Se nel 2020 non serviranno due franchigie, bisogna dimezzare l’impegno celtico. Non abolirlo
Fino al 2020 sarà Pro12. E’ questa la notizia uscita dall’incontro di Roma tra Martin Anayi, Direttore Operativo del Pro12, e il Presidente della FIR Alfredo Gavazzi. Fino al termine dell’accordo celtico, l’Italia parteciperà al torneo con due squadre, Benetton e Zebre. A Treviso, dove da tempo si è organizzata e programmata la nuova stagione, c’è solo da fare i conti con problemi collaterali al possibile ingresso già dalla prossima stagione delle formazioni sudafricane: la situazione di stallo ha bloccato la stampa delle divise e rinviato la campagna abbonamenti.
Nulla a che vedere con la situazione di Parma. La prossima settimana dovrebbe tenersi in Cittadella l’incontro tra il Presidente Alfredo Gavazzi, il nuovo Amministratore unico Andrea Dalledonne, staff tecnico, staff societario e giocatori. Da lì si potrà partire per organizzare – in tempi ristrettissimi – le prossime stagioni. Arrivare al 2020, deadline stabilita dal contratto con il Pro12 e data che, verosimilmente, segnerà cambiamenti nella nostra partecipazione al Pro12. Prevedere il futuro è impossibile (oltre che rischioso), ma ipotizzare gli scenari più probabili – anche alla luce dei primi sette anni celtici – è cosa ben diversa e più facile.
Partiamo con una premessa. Più passa il tempo e più sarà difficile – un domani – pensare di lasciare il Pro12 e tornare a puntare con forza sul nostro campionato. Certo, leggere l’avventura celtica con l’unità di misura dei risultati della Nazionale e nelle Coppe Europee, può portare a pensare non solo che siamo rimasti fermi, ma addirittura che abbiamo mosso passi indietro. Ma il vero problema non è la crescita dentro e fuori dal campo del rugby italiano; piuttosto, il rapporto tra la nostra velocità di crescita e quella delle rivali Tier 1 verso cui aspiriamo. Già siamo partiti indietro e in più, allo stato attuale delle cose, per ogni passo che facciamo gli altri ne hanno già fatti cinque. Oppure prendiamo strade tortuose che dopo anni di energie investite scopriamo portarci al punto di partenza: i Centri di Formazione Permanenti Under 18 torneranno ad essere quattro, numero simile a quello del 2009 quando vennero inaugurate le (prime) tre Accademie Zonali U17/18 di Mogliano, Parma e Roma.
Uscire dal Pro12 e tornare ad un domestic forte potrebbe anche essere la soluzione: ma dopo quanto altro tempo arriverebbero i risultati sperati? O meglio, la domanda corretta è diversa: quanta altra strada in avanti farebbero le altre nazioni mentre noi riorganizziamo e riformiamo i piani alti della nostra piramide ovale? Ancora, siamo davvero sicuri che nel panorama attuale i club abbiano le competenze tecniche e manageriali per farsi carico di una simile responsabilità? Considerando poi che in caso di uscita dal mondo celtico in diversi prenderebbero la strada dell’estero – compresi i giovani a cui verrebbe negato lo sbocco in franchigia – bisognerebbe ricostruire un intero gruppo di giocatori di Alto Livello. Il vero problema è un altro ed esula dal torneo e da altre dinamiche. Nessuno vuole e può negare che la svolta celtica abbia avuto un effetto nefasto sui club. Ma visto in un’ottica di pura crescita collettiva, non è il Pro12 ad essere sbagliato: è il modo in cui è stato in parte affrontato in questi primi sette anni ad averlo reso tale.
Comunque, dopo il 2020 avrebbe senso continuare con due franchigie solamente se la seconda potesse spostarsi da Parma, dove il terreno è ormai arido, e approdare in una grande città. L’unica alternativa al momento sembra Milano, verso cui si è già spostata l’attenzione della FIR. In caso contrario, più logica sarebbe la soluzione della franchigia unica, in grado – almeno a livello di budget – di avvicinarsi alle rivali. Si restringerebbe il canale verso la Nazionale, ma questi sette anni hanno dimostrato che non abbiamo le competenze sportive e manageriali per sostenere due franchigie. Entro il 2020 sapremo anche se il sistema delle Accademie, con annessa riforma/ritorno, avrà dato i frutti previsti. La speranza è che serviranno due franchigie per accoglierli tutti; l’obiettivo è non farsi trovare impreparati.
di Roberto Avesani
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