Espressionismo e Guinness, artisti e pubblicitari: la storia iconografica del rugbista

Marco Pastonesi ha incontrato Davide Scaini, autore di una tesi sulla rappresentazione artistica (e non) del rugby nel tempo

“Football” di William Barnes Wollen (1879)

Il quadro più antico, forse, è il “Football” dell’inglese William Barnes Wollen, anno 1879: un rugbista che, pallone custodito dal braccio sinistro, sfugge a un placcaggio e vola in meta.

Il più forte è “A football match: England vs Scotland” degli inglesi William Overend e Lionel Percy Smithe, anno 1886: una battaglia campale, con il pallone conteso tra fanti più che tra giocatori.

Il più aereo è “The Roses match”, ancora di William Barnes Wollen, anni 1895-1896: la guerra delle rose fra Yorkshire (bianca) e Lancashire (rossa), al Park Avenue di Bradford, il 25 novembre 1893, con il pallone sospeso in aria, e tutto ancora da giocarsi (ma a vincere, si sa, fu il Lancashire).

Il più celebre è “I giocatori di palla ovale” del francese Henri Rousseau, anno 1908: forse soltanto un allenamento, al Bois de Boulogne, con quattro giocatori, in un’atmosfera più da sogno che non da combattimento.

Davide Scaini si è laureato al Dams (Disciplina delle Arti, della Musica e dello Spettacolo), all’Università di Padova (nell’anno accademico 2014-2015), con una tesi su “La rappresentazione iconografica del giocatore di rugby: da Henri Rousseau al calendario dello Stade Français”. Da appassionato di rugby, propone un rugby appassionante: quello degli artisti, pittori e designer, fotografi e pubblicitari, ricercandone ispirazioni e stili, fissando date e titoli, ma anche inseguendo destinazioni e abitazioni.

Così Scaini – lo incontro a Rubano (Padova): le strade del rugby attraversano le province – ci ricorda le opere del francese Robert Delaunay, che fra il 1912 e il 1922 eseguì una serie di dipinti, in varie versioni, battezzati “L’Équipe de Cardiff” o “The Cardiff team”: tra cubismo e futurismo, tra inchiostri neri e pastelli a cera, tra cartelloni pubblicitari e la Torre Eiffel.

Poi recupera le geometrie di “The rugby players” del francese Albert Gleizes, del 1912-1913, e i colori dei “Joueurs de rugby” del francese André Lhote, a cavallo fra gli anni Dieci e Venti, l’espressionismo del “Rugby players” del tedesco Max Beckmann, del 1929, e il divisionismo del “Rugby” di Giuseppe Cominetti, del 1914.

Ci sono opere sorprendenti, come il “Retrato de un jugador de rugby”, del messicano Angel Zàrraga, del 1925: la giovinezza e la snellezza del giocatore, la devozione con cui tiene il pallone, le strisce verticali (anziché orizzontali) della maglia. E ancora le immagini di Ottorino e Corrado Mancioli, del 1929: un elogio della forza, un inno alla prestanza, un richiamo agli ideali del fascismo.

Scaini dà spazio anche a opere più facili e recenti: dalle pubblicità della birra Guinness e Peroni alla copertina di un “Topolino” francese, dalle campagne giocate sulle haka degli All Blacks alle divise variopinte, floreali o alla Andy Wahrol, volute da Max Guazzini per lo Stade Français. “Il giocatore di rugby – conclude Scaini – è passato da serioso e robusto atleta a uomo dalla fisicità estrema”, ma “quello che sino a pochi decenni fa era considerato un essere incapace di qualsiasi azione volta alla gentilezza e alla grazia, oggi diviene sinonimo di sicurezza e protezione, di maschia bellezza e di serenità, di schiettezza e sincerità, di obbedienza e affidabilità”, “salvo talune eccezioni, vedasi il ‘gigante buono’, Martin Castrogiovanni”, tant’è che il rugby, “arte ludica dell’uomo, inevitabile simulazione di una battaglia, è lo sport più epico che sia mai stato raccontato”. Lode.

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