Sul rugby e sull’arte di allenare. Eddie Jones e il Q&A alla Oxford Union

Il tecnico australiano firma un personale manifesto ovale. Tra skills, studio, autogestione e The Fox

eddie jones inghilterra rugby

ph. Sebastiano Pessina

L’Oxford Union è un gruppo di dibattito – non inquadrato in ambito accademico con il celebre ateneo – che organizza incontri e discussioni. Tra i suoi speaker vi sono stati Winston Churchill, Stephen Hawking, i Presidenti Nixon, Carterre Reagan, Elton John ma anche personalità dello sport e del rugby, tra cui Lawrence Dallaglio e Will Greenwood.

L’ultimo rappresentante del rugby a salire in cattedra è stato Eddie Jones: l’allenatore della nazionale inglese si è sottoposto a 40 minuti di question & answer, toccando tantissimi temi (anche la The Fox usata dall’Italia a Twickenham). Un manifesto sull’arte di allenare e dirigere un gruppo, da parte di un coach che, piaccia o non piaccia, lascerà un segno indelebile ad Ovalia. Ecco i passaggi più significativi (c’è la possibilità di selezionare i sottotitoli in inglese dal menu impostazioni di ciascun filmato).

 

 

I primi passi con una nuova squadra

La prima cosa è capire quali battaglie puoi vincere e quali no […] Se una squadra non viene da un buon momento significa che ci sono problemi: devi capire dove, quali puoi risolvere e fare un piano. Essere australiano e aver lavorato in diversi paesi mi permette di capire cosa sia importante nelle diverse culture. I giapponesi per esempio odiano i conflitti, noi australiani siamo molto diretti nel dire le cose ma questo atteggiamento non potrebbe funzionare in Giappone. I conflitti sono importanti perché stimolano la creatività; ho dovuto capire come generare conflitti giusti.

 

 

L’importanza della comunicazione

Mi piace capire come i leader agiscono, come comunicano. In Inghilterra impari tantissimo dagli allenatori di calcio: sono sotto enorme pressione e il modo con cui si relazionano con i media a fine partita può veramente essere un buono o un cattivo esempio di leadership.

 

 

C’è un problema di giovani talenti se hai selezionato così tanti giocatori non nati in Inghilterra?

Non è un mio problema. Il mio problema è allenare la nazionale inglese, la formazione di giovani talenti è un problema di chi gestisce quel settore. Il mio lavoro è far sì che la nazionale vinca: se vinci, il gioco è in salute, arrivano sponsor, attenzione dei media e anche maggiori introiti magari da spendere per sviluppare i talenti. Ma in che modo, non è un mio problema. La questione è scegliere i migliori giocatori perché vuoi vincere: se puoi scegliere per via di un nonno o della residenza, per me poco cambia.

 

 

La chiave per risollevare l’Inghilterra dopo il peggior Mondiale

Credo riguardi soprattutto la disposizione dei giocatori ad assumersi responsabilità. Quando le persone coinvolte nella squadra guidano e dirigono la squadra, allora c’è maggior forza perché loro prendono le decisioni. L’Inghilterra dipendeva dal suo allenatore. Ora non siamo ancora al punto di arrivo, ma voglio una squadra capace di risolvere da sola i problemi, che non deve chiedere la soluzione e si auto gestisce. Per esempio abbiamo portato la squadra in palestra e detto che c’era una sessione pesi, ma non erano presenti gli allenatori: volevamo vedere come se la cavavano, lì vedi chi sono i leaders. L’abbiamo fatto anche in campo e anche nelle riunioni. I giocatori sono migliorati nell’organizzarsi. Molti criticano i giovani di oggi ma credo siano influenzati dall’ambiente che li circonda: se crei il giusto ambiente avrai giuste persone. Per me è il miglior traguardo con la nazionale inglese.

 

 

L’equilibrio tra skills e fisicità. E cosa un allenatore deve guardare

Il rugby è un equilibrio tra skills e fisicità. L’Emisfero Nord ha permesso all’aspetto fisico di diventare troppo importante. C’è un giovane giocatore molto promettente – di cui non farò il nome – ha firmato per un club e ha tutte le skills che servono. Gli hanno detto di metter su sette chili. Tutto ciò è ridicolo: dovrebbero dirgli “aumenta la tue skills”. Il lavoro fisico è la parte più semplice, la parte difficile sono skills e decision making e devi allenarti di più su quelle aree. E’ facile stare in forma, diventare più forte. In Nuova Zelanda c’è uno splendido equilibrio tra parte atletica e skills ed è per questo che sono i migliori al mondo. E’ lì che vogliamo arrivare con i nostri giocatori inglesi e ora sono molto più competenti nel lavoro di skills.

