Il rugby italiano e i suoi tifosi hanno bisogno di vittorie. Servirà la “strigliata” dell’EPCR?
Dopo che la voce era circolata negli ultimi giorni, è arrivata nelle scorse ore l’ufficialità. Al termine della stagione 2017/18, solo le squadre meglio arrivate in classifica regolare di ciascuno dei tre principali campionato dell’Emisfero Nord si qualificheranno alla Champions Cup. Se per Francia e Inghilterra non cambia nulla, per il Pro12 si può parlare di autentica rivoluzione: non più almeno un posto garantito per ciascuna federazione, ma massima – e sacrosanta – meritocrazia.
Una novità che ha ricevuto il voto favorevole anche dell’Italia, presente nel Board europeo con Fabrizio Gaetaniello e Andrea Rinaldo: “Di concerto con i nostri rappresentanti all’interno del Board di EPCR abbiamo convenuto di votare a favore di tale modifica, che troviamo pienamente coerente con il cammino di sviluppo intrapreso dalla FIR da un anno a questa parte, con l’arrivo di Conor O’Shea, e mirato a garantire una migliore e più strutturata collaborazione con Benetton Rugby e Zebre Rugby, con l’obiettivo, nel medio termine, di rendere le nostre due franchigie sempre più competitive tanto nel PRO12 che sul palcoscenico delle competizioni EPCR”, parole del Presidente federale Alfredo Gavazzi.
Vincere è l’unica cosa che (per ora) conta (per noi)
“Treviso e Zebre devono iniziare a vincere, i giocatori italiani devono capire cosa serve e cosa si prova a vincere, con l’attenzione ai dettagli e non abituandosi a vittorie occasionali”. A dirlo Conor O’Shea lo scorso agosto: il rugby italiano di Alto Livello, dalle franchigie alla Nazionale – ma mettiamoci pure l’Under 20 – ha un brutto rapporto con la vittoria. Basti pensare che dal 2000 ad oggi, ovvero nell’era Sei Nazioni, delle 193 partite disputate l’Italia ne ha vinte 51 e perse 141. E dove la cultura della vittoria si coltiva, come più volte è stato ripetuto da staff tecnico e giocatori in persona, è nel lavoro quotidiano con le franchigie. E allora ben venga che entrambe partecipino – laddove stabilito sulla base dell’eventuale merito o demerito – alla Challenge Cup.
Non è un caso, forse, che quest’anno le due vittorie di Treviso back to back contro Bayonne in Coppa siano state seguite dal successo in Pro12 contro le Zebre, seguito a suo volta dall’egregia prestazione contro Glasgow (poi è iniziato il Sei Nazioni, altro paio di maniche per le nostre franchigie, ma questo è un altro discorso). E forse non è nemmeno un caso che la doppia vittoria dello scorso anno delle Zebre nel derby celtico sia stata preceduta e seguita da un successo europeo (La Rochelle e Worcester). Per carità, strappare un sorriso in Coppa non significa che poi ciò accada automaticamente anche in campo celtico; ma sicuramente porta in gruppo confidenza e serenità.
Tommaso Allan dopo la vittoria nel derby di andata con le Zebre
Chi ha orecchie per intendere…
Se mai ce ne fosse ulteriore bisogno, la decisione del Board europeo lancia anche un chiaro messaggio. Nel rugby di oggi i posti garantiti e la rappresentatività internazionale contano zero: poco importa che non ci siano squadre italiane in campo per la Coppa regina. Si potrebbe obiettare che in quanto massima competizione europea per club sarebbe corretto prevedere la partecipazione di tutte le federazioni coinvolte nei campionati di provenienza, ma l’EPCR può fare buon viso a cattivo gioco: la presenza italiana non comportava certo chissà quali ricavi o vantaggi economici, e da un punto di vista sportivo gli 82 punti subiti in casa Wasps dalle Zebre o i 67 di Treviso nel 2014 a Northampton, devono aver fatto sbattere qualche pugno ai tavoli dei piani alti. Oltre ad aver alimentato la non nobile statistica secondo cui una delle migliori seconde esce sempre dal girone con l’italiana (3 volte su 3 negli ultimi 3 anni); e senza tenere conto a quanto spettacolare (e monetizzabile) avrebbe potuto essere quest’anno un Girone con gli Ospreys al posto delle Zebre.
Benissimo avere il proprio Presidente Federale nella Commissione Bilancio di World Rugby, benissimo i due membri con tre voti nel Consiglio del Board mondiale…Ma nel rugby che guarda al risultato (sportivo ed economico) è arrivato il momento di ritrovare peso e potere anche in campo. Anche perché, se il Sei Nazioni resta un’entità privata inattaccabile, il prossimo torneo intenzionato a rimescolare le proprie carte per una maggior competitività economica potrebbe essere proprio il Pro12: e farne le spese, secondo le ultime voci, sarebbe proprio una franchigia italiana.
Un’urna benevola in Challenge. E poi chissà…
E se alla nostra franchigia più in forma dovesse capitare un Girone con una o più francesi o inglesi che lottano per salvarsi nei rispettivi campionati? Non avremo mantenuto il privilegio del posto garantito in Champions, ma in quanto squadre celtiche manteniamo comunque il privilegio di partecipare ad una competizione chiusa, che non prevede un sistema di promozione/retrocessione. Le squadre d’Oltralpe, che devono vedersela con un torneo domestico infinito e iper-logorante, da tradizione “snobbano” la seconda coppa europea (speriamo non ci leggano dallo Stade Francais…), o almeno non hanno nei quarti di finale il proprio obiettivo stagionale. Puntare al passaggio del turno? Dura, ma non impossibile. E si scriverebbe un’altra data storica, che non è mai una brutta cosa.
Riavvicinare il pubblico
Il rugby italiano ha perso appeal negli ultimi anni? Questo è poco ma sicuro. Perdere di certo non aiuta a “vendere” un prodotto sportivo, che in quanto tale dovrebbe avere nel risultato uno dei maggiori poli di attrazione. Usiamo il condizionale perché, come sappiamo, il rugby è uno sport da questo punto di vista sui generis: i valori (inattaccabili) che ne stanno alla base sono bastati per tanti anni a richiamare decine di migliaia di spettatori allo Stadio Olimpico e in giro per l’Italia. Ma il calo di spettatori dell’ultimo Sei Nazioni (che abbiamo anche contestualizzato) testimonia che qualcosa nel meccanismo inizia a scricchiolare.
Ritrovare qualche vittoria con le franchigie riconcilierebbe parte del pubblico con il rugby italiano? Forse sì. La vittoria delle Zebre a Worcester la scorsa stagione era la prima di una squadra italiana dal 2001 ad oggi in Inghilterra (nel 2000 Rovigo vinse 20-10 a Bedford con 15 punti di Scanavacca). Mai come adesso c’è bisogno di queste piccole “imprese”. Mai come adesso per tutti conta una sola cosa: vincere.
Etica sportiva
Oltre tutto, c’è anche un principio di meritocrazia sportiva. Cardiff, che in stagione regolare ha battuto Treviso 57-20 all’Arms Park e 38-24 a Monigo finendo con più del doppio di punti e vittorie dei Leoni, rischia seriamente di non giocare la Champions (i playoff iniziano stasera contro lo Stade Francais). Vaglielo a dire, della rappresentatività…
di Roberto Avesani
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