Abbiamo intervistato una delle più attese giocatrici del Mondiale Femminile
DUBLINO – “Il risultato finale forse non riflette quanta fatica abbiamo dovuto fare per battere il Canada al termine di una gara molto fisica. Ci aspettavamo questo tipo di partita e ci siamo fatte trovare pronte.”
Portia Woodman, ala delle Black Ferns e una delle giocatrici più attese in questa WRWC in corso di svolgimento in Irlanda, non ha finora deluso le aspettative. Le otto mete marcate nella demolizione di Hong Kong – che lei ha subito voluto condividere con tutte le sue compagne – sono soltanto la punta dell’iceberg di un talento purissimo sviluppatosi nel Sevens, un gruppo unitissimo di giocatrici sempre pronte a dare tutto per le compagne e che hanno segnato la storia recente della Women’s Sevens World Series – oltre a detenere, fino al luglio prossimo, il titolo di Campionesse del Mondo conquistato a Mosca nel 2013. 142 mete marcate in cinque stagioni, World Rugby Women’s Sevens Player of the Year nella stagione 2014/15 (chiusa con 52 mete), medaglia d’argento a Rio 2016 (ma la sconfitta in finale contro l’Australia resta uno dei momenti più duri da superare).
Nel 2013 Portia debutta nel rugby XV dopo aver lasciato il netball e il suo impatto è subito impressionante, ma questa WRWC è la sua prima esperienza nella massima competizione femminile iridata a livello XV. L’altra atleta che aveva seguito lo stesso percorso è Kayla McAlister, al momento mamma a tempo pieno dopo aver contribuito ai successi della “famiglia” del Sevens neozelandese.
“È stato molto difficile all’inizio il passaggio perché io, come tutte le ragazze arrivate dal Sevens, mi sono trovata a dover giocare con nuove compagne in un campo che sembrava diverso adattandomi ad un gioco che è diverso. Ma dal punto di vista delle skills e della tecnica, credo che il Sevens mi abbia dato un vantaggio dal punto di vista dei passaggi e della ricezione, perché devi fare a volte passaggi di venti metri e devi essere perfetta quando ricevi l’ovale perché molto spesso non hai sostegno immediato delle tue compagne. Quindi, riassumendo: tecnicamente il Sevens mi ha aiutata, ma dal punto di vista della tattica il XV è tutto un altro sport.”
Portia, quando racconta come le Black Ferns sono riuscite a non lasciare scampo al Canada nella prima super-sfida dell’ultima giornata della fase a gironi, lo fa con una naturalezza che rende le cose difficili le più semplici.
“Come abbiamo fatto a rendere un big-match in un mismatch? Sapevamo che il Canada era una squadra forte e noi dovevamo rispondere colpo su colpo e metterle in difficoltà fin dall’inizio, non lasciando mai campo al loro gioco, e ci siamo riuscite.”
Fare bene quello che si era preparato. Come se fosse la cosa più facile al mondo.
Ma il segreto di tutto questo è non essere mai contente, non fermarsi mai e cercare sempre punti di miglioramento: “Cosa possiamo fare meglio? Dobbiamo essere più brave nel mantenere il possesso e al breakdown, dopo quattro/cinque fasi dobbiamo riuscire a creare la piattaforma giusta per giocare l’ovale al largo, dove possiamo sempre fare male. Personalmente, invece, devo fare in modo di avere sempre la possibilità di ricevere la palla, andare a cercare le mie compagne magari anche accentrandomi un pò di più e mettermi in condizione di essere sempre al centro del gioco.”
Prossima tappa Belfast, quando martedì 22 agosto le Black Ferns scenderanno in campo contro gli Stati Uniti per portarsi un passo più vicine a quel Trofeo già vinto quattro volte ma che manca da sette anni dalla loro bacheca.
di Matteo Mangiarotti
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