Abbiamo intervistato l’estremo campione d’Italia classe 1996, prossimo al salto in Pro12
Man of the Match della finale Eccellenza e un 2017 di assoluto livello. Matteo Minozzi, apertura/estremo classe 1996, ha concluso la sua seconda annata a Calvisano da campione d’Italia. Una stagione che non scorderà facilmente, culminata anche con la chiamata nel gruppo azzurro che ha preparato le ultime due partite del Sei Nazioni. Ora per lui si apriranno le porte celtiche con il passaggio – non ancora ufficiale – alle Zebre. Assieme abbiamo parlato dell’annata in giallonero appena conclusa e del suo percorso di crescita. Oltre che dello spazio che un atleta dalle dimensioni umane può avere nel rugby dei super-atleti.
Matteo, un bilancio collettivo della stagione…
Collettivamente è stata una stagione che ha quasi rasentato la perfezione. Abbiamo perso solo due partite, da quando ci siamo trovati il primo agosto abbiamo fatto un gran lavoro con molta intensità ogni settimana. Mentalmente siamo stati sempre pronti e il campo l’ha confermato. Credo anche che abbiamo espresso un gioco che in Eccellenza era da un po’ che non si vedeva: merito anche di una linea giovane e a cui piace muovere la palla e giocare. Semenzato a parte, in finale l’età media dei trequarti era 22 anni…
Un bilancio personale invece?
Personalmente è iniziata con la rottura della caviglia e mentalmente farsi male ad agosto è sempre difficile. Sono tornato a novembre, avevo un po’ paura e pensavo sarebbe stata più una stagione di conferma di quanto fatto vedere la scorsa, crescendo ancora. Non è stato facile tornare a novembre e prendere ritmo, ma poi col passare dei minuti in campo la fiducia aumentava, le cose venivano e tutto è andato bene.
La tua seconda parte di campionato è stata impressionante. Te l’aspettavi?
Da gennaio sento di aver fatto cinque mesi che nemmeno io mi aspettavo. Mi sono sentito molto sicuro, sono cresciuto. L’anno scorso affrontavo le partite con ansia, soffrivo la tensione e non ero sicuro delle mie capacità. Quest’anno ho invece subito sentito sicurezza e fiducia. Il mio bilancio è super positivo e non me l’aspettavo per come era partita. Tante mete, la chiamata nel gruppo azzurro…
Il piano di gioco di coach Brunello quanto ti ha favorito?
Ho sempre pensato che ciò che sono riuscito a fare individualmente non sarebbe mai potuto accadere senza il lavoro collettivo della squadra. La mischia è sempre stata un punto di forza di Calvisano, ma ora la vediamo in funzione di un piano di gioco allargato: avere grandi ball carrier che ti mettono sul piede avanzante semplifica la vita e a quel punto giochiamo, corriamo, prendiamo perché no qualche rischio e alla fine il campo ci ha dato ragione.
Vi e ti abbiamo visto prendere anche rischi in campo, tra touche veloci e offload a volte esagerati. Cosa vi diceva Brunello?
Sono stato allenato da Massimo da quando ho 16 anni tra Accademia e Nazionali. E’ un allenatore che non mette mai divieti o limiti: quando sbagliamo è sempre un errore collettivo, che non viene fatto notare individualmente. Così è stato anche in finale, non ha voluto cambiare nulla del nostro gioco, e anche dopo aver perso la semifinale di andata: al ritorno ci ha detto di andare, giocare e divertirci. Siamo una squadra giovane, poteva dire di essere più conservativi, più chiusi, di affidarci più alla mischia… Credo che sia da ammirare.
Come ti vedi nel rugby delle ali più pesanti delle terze linee?
Sono consapevole che se non sei fisicamente pronto comincia a essere dura. Vedo gli estremi e le ali della altre squadre di alto livello, ma ho sempre pensato che il rugby sia uno sport per tutti. Se sono arrivato fin qui è stato con questo fisico e grazie alle mie abilità, che cercherò di mantenere ad ogni livello. So che quello del Pro12 è decisamente superiore: non so cosa aspettarmi, se sarò all’altezza e se riuscirò ad esprimermi nel modo che mi è più congeniale. Ma porterò con me il mio bagaglio di abilità nella corsa, negli step, nel contrattacco…Non mi farò limitare mentalmente dal fisico degli altri. Ci vorrà forse un po’ per adattarmi, chiaro che il piano di gioco è diverso. Però ho anche un buon piede tattico. Sono consapevole di cosa mi serve: affinare le mie caratteristiche peculiari e fare in modo perfetto tutto il resto. Dovrò lavorare il doppio di oggi e degli altri.
Ultima domanda veloce. La tua esperienza in Accademia?
Per me è stato un anno fondamentale. Rugbisticamente ho iniziato a vedere cos’è il rugby dei grandi e cosa richiede in termini di qualità per andare avanti. E’ importante anche per conoscere se stessi, per capire se il rugby è la tua strada…
di Roberto Avesani
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