Dopo le batoste dello scorso anno si tornerà ad una sfida in stile 2015. Un bene per tutti
Dal 2008 ad oggi 21 incontri, 15 vittorie All Blacks e 6 Springboks. Gli ultimi due precedenti impietosi: 57-15 a Durban e 41-13 a Christchurch, nel Championship 2016. Prima di allora grande equilibrio: 20-18 nella semifinale iridata 2015, vittoria 27-20 pochi mesi prima a Johannesburg, sconfitta 27-25 nel 2014 sempre in Sudafrica e vittoria 14-10 lo stesso anno in quel di Wellington. La sensazione è che il 16 settembre al QBE Stadium sotto la direzione di Nigel Owens assisteremo ad un Nuova Zelanda-Sudafrica più simile agli incontri dal 2015 in giù. E il rugby ne aveva davvero bisogno.
Un anno fa il Sudafrica viaggiava in quarta posizione del ranking mondiale, che sarebbe diventata sesta dopo le sconfitte di novembre contro Inghilterra, Italia e Galles. A meno di 12 mesi di distanza, gli Springboks hanno riguadagnato il terzo posto: certo, l’Inghilterra è lontana (+5) e la Nuova Zelanda lontanissima (+10), ma è innegabile la ripresa ovale – dentro e fuori dal campo – della Rainbow Nations. Allister Coetzee deve aver passato mesi davvero difficili, ma la SARU ha fatto quadrato attorno a lui proteggendolo con uno staff tecnico di primo livello (Franco Smith e JP Ferreira, più la consulenza di Venter per la difesa). Nel frattempo la Federazione dimostrava piglio decisionale indirizzando Cheetahs e Kings verso il defunto Pro12: vero che rispetto ai Force di Perth la logistica è completamente diversa, ma è innegabile che la SARU abbia gestito l’uscita dal Super Rugby in modo meno traumatico rispetto ai colleghi australiani.
Intanto in campo qualcosa cambiava. Replicare il gioco Lions targato Johan Ackermann era impossibile (“Non alleno una squadra composta da soli giocatori Lions, le cose sono diverse. I nostri avversari studiano come battere il Sudafrica, non come battere i Lions”, Allister Coetzee, agosto 2016) e i tentativi sono stati negativi non tanto sui risultati quanto sulla prestazione, tanto che il primo ottobre 2016 servi il vecchio Steyn – con la maglia numero 10 – per togliere le castagne dal fuoco e battere 18-10 l’Australia con quattro penalità e due drop. Il ruolo di regista è tornato poi a Elton Jantjies, non più in coppa col folletto de Klerk ma assieme a mediani di mischia più quadrati e più di impronta Springboks come Hougaard e Cronje.
Sicuramente anche il gioco Springboks ha risentito dell’ondata di manualità e ball in play che ha travolto Ovalia negli ultimi tempi. Ma tornare al successo e ricominciare a vedere i fasti è stato possibile grazie al ritrovato dominio in mischia ordinata, con un Etzebeth responsabilizzato dai gradi di capitano, il work rate di Marx, due terze linee perfette per questo gioco come Kolisi e Kriel (e in attesa di Warren Whiteley). E nella linea veloce Serfontein e Coetzee stanno giocando un rugby pazzesco (in attesa di Pollard).
Ovalia tutta ha bisogno di un Sudafrica forte e competitivo. E i primi sono gli All Blacks, che per continuare a migliorare in modo ancora più netto e deciso devono sentire la pressione dal basso. E il Sudafrica è una delle poche squadre che è sempre stata in grado di metterla.
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