L’evento dell’anno visto da Pippo Frati: lavagna tattica di Lions e All Blacks

L’head coach di Viadana legge per noi la serie che si è conclusa sabato ad Auckland

lions rugby

ph. Reuters

Per la lavagna tattica del terzo e ultimo Test Match tra All Blacks e Lions, ci affidiamo ad una persona che di rugby ne capisce sul serio. Abbiamo chiesto a Filippo Frati, head coach di Viadana, di leggere per noi alcune situazioni specifiche degli ultimi 80 minuti e generali dell’intera serie. Buona lettura!

 

 

Se pensiamo a quanto detto e letto dopo il primo Test, nel giro di due settimane si è capovolto il mondo. Gli All Blacks sono passati dall’essere considerati imbattibili, a rischiare di perdere una serie che comunque non hanno vinto. I Lions hanno dimostrato che hanno ragione di esistere e un risultato del genere lo legittima: ad oggi sono l’unica squadra che può tenere testa agli All Blacks. Magari il Championship lo smentirà, ma al momento sono l’unica alternativa in attesa di vedere un confronto con l’Inghilterra. E se i Lions sono arrivati a giocarsela spostando Farrell 12, un motivo ci sarà…

 

 

Da Te’o stile Warren-ball, al doppio play stile Inghilterra

Non ce n’era certo bisogno, ma Gatland ha dimostrato di essere un grandissimo allenatore. Essere capaci di cambiare è una grande dote: avere certezze è importante, ma in base alla squadra che hai e all’avversario, devi saper mettere in discussione anche le tue certezze. E’ sintomo di fiducia nell’intera rosa della squadra, nei consigli che arrivano dagli altri membri dello staff e perché no dal gruppo di leader dei giocatori, con cui sicuramente c’è stato un confronto sul piano di gioco da sviluppare.

 

 

Una finale giocata non da finale

Nei giorni scorsi si è paragonata questa partita ad una finale di Coppa del Mondo: un match dall’importanza enorme e che sarebbe entrato nella storia. Ho trovato però una grandissima differenza su come le due squadre l’hanno interpretata: i Lions l’hanno giocata come una finale Mondiale, gli All Blacks no. Hanno cercato di accelerare il gioco in ogni modo possibile e immaginabile, cosa che di solito nella partita “secca” non si fa. Anche gli errori da touche sono stati forzati da lanci affrettati, fatti per velocizzare la ripresa del gioco e non dare ai Lions il tempo per organizzarsi. Mi è sembrato chiaro l’input di cercare di muovere palla da ogni zona di campo dando priorità al possesso rispetto al territorio, cercando di vincere segnando mete, vedi il calcio di punizione calciato in touche anziché ai pali ad inizio secondo tempo sul 12-9. Aaron Smith nel secondo Test ha fatto 10 calci dalla base, nel terzo 7:  il primo dopo quasi mezzora, gli altri quasi tutti nell’ultimo quarto quando il piano di gioco è cambiato.

Mi è piaciuto molto il modo di adattare il gioco agli interpreti: Savea, Laumape e Jordie Barrett sono diversi da SBW, Crotty e Rieko Ioane, la volontà è stata quella di muovere palla. E’ stata dipinta come una finale di RWC, ma è stata giocata in modo completamente diverso da parte All Blacks che sono scesi in campo per sfidare gli avversari a viso aperto, cercando di imporre il proprio rugby positivo.

 

 

Il cambio di strategia All Blacks nell’ultimo quarto

A proposito del cambio di strategia nell’ultimo quarto, a quel punto della partita un errore poteva costare la serie. Quindi era fondamentale ridurre la percentuale di errori e ancorarsi a cose più semplici o comunque meno rischiose: piede tattico per portare pressione, giocare nella metà campo Lions e forzare gli avversari al fallo. Una strategia adattata al momento della gara e al punteggio, per vincere la partita.

Ed effettivamente sono arrivati un paio di errori da Daly e Williams nel gioco aereo, che hanno dato buone piattaforme di mischia: e attenzione che l’errore dell’estremo gallese in presa è arrivato su un calcio molto insidioso, con Aaron Smith che colpisce volutamente la palla, tenuta in orizzontale, sulla parte posteriore dell’ovale per aumentare/velocizzare i giri della rotazione, rendendolo così difficilissimo da controllare. La bravura Lions è stata quella di non andare sotto pressione o comunque di non cedere nella disciplina: a quel punto l’unico calcio di punizione piazzabile è arrivato da mischia ordinata e non nella difesa del multifase.