L’intervento prosegue con la successiva risposta: Quanto ancora potranno migliorare fisicamente ed essere ancora più veloci i giocatori? Pochissimo. Quanto potranno migliorare nelle skills? Tantissimo. Il gioco evolverà ancora. I quarti di finale della RWC 2015 sono stati fantastici: grande spettacolo, grande varietà nel modo di giocare.

 

 

Come rialzarsi dopo una brutta sconfitta?

La cosa più importante è capire in fretta cosa hai sbagliato e capire quali errori puoi sistemare più in fretta e quali aree richiedono invece più tempo. Fare un piano velocemente, farlo capire ai giocatori e farli migliorare in quelle aree. Come? Dipende da giocatore a giocatore: ad alcuni devi parlare, altri è meglio lasciarli in pace. Quando tutti hanno capito, puoi lavorare col gruppo. Quando perdiamo non dico quasi mai nulla ai giocatori, se non che non era la nostra giornata ma la prossima settimana lo sarà. Penso subito ad un piano per sistemare le cose e lo faccio con atteggiamento positivo.

 

 

E’ facile fare autocritica e magari un passo indietro per capire cosa è andato storto?

Non è difficile, perché quando perdi ti senti a terra. Dopo la sconfitta contro l’Irlanda (ultima del Sei Nazioni 2017, ndr) ho ricominciato a sentirmi bene quando è iniziato il camp per preparare la finestra di giugno. Devi sentire e vivere l’emozione della sconfitta, ma al tempo stesso trasformarla in un piano positivo per il futuro. 

 

 

Parla spesso della necessità che i giocatori comprendano cosa va storto in campo e trovino soluzioni senza passare dall’allenatore. Cosa è andato storto nel primo tempo contro l’Italia (The Fox)?

Sapevo che qualcuno me l’avrebbe chiesto. L’Italia ha fatto qualcosa di molto intelligente ma che è contrario allo spirito del gioco. Ricordo quando nel 2013 giocai con il Giappone contro gli All Blacks: l’ultimo precedente era stato 145-13. Volevamo distruggere legalmente il gioco, come l’Italia ha fatto contro di noi. Ma come puoi dire alla tua squadra che puoi battere l’avversario, se già adottando quella strategia riconosci che non potrai batterli, che dovrai giocare contro lo spirito del gioco? Non volevano essere battuti di 90 punti ma di 40, questo era il loro obiettivo. Non è che i nostri giocatori non sapessero cosa fare è che mancava l’esecuzione. Quando poi è arrivata le cose sono andate abbastanza bene.

 

 

Pensa che abbiano ancora un senso i Lions nel gioco moderno?

Assolutamente sì. Da australiano dico che è un evento incredibile […] Si passa da incontri minori ai tre Test Match, è come guardare una soap opera, con un inizio e una fine […] E far parte di una squadra Lions che batte gli All Blacks, ti separa dal resto dei giocatori […] Il bello del rugby è che ancora conserva valori diversi dagli altri sport. Ricordo quando col Giappone battemmo il Sudafrica: scendendo in campo vedevo i tifosi Springboks contenti per quanto avevamo fatto. Se giochi a rugby puoi andare in qualunque club del mondo e vieni accolto. I Lions fanno parte di tutto ciò, c’è qualcosa di mistico.

 

 

Cosa può imparare il rugby dagli altri sport e viceversa?

Credo che devi sempre imparare da tutti, c’è un continuo scambio di idee. Il rugby fa sempre cose importanti nella ricerca scientifica o nella metodologia di allenamento, c’è chi viene a vedere e poi porta con sé nel proprio sport. Negli ultimi tempi sono stato assieme alla nazionale di hockey femminile, con la Orica-Scott che preparava il Tour de France, poi Chelsea, Arsenal e ho preso qualcosa da ognuno. E adattandolo l’ho fatto entrare nel rugby. Da allenatore non devi mai pensare di sapere tutto: sono uno studente, che continua a studiare e imparare. Là fuori c’è pieno di gente che sa più cose di me: devi capire cosa può essere utile per la tua squadra.

 

 

Dal rugby League prende qualcosa, per esempio nella qualità della finalizzazione?

E’ il gioco più semplice del mondo, non c’è contesa. E siccome mancano tantissime cose, sono diventati bravissimi in alcune skills, come l’abilità di correre creando domande alla difesa: il mio dialogo con il League è costante per impararlo. La differenza tra noi e loro in questa area è ridicola, sono avanti anni luce.

https://youtu.be/0-8c8YP82PE?t=34m46s

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