Ora il Mondiale, poi una riflessione: intervista a coach di Giandomenico

Verso il torneo iridato con il tecnico Italdonne. Tra differenze col Sei Nazioni, progettualità e futuro

di giandomenico italia femminile

ph. Sebastiano Pessina

L’appuntamento è fissato per il 9 agosto, quando a Dublino prenderà il via l’edizione 2017 della Women’s Rugby World Cup. A tre anni di distanza dall’ultima edizione – non quattro per favorire l’alternanza con i Giochi Estivi dopo il ritorno della palla ovale sul palcoscenico a cinque cerchi – le migliori dodici squadre femminili del mondo si ritrovano per la più importante competizione in rosa; l’Italia fa ritorno per la prima volta dall’edizione spagnola del 2002. A poco più di un mese dal kick off, abbiamo intervistato il coach dell’Italdonne Andrea Di Giandomenico.

 

 

Coach, che squadra ha ritrovato dopo un Sei Nazioni deludente sui risultati?

Dopo il Sei Nazioni abbiamo avuto due buone esperienze con il Seven, anche se ovviamente non hanno riguardato tutte le nostre atlete. Abbiamo comunque avuto modo di rivederci e parlare, e abbiamo confermato sia ad Hong Kong che a Brive le nostre potenzialità.

 

 

Dal punto di vista atletico?

Le ragazze hanno portato avanti programmi di preparazione specifici e dal punto di vista fisico le abbiamo trovate bene. C’è molto entusiasmo e siamo pronti a vivere questa avventura.

 

 

Prima esperienza al Mondiale per quasi tutte le ragazze. Come cambia l’approccio e che sforzo è richiesto alle atlete?

Beh abbiamo anche noi le nostre senatrici, Silvia Gaudino e Veronica Schiavon hanno giocato il Mondiale del 2002 a Barcellona! Scherzi a parte, noi abbiamo sempre approcciato le partite e i tornei come all’interno di un lungo viaggio, un percorso che non si fermava a fine partita ma inserito in un percorso di crescita, in cui il nostro focus è sempre stato quello di alzare la qualità della prestazione. Per quanto riguarda il nostro gioco, nel quale continuiamo ad avere fiducia, stiamo cercando di indirizzarlo su organizzazioni e scelte strategiche più mirate alle singole partite, per portare a casa il risultato. Al Mondiale è importante ogni singola partita, quindi vogliamo aumentare nelle ragazze la consapevolezza della gestione: sapere come giocare, quando alzare i giri, quando rallentare…Prima avevamo una formazione continua, ora è più mirata all’interno del singolo incontro. Vogliamo vivere in pieno questa esperienza. Consapevoli che al Mondiale non c’è un prima e un dopo, ma un qui e ora. 80 minuti al Mondiale sono diversi da 80 minuti al Sei Nazioni.

 

 

Preoccupato di pagare qualcosa in termini di esperienza?

Giocare una partita ogni quattro giorni costringe anche a gestire bene il gruppo, ma per il percorso fin qui fatto c’è grandissima fiducia nelle ragazze. Ho visto una maturazione sotto tanti punti di vista e non solo tecnici, ma legati anche alla consapevolezza di ciò che si fa in campo. Siamo nei migliori 12 al mondo, è motivo di orgoglio ma non certo un punto di arrivo.

 

 

Potete riscattare un anno deludente per l’azzurro ovale. Sentite questa esigenza?

Non vorrei ci facessimo carico di situazioni troppo esterne rispetto a quello che è il nostro compito. Il Sei Nazioni è stato deludente, inutile girarci attorno: però non vogliamo guardare indietro, non credo che dovremo avere nella testa ciò che avremmo dovuto fare ma non abbiamo fatto. Dobbiamo svincolarci da tutto ciò che non riguarda la competizione in sé e ragionare solo su quello che sarà il Mondiale. Il che non vuol dire girare la testa dall’altra parte, o non voler fare un’analisi lucida e oggettiva generale sul movimento. Solamente, ricordare che nell’approccio ad una competizione non è utile riflettere su situazioni esterne e che non riguardano le partite che dobbiamo giocare.

 

 

Nella vita delle Federazioni, il Mondiale segna sempre il momento di generale riflessione di una disciplina. Si programma il futuro, si chiudono cicli. Accadrà anche per il rugby femminile italiano?

E’ il momento di farlo. Ci sarà da gestire il passaggio dal Mondiale al Sei Nazioni, con qualche ragazza che probabilmente dirà stop. Sarà un passaggio graduale con un Sei Nazioni di transito, prima di dar spazio alle nuove generazioni.

 

 

Cosa serve da qui in avanti?

Tutte le Federazioni stanno dando un segnale chiaro su come sta evolvendo il movimento femminile. C’è una chiara esigenza di innalzare la qualità della proposta generale, che passa dai settori giovanili e dai club. Per quanto riguarda l’attività internazionale, bisogna offrire un approccio adeguato. C’è consapevolezza di tutto ciò, andrà messa in atto ma già ci si sta muovendo per dare maggiori possibilità alle ragazze. Ci sono stati momenti in cui nel Sei Nazioni Femminile abbiamo vinto tre partite: credo che l’Italia abbia il merito di aver innalzato il livello generale del Sei Nazioni, contribuendo a trascinare verso l’alto le altre squadre diciamo di secondo livello. Ora non bisogna adagiarsi ma continuare sulla strada intrapresa. Sicuramente c’è consapevolezza e si sta lavorando in questa direzione.

 

 

Si poteva fare di più già da prima, proprio in vista di questo Mondiale?

Fino a giugno ci sono stati i campionati, poi l’attività Seven e i raduni che sono fissati da mesi. Ovvio che si può fare meglio, ma questo è un principio che vale in generale: le cose da fare meglio non riguardano lo specifico di questi pochi mesi pre Mondiale, ma vanno inquadrate all’interno di tutto il movimento femminile continuando a farlo crescere, dando alla squadra Nazionale la possibilità di giocare più partite durante l’anno e migliorandone l’attività. E’ una riflessione generale da fare su un settore specifico, ma nel particolare della preparazione iridata credo che le discussioni possano solo distrarre dall’obiettivo. La riflessione è doverosa, ma non utile in rapporto solo alla singola competizione. Anche perché se già si pensa a cosa ci poteva fare prima, ci costruiamo alibi per dopo.

di Roberto Avesani

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