 

 

La difesa Lions in cattedra

Paragonando i tre Test, dopo il primo la difesa Lions è cresciuta tantissimo. Nel primo gli All Blacks hanno preso bene le misure, attaccandola ed esplorandola bene, ma poi la linea rossa è salita in cattedra. Nel terzo incontro è vero che ci sono stati tanti errori All Blacks, ma direi che almeno l’80% è stato forzato dalla presenza e dalla fisicità difensiva degli avversari.

Come si sono comportati in questa fase i Lions? Uscendo in modo sparato dalla linea, che è sempre rimasta integra, una sorta di rush defence continua, una linea che non occupava la larghezza del campo ma che toglieva lo spazio agli avversari. Dall’esterno all’interno, all’opposto quindi della stragrande maggioranza dei sistemi difensivi utilizzati in tutto il mondo. Asfissiandoli, chiudendo le opzioni e portando una pressione enorme. E’ un sistema di difesa molto rischioso, ma se ben fatto paga. Si pensava che gli All Blacks, con le loro qualità e il loro modo di leggere ciò che hanno davanti, potessero riuscire a trovare le soluzioni adeguate: ci sono riusciti nel primo Test, con Sonny Bill Williams in campo ma non nel secondo e a tratti nel terzo. Per fare un esempio (vedi immagine e video sotto), analizziamo la situazione in cui Savea, all’interno dei 22 Lions, riceve un lungo passaggio (in avanti) da Jordie Barrett, obbligato dalla salita di Watson quasi a buttare la palla verso il compagno: Watson è prima del secondo palo, alla sua destra ci sono 30 metri di campo praticamente sguarnito, con il solo Williams in copertura per tutto lo spazio. Lì devi davvero salire in modo perfetto, placcando o forzando l’errore come poi avvenuto, perché altrimenti la marcatura è sicura.

Un uomo chiave di questa difesa è il 13, che deve leggere le situazioni e dettare i tempi. E Jonathan Davies in questo tour è stato l’interprete migliore, per me è stato il miglior giocatore in assoluto della serie: grande capacità di lettura, efficacia nell’uno contro uno, sicurezza.

Watson (cerchiato) è strettissimo assieme a Davies. A quel punto anche Williams deve salire forte su J.Barrett: è l'unico mood per evitare la meta

Watson (cerchiato) è strettissimo assieme a Davies. A quel punto anche Williams – unico oltre i pali – deve salire forte su J.Barrett: è l’unico modo per evitare la meta

 

 

Il cross kick per superarla

Non è un caso che i maggiori pericoli All Blacks siano arrivati da cross kick, arma decisiva per riuscire a superare una difesa che non occupa e non è distribuita nella larghezza: con l’ala che stava stretta e saliva con il secondo centro, restava solo Liam Williams nello spazio. Il cross kick è uno dei marchi di fabbrica degli Hurricanes e dei fratelli Barrett e assieme a loro, Savea e Laumape erano 4 su 7 gli Hurricanes titolari. Una scelta voluta forse proprio per sfruttare i loro meccanismi e il cross kick, che tante mete ha portato in Super Rugby alla squadra di Wellington.

 

difesa sempre strettissima e solo Daly a a coprire la larghezza. Se il cross kick è recuperato, le probabilità di meta sono molto alte

difesa sempre strettissima e solo Daly a a coprire la larghezza. Se il cross kick è recuperato, le probabilità di meta sono molto alte

 

 

Kaino. Quando non c’è si vede

Tra le cose che ci lascia questa serie c’è anche l’importanza di Kaino nell’economia del gioco All Blacks. Credo che nel secondo Test ad influenzare l’equilibro non sia stato tanto il cartellino rosso a Sonny Bill Williams, quanto piuttosto la scelta di sostituire Kaino per giocare con 7 trequarti. E’ un giocatore imprescindibile per questi All Blacks e per il loro gioco: porta palla, difende, ha leadership, ha un workrate altissimo…Forse è questa una delle chiavi di lettura del secondo match: ci siamo concentrati sul rosso, senza però considerare il peso specifico di Kaino. Da subito non avevo compreso e condiviso la scelta di Hansen, anche perché le condizioni atmosferiche e il tipo di partita suggerivano che forse più che nei trequarti era importante competere ad armi pari nel pack. Ma ovviamente è solo la mia opinione!

