Promossi e bocciati dopo la terza giornata del torneo dell’Emisfero Sud
107 punti segnati in 160 minuti di gioco. Un bilancio niente male quello della terza giornata del Rugby Championship. Due partite molto diverse tra loro: in Australia, gli Wallabies sono la squadra che ha più da recriminare per non essere riuscita a spuntarla nel match che li ha visti pareggiare con un Sudafrica meno brillante che in altre uscite; in Nuova Zelanda, l’Argentina si trova sopra di 7 punti al sessantesimo con un uomo in più, ma le gambe degli uomini di Hourcade vacillano, mentre gli All Blacks reagiscono e ne escono vincitori.
Partite che in ogni caso hanno visto prestazioni ragguardevoli, anche da parte di nomi meno attesi, e prestazioni decisamente insufficienti, magari proprio da attribuire a giocatori più blasonati. Abbiamo deciso di scegliere quattro nomi per ogni partita, due per ogni squadra: chi ci ha riempito gli occhi questo sabato mattina, e chi ci ha invece deluso rispetto alle attese.
Argentina
L’Argentina è forse la squadra che meno di altre riesce a nascondere le proprie magagne: in questo inizio di torneo sembrano la squadra nettamente inferiore alle altre. Una squadra corta, con giocatori per lo più fuori forma o che hanno passato il periodo migliore della loro carriera. Lo scarso ricambio generazionale incomincia a farsi sentire.
Daniel Hourcade si affida a Benjamin Macome come numero 8 e il trentunenne terza linea non delude, giocando un’ottima partita sia dal punto di vista statistico (45 metri di avanzamento in 7 corse, per ESPN) che pratico, cogliendo sicuramente più l’occhio rispetto alle scialbe prestazioni di Leguizamon e Senatore, infortunatosi, delle settimane scorse. Da segnalare anche la grande prova, al solito, del capitano argentino Agustin Creevy, monumentale e iconico nella sua prova.
Il migliore dei suoi però è uno dei più giovani della selezione: Emiliano Boffelli, 22enne ala di Rosario, al suo quinto cap con i Pumas. I primi due, prima del Rugby Championship, sono arrivati lo scorso giugno contro l’Inghilterra, dove ha segnato subito due mete, e un’altra al Sudafrica in agosto. Oltre alla pericolosità offensiva datagli dal fisico imponente, Boffelli è bravo ad andarsi a cercare lavoro in giro per il campo in modo da essere sempre protagonista.
Da non trascurare la notevole potenza ed educazione del suo piede: arma in più dal punto di vista tattico nel triangolo allargato argentino, Boffelli ha dimostrato grandissima precisione quando si tratta di calciare verso i pali da notevole distanza. 6 punti questa domenica contro gli All Blacks, entrambe le volte superando i 50 metri di distanza dai pali, e in una delle due occasioni anche da posizione defilata.
Fra le delusioni, un giocatore che non sta particolarmente brillando è Nicolas Sanchez, al quale evidentemente non riescono alcuni dei colpi che lo hanno portato nell’élite mondiale negli anni scorsi. Disordine, errori e una certa fragilità difensiva appannano una prova che comunque ha visto il numero 10 argentino mettere a segno 16 dei 22 punti dei suoi, segnando in tutti i modi possibili: una meta, la relativa trasformazione, due calci di punizione e un drop. I punti messi a segno non raccontano tutta la storia della sua partita, ma Sanchez non merita la palma di peggiore dei suoi.
Un giocatore da cui l’Argentina deve avere qualcosa in più è l’ormai esperto Pablo Matera. 5 placcaggi sbagliati, 2 turnover concessi, 20 metri guadagnati in 13 cariche (sempre fonte ESPN) sono già di per sè una linea statistica che esprime un giudizio netto sulla prestazione del flanker. Se a questo si aggiunge l’occasione da meta sprecata nel momento chiave della gara, prima del giallo a Barrett, pensando di poter arrivare oltre la linea con il fisico, cominciano ad essere troppe le ombre sulla prestazione di che ha sì solamente 24 anni, ma che sabato festeggiava il quarantesimo cap in maglia Pumas e dovrebbe essere una delle ancore della sua formazione.
Nuova Zelanda
Lo dico subito: chi mi è piaciuto meno di tutti in questi All Blacks è stato il loro mediano di apertura Beauden Barrett, e non è la prima partita nella quale, a mio parere, il 10 in maglia nera non è all’altezza del suo livello. Difficile sostenere una affermazione del genere dopo aver visto il delizioso calcio con cui Barrett ha servito la seconda segnatura dei neozelandesi a Anton Lienert-Brown.
Eppure da Beauden Barrett mi aspetto di più nell’economia generale del gioco degli All Blacks: ultimamente il numero 10 commette diversi errori, alcuni dimostrano superficialità e poca concentrazione sul gesto tecnico, come in occasione dei due calci d’inizio calciati non oltre i 10 metri. Sembra quasi che l’apertura dei tuttineri gigioneggi un po’, complice la superiorità della propria squadra.
Barrett si è poi reso colpevole di un fallo professionale che gli è costato 10 minuti fuori dal campo nel momento in cui la sua squadra era sotto massima pressione. Pressione che è stata immediatamente alleviata dalla grande reazione dei numeri uno del ranking mondiale, ma in maniera certo non scontata.
