Le parole di Campagnaro e due iniziative da Newport e Bath testimoniano l’importanza di avere realtà forti
Dall’Italia all’Inghilterra le ore di volo sono poche, ma la distanza ovale si sa è parecchia. Tra numeri impressionanti, tornei domestici di altissimo livello e una Nazionale di nuovo ai piani nobili dopo un Mondiale disastroso in campo ma non fuori, quello inglese è un movimento in grande salute. Il posto ideale dove essere un giocatore di rugby professionista. Ne è ben consapevole Michele Campagnaro, centro classe 1993 recentemente laureatosi campione d’Inghilterra con i suoi Exeter Chiefs, dove nonostante l’enorme concorrenza è riuscito a farsi valere guadagnando a febbraio un altro anno di contratto. L’ex giocatore di Treviso, 32 caps in Nazionale, ne ha parlato in una recente intervista al Gazzettino, in cui mette in luce tutte le differenze ovale tra le due realtà.
Si parla di ottenere un posto in squadra (“Quest’anno spero di partire subito forte e prendermi quello che mi spetta, se lo merito. Ma so che sarà dura. Qui il sistema a parità di valori privilegia gli inglesi”), del solito problema dell’abitudine alla sconfitta delle squadre italiane (“A Treviso eravamo quasi sempre rassegnati all’idea di perdere […] alla lunga fa la differenza sul mentale e sulla fiducia nei propri mezzi”), dell’intensità in campo durante la settimana e in partita (“Ogni sabato o domenica è una battaglia, mi stupisco ogni volta di venirne fuori”). Ma soprattutto si parla dei limiti del sistema ovale italiano.
“E’ il sistema Italia del rugby, nel suo complesso, che negli ultimi anni ha continuano ad andare verso il basso. I risultati della squadra azzurra ne sono la conseguenza […] Il problema è che manca una continuità, un obiettivo”. “Non puoi dare sicurezza a un sistema quando alla base non c’è nessuna fondamento“.
Parole molto chiare e dette da chi ha conosciuto e toccato con mano il professionismo e l’Alto Livello. Ma va da sé che pensare di confrontare il sistema ovale italiano con quello inglese, è quanto mai azzardato. La vera domanda che però sorge è un’altra: esiste in Italia un vero e proprio sistema rugby? Sistema inteso come piramide in cui alto, medio e base del livello dialogano tra loro in maniera costruttiva attraverso iniziative e attività che partono dai piani alti e a cascata vanno a toccare e portare beneficio a chi sta sotto. La sensazione ormai netta è che dalle nostri parti i club abbiano perso il ruolo di punti di riferimento a livello locale, sia per il generale indebolimento economico sia per un sistema di formazione giovanile mirato all’Alto Livello a controllo federale, che ha fatto perdere progressivamente alle società forti il compito di faro tecnico. Alcuni esempi che arrivano dall’estero aiutano a meglio comprenderne significato e portata.
Due belle iniziative da Newport e Bath
In Galles i Dragons sono finiti dal primo luglio sotto il completo controllo federale. Dopo anni difficili si è deciso di cambiare pagina: nuova era, nuovo logo, rilancio del brand, nuovo nome (“Dragons”), nuovo head coach (Bernard Jackman, ex Grenoble), nuovo campo sintetico a Rodney Parade e, nel giro di un anno, un nuovo Board e un nuovo Presidente. Per rafforzare la propria presenza e adempiere al proprio ruolo di punto di riferimento ovale della Regione, sono state presentate una serie di iniziative. Una partita interna di campionato verrà giocata lontano da Rodney Parade (“Dragons on the road”), mentre una sera al mese si terrà la “Coach Talk” guidata da Jackman in persona: una serie di incontri gratuiti a cui possono partecipare i tecnici della Regione di qualunque livello, con un argomento di discussione che cambia di volta in volta e l’head coach Dragons a fare da professore e rispondere alla sessione di domande.
Bath ha invece lanciato il progetto “Giveback to Grassroots Rugby”: per ogni maglia comprata, la società e Canterbury devolveranno 10 sterline – in forma di materiale tecnico – ai club di base del territorio. Una piccola iniziativa e una goccia d’acqua nel panorama ovale inglese, ma che testimonia il ruolo e la responsabilità che i club forti hanno nella propria area di riferimento. E che danno un esempio degli infiniti modi in cui si può tradurre e concretizzare l’idea di sistema e piramide a comparti non stagni.
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