Il 10 maggio a Kyoto si riunisce il gotha della palla ovale mondiale. L’agenda dei lavori
Kamigyo-ku.
Uno degli undici quartieri di Kyoto, quello che ospita edifici di spessore come il palazzo imperiale e le scuole Omotesenke e Urasenke per la cerimonia giapponese del té. Dall’aprile 2005 ospita anche i sedicimila metri quadri della Kyoto State Guesthouse, una ampia struttura costruita ricalcando la tradizione giapponese e dedita agli incontri fra vertici internazionali. L’edificio ha infatti ospitato il G7 lo scorso anno e durante il novembre scorso, Aung San Suu Kyi vi si è recata nella sua visita alla città imperiale giapponese, simbolo principale della cultura e della tradizione nipponiche. La Kyoto State Guesthouse sarà domani, mercoledì 10 maggio, teatro del sorteggio per la prossima Coppa del Mondo di rugby.
Sarà la prima volta che il sorteggio si terrà al di fuori del Regno Unito, peraltro in una città che, nonostante la rilevanza, non verrà interessata direttamente dalla manifestazione. Sarà anche l’occasione per World Rugby di riunirsi in un’unica sede per arrivare finalmente al vaglio di una proposta da lungo tempo in bacino di carenaggio: l’estensione temporale a cinque anni di residenza come norma per l’equiparazione di un giocatore di nazionalità straniera, rispetto ai tre attualmente previsti.
The world in union
E’ dunque il 10 maggio al data prescelta da World Rugby per annunciare la composizione dei gironi iridati. Un evento planetario che sarà ospitato dal Giappone, paese emergente della palla ovale se ce n’è uno, che ha dimostrato agli ultimi Mondiali di aver allestito una squadra spavalda e senza timori reverenziali. L’ingresso dei Sunwolves nel Super Rugby testimonia quanto il mondo del rugby punti ad espandere i propri orizzonti a Oriente, soprattutto dal punto di vista commerciale, visto che da quello strettamente ovale la franchigia asiatica rappresenta una delle squadre materasso del campionato.
La Rugby World Cup 2019 prevede, come le sue immediate precedenti, la partecipazione di venti squadre, dodici delle quali già determinate dalle tre squadre meglio piazzate nei quattro gironi da cinque dell’edizione inglese del 2015. Si tratta quindi di Nuova Zelanda, Australia, Argentina, Inghilterra, Francia, Georgia, Irlanda, Italia, Giappone, Scozia, Sudafrica e Galles.
Il complesso sistema di qualificazione prevede che le dodici squadre già qualificate siano suddivise in tre fasce, a seconda della posizione nel ranking mondiale al prossimo 10 maggio. Ognuno dei quattro gironi si vedrà assegnato, casualmente, una delle quattro componenti di ciascuna fascia. Vista l’assenza di prove internazionali in questo periodo dell’anno, il ranking mondiale preso in considerazione è il medesimo post Sei Nazioni: non vedremo dunque affrontarsi nelle poule le teste di serie Nuova Zelanda, Inghilterra, Australia e Irlanda, mentre una di queste quattro si troverà sicuramente a doversi scontrare con il Sudafrica, attualmente settimo. Altro proiettile da evitare è l’Argentina, nona nella classifica del rugby mondiale e pertanto iscritta nella terza fascia di squadre e che sarà verosimilmente la squadra che andrà a comporre il girone di ferro dei prossimi mondiali.
Discorso a parte per le squadre del Pacifico: Samoa, Tonga e Figi occupano rispettivamente i posti 14, 13 e 10 del ranking, ma non sono direttamente qualificate alla coppa. Dato il loro valore, la qualificazione dovrebbe essere una formalità, rendendole clienti ostici e pericolosi per chi dovesse ritrovarsele nel proprio girone. Le otto squadre non direttamente qualificate, infatti, verranno sorteggiate casualmente per occupare le rimanenti posizioni. La qualificazione si ottiene attraverso un complesso schema di incontri internazionali per area geografica, simili a quanto accade per il calcio. Il processo ha avuto il via lo scorso 5 marzo con la partita tra Saint Vincent e Grenadine e la rappresentativa nazionale giamaicana, vinto per la cronaca con un sonoro 48 a 0 da questi ultimi davanti ad un pubblico da record di mille spettatori.
Alla Coppa del Mondo andrà la squadre meglio classificata del Rugby Europe Championship che non si chiami Georgia (Romani), mente la seconda miglior classificata si giocherà un playoff di accesso alla coppa contro la terza classificata della Pacific Nations Cup. Le prime due di questa manifestazione saranno invece automaticamente qualificate. Ci sarà una qualificata africana uscente dal Rugby Africa Championship, solitamente cannibalizzato dalla Namibia. Le Americhe vedranno qualificarsi due squadre: una la vincente del doppio scontro fra Stati Uniti e Canada, l’altra la vincente del match fra i perdenti del suddetto incontro e la squadra sudamericana meglio classificata nel ranking, escludendo l’Argentina. Sì, è difficile, meglio se prendete una penna, che sta per peggiorare.