 

 

Jordie Barrett: il futuro ha un nome

Jordie Barrett ha tutto per diventare più forte di Beauden, se già non lo è mi verrebbe da dire…Un giocatore con una consistenza incredibile: ha fatto la seconda meta e propiziato la prima, ha risolto situazioni di grande pressione trasmettendo ai compagni calma: ha 20 anni e arrivava da 1 cap dalla panchina, il futuro è suo. Può diventare uno dei più forti di sempre. La scelta di non incaricarlo dei calci è condivisibile, perché già lo staff tecnico gli ha chiesto tantissimo: poi certo, i punti lasciati dal fratello dalla piazzola hanno avuto un peso.

 

 

Lettura ed esecuzione: Owen Farrell e i decoy runners

E l’interprete migliore di questa manovra. La grande abilità è quella di farsi sempre placcare quando fa questo gesto: significa che un difensore lo porta sempre via. Mi ricorda molto gli incroci che faceva a suo tempo Larkham: gesto semplicissimo che però lui rendeva difficile da difendere perché  passava sempre dopo essere stato placcato e lo faceva dando un pallone di qualità. Come Larkham così Farrell, passa quando è placcato, il che significa che un avversario è stato assorbito dalla sua azione e ha liberato un canale da attaccare. Farrell è anche bravo a leggere la difesa perché non sempre gioca dietro al decoy runner: la meta di Murray nel secondo Test nasce da un break di George (vedi video sotto), che Farrell serve perché il difensore già sta scalando prevedendo il movimento. E’ una manovra che ormai da anni e a tutti i livelli si usa, tutti sanno cosa fare, ma è il come la si esegue a fare tutta la differenza del mondo. Velocità, qualità e lettura appartengono tutte al bagaglio di Farrell.

Anche Barrett ha provato a giocare dietro coi runner, ma spesso ha preferito tenere palla perché la difesa sparava l’uscita e l’unico modo per non rischiare intercetti è tenerla. Anche questa è capacità di leggere e non rischiare.

 

 

Un giocatore che non mi ha convinto 

Dico Watson. Ha appoggi incredibili e assieme a Joseph è uno dei pochi giocatori dell’Emisfero Nord elettrico ed elusivo nell’1 v 1. Ma non mi ha mai dato impressione di essere adatto a questi livelli, perfetto per l’Inghilterra, ma i Lions sono ad un piano superiore. Per lui Gatland ha rinunciato a North, giocatore dalle qualità atletiche e fisiche di assoluto livello. E con Liam Williams estremo e Daly all’altra ala, fantasia e gambe c’erano già nel triangolo allargato.

 

 

Poite: tra vantaggi lunghi e altri molto corti

Poite nel corso della partita ha fatto giocare molte mischie ordinate anche dopo crolli, con piloni a terra e pack storti. La punizione che ha mandato Barrett in piazzola dopo il fallo di Sinckler è giusta e c’è tutta: ma per come aveva fino a quel momento interpretato e gestito la fase, forse ci si poteva aspettare che lasciasse correre. Una mancanza di consistenza. Ma ripeto, il fallo c’era e Poite ha arbitrato bene un match delicatissimo.

Capitolo ultima azione. Poite è un arbitro che lascia giocare, spesso concede lunghi vantaggi: quando Owens si accorge di aver sbagliato e lascia la palla, Lienert-Brown la raccoglie e corre verso la meta. Ma a quel punto Poite ha già fischiato, forse troppo in fretta considerando che solitamente lascia un lungo vantaggio. Contro gli Hurricanes per esempio, il giallo ad Henderson è arrivato al termine di un’azione con doppio lunghissimo vantaggio. Ha avuto fretta di fischiare. Sulla decisione, la mia sensazione è che Owens prenda consapevolmente la palla in mano e una frazione di secondo dopo la lasci accorgendosi di aver sbagliato. Forse Poite non ha avuto il coraggio di dare una punizione che, a termini di regolamento, poteva anche starci e che avrebbe consegnato la serie ai tutti neri. Ci siamo dimenticati di come la Scozia è uscita dall’ultima World Cup contro l’Australia?

 

di Filippo Frati

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