringraziare Dan Leo per quello che ha fatto e sta facendo. Lui visita tutti i club per spiegargli le differenze tra un giocatore inglese ed uno nato nelle zone del Pacifico. I nostri silenzi a volte vengono scambiati per poco interesse, ma non è così. E’ una forma di rispetto. Ma non possiamo essere solo coccolati. Dobbiamo anche mostrare a noi ed agli altri che siamo in grado di darci una mossa”.
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