L’ultima qualificata sarà estratta da un torneo di ripescaggio che vedrà presentarsi ai blocchi di partenza la squadra perdente del playoff euro-oceanico, la perdente dello scontro americano, la seconda classificata del torneo africano e la vincente dell’apposito playoff organizzato fra la squadra arrivata prima all’Asia Rugby Championship, se non è il Giappone, e la vincitrice della Oceania Cup. Le partite di qualificazione termineranno a novembre del 2018. Con almeno 17 squadre quasi certe di partecipare, le speranze di una ventata di novità sono nelle mani di Spagna e Russia.
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Residenza: i cinque anni sono più vicini
Quando Agustin Pichot è stato eletto vicepresidente di World Rugby in ticket con l’attuale chiarman Bill Beaumont, ha subito spinto per la promozione di una modifica alle regole di equiparazione dei giocatori stranieri, tema scottante che ha ricevuto subito numerosi consensi nonostante l’evidente sfruttamento da parte di tutte le selezioni internazionali di giocatori provenienti dai paesi esteri.
Attualmente le norme prevedono che un giocatore di nazionalità straniera, ma residente in un paese per più di tre anni e che non abbia mai vinto caps per le selezioni Seven, cadetta e maggiore della sua nazione di nascita, possa dichiararsi eleggibile per la rappresentativa del paese di residenza. Una regola la cui ratio era ed è quella di alzare il livello delle nazionali di fascia più bassa attraverso il contributo di qualche emigrato, allargare il bacino di competitività del rugby, ma nell’era del professionismo esasperato e del business, è diventata una scorciatoia per tante squadre per riuscire ad ottenere giocatori di ottimo livello in tempi brevi, tappando le falle dei propri sistemi domestici di produzione dei giocatori. E’ così che, per esempio, immaginando dei XV di giocatori neozelandesi e sudafricani che vestono la maglia di altre nazionali, si possono costruire squadre di tutto rispetto.
E’ una sfaccettatura della regola che non può non essere presa in considerazione e affrontata, poiché favorisce drammaticamente le federazioni economicamente più ricche rispetto a quelle che di mezzi finanziari ne hanno assai pochi. Estendere la regola a cinque anni ne permetterebbe uno sfruttamento meno massiccio, mantenendone comunque i lati positivi. Inoltre, la ricorrenza quadriennale della Rugby World Cup scoraggerebbe l’emigrazione dei giocatori desiderosi di partecipare all’evento più importante della palla ovale internazionale.
All’iniziativa di Pichot hanno subito risposto in maniera affermativa quelle federazioni dai mezzi economici e dalle risorse umane di una certa importanza, come l’Inghilterra, e quelle che hanno sempre fatto ricorso ai rispettivi giocatori nativi, come Sudafrica e Argentina. La procedura sembra in dirittura d’arrivo, e il voto del 10 maggio dovrebbe risultare nel cambiamento definitivo della norma, con la speranza che metta fine all’abuso dell’equiparazione. Abuso che fino all’ultimo giorno viene comunque riproposto da diverse parti, con l’Inghilterra che nega le accuse di ipocrisia dopo la selezione dell’ala neozelandese di Bath Denny Solomona, ex nazionale samoano di rugby League, e le preoccupazioni (o forse meglio dire il sollievo) dell’Irlanda a proposito del primo centro di Connacht Bundee Aki. Quest’ultimo non ha ancora completato i tre anni di residenza in Irlanda, ma è in odore di qualificazione per i prossimi Test Match. Dovessero cambiare le regole verrebbe comunque consentito un periodo di condono per non lasciare giocatori attualmente in dirittura d’arrivo del loro percorso in un limbo giuridico.
Non potrà , comunque, essere questa la panacea di alcuni mali del rugby di oggi, come lo sfruttamento di certi vivai del Pacifico.Un vero e proprio revival coloniale, con le nazioni europee impegnate a saccheggiare i più interessanti giovani prospetti di altre parti del mondo per importarli nel Vecchio Continente, fino magari a fargli acquisire la cittadinanza, essendo poi di conseguenza eleggibili a tutti gli effetti per le selezioni nazionali. Un fenomeno di impoverimento di rappresentative storiche del rugby internazionale, sempre e comunque a beneficio della cima della piramide ovale.
di Lorenzo Calamai
Ovale Internazionale
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