Infine, Beauden Barrett è stato il principale motivo per cui l’Argentina è rimasta attaccata al match quando gli All Blacks avevano segnato tre mete nel primo tempo contro una allo scadere da parte dei Pumas, per via del suo 0% dalla piazzola che, francamente, comincia a diventare un problema troppo ricorrente. Un problema che potrebbe ripresentarsi in situazioni meno piacevoli e costare qualcosa. È per questo che Steve Hansen potrebbe meditare di inserire in cabina di regia il più ordinato Lima Sopoaga, infallibile al piede, magari non nel prossimo atteso scontro contro gli Springboks ma più probabilmente in Argentina.
Come migliore dei suoi come non citare la partita bestiale giocata da Vaea Fifita, al suo esordio dal primo minuto con la maglia numero 6 degli All Blacks, che si candida seriamente a mantenere per il resto del torneo.
Fifita si è reso protagonista di una prova enorme: prima la carica con la quale intorno al ventesimo ha steso tre avversari, percorrendo coast to coast il terreno fra le due linee dei dieci metri nel traffico, poi con l’azione che ha cambiato la partita, al cinquantesimo.
Barrett ha appena lasciato i suoi in quattordici uomini e l’Argentina è andata sopra di sette: a mezz’ora dalla fine si sono addensate delle nuvole pesanti su New Plymouth.
Sul calcio d’inizio gli All Blacks recuperano il pallone e lo spostano subito fuori, dove Fifita riceve al centro del campo, sulla linea dei dieci metri. Fa fuori Cordero in velocità (!), ed è troppo lanciato per farsi impensierire dal recupero di Nicolas Sanchez. Fifita gira intorno a tutti e va a depositare nell’angolo sinistro. È la meta che schianta l’Argentina, che non avrà più la forza di replicare.
Riassunto statistico della partita offensiva di Fifita: 11 cariche, 113 metri fatti, 3 clean breaks e un pazzesco 11 nella colonna dei difensori battuti.
Sudafrica
C’era una volta la rinascita del Sudafrica. Questo sabato gli Springboks sono riusciti a strappare il pareggio in Australia in una partita che forse i padroni di casa avrebbero meritato maggiormente. Opaca invece la prestazione sudafricana, capace di esaltarsi solo in qualche percussione verticale dei suoi avanti.
Delle due mete marcate, una è stata segnata con una rolling maul devastante e perfetta, un po’ come la fotocopia di qualche minuto prima, ma a parti invertite, l’altra decisamente viziata da una spinta di Rhule su Hooper non sanzionata dall’arbitro.
Se Siya Kolisi ha dimostrato lo stato di grazia degli ultimi mesi, Malcolm Marx ha invece in questa partita un po’ deluso le attese, rimanendo in penombra. Chi invece è andato meglio degli altri è stato Coenie Oosthuizen, autore di una splendida partita difensiva.
Il pilone degli Sharks ha chiuso con ben 15 placcaggi prima di dover uscire per infortunio. 28 anni e poche presenze da titolare al suo attivo, chiuso fino a ieri da una prosperosa generazione di piloni sudafricani, Oosthuizen è il tipo di pilone dalla circonferenza importante, ma dalla sorprendente rapidità, con un’insospettabile tendenza a non voler cadere a terra.
Insoddisfazione invece per la prestazione di Jesse Kriel: il secondo centro sudafricano è tanto dotato fisicamente, quanto povero da un punto di vista tecnico, soprattutto per quanto riguarda le sue letture delle situazioni di gioco.
Kriel, che ha una velocità veramente impressionante, con quel suo stile di corsa potente e muscolare, ghepardesco nell’allungo, possiede fondamentalmente una sola soluzione quando si trova davanti alla difesa schierata: cercare di battere in velocità l’avversario all’esterno, in modo da creare almeno un vantaggio per l’attacco da sfruttare attraverso un passaggio.
Così facendo però, il giovane centro trasmette spesso la pressione della difesa avversaria in una zona di campo più vicina alla linea laterale, congestionando le spaziature dell’attacco già di per sé non particolarmente apprezzabili in una linea arretrata sudafricana che, comunque, cerca di giocare di più il pallone rispetto a qualche anno fa.
Kriel ha solo 23 anni ed ha già collezionato 22 presenza, di cui solo 4 dalla panchina. Il tempo è dalla sua parte, ma deve dimostrare di lavorare sui suoi difetti se vuole smettere di essere preso di mira dalle critiche di Nick Mallett.
Australia
Viso pallido e allungato, spalle strette per essere un rugbista, riccioli biondi: è l’identikit di Ned Hanigan, il terza linea dei Waratahs che, stando alle scelte di Cheika in queste tre giornate del Rugby Championship, è titolare della maglia numero 6 dell’Australia.
Eppure, il classe 1995 non si è dimostrato all’altezza in nessuna delle tre partite giocare nel torneo. Disastroso come tutta la squadra nella disfatta della prima giornata, salvato dalla gloriosa sconfitta della settimana successiva, Hanigan arrivava a questa giornata con il dovere di farci vedere qualcosa: non è stato così. Le statistiche non dicono tutto, ma spesso, come per l’appunto in questo caso, dicono molto: 4 cariche in attacco per 0 metri percorsi, 6 placcaggi riusciti e 4 sbagliati (sempre per ESPN).
Sarebbe carino e divertente assegnare il premio di miglior Wallaby della giornata a qualcun altro piuttosto che a Kurtley Beale, il nome più scontato. Nonostante le buone prestazioni di altri peraltro noti volti come Israel Folau e Michael Hooper, che ha ricordato quello dei giorni migliori, Beale è inconfutabilmente il migliore dei suoi anche questa settimana.
Sebbene sia difficile capire se abbia beneficiato di più dell’esperienza in Inghilterra o del ritorno in madrepatria, Kurtley Beale è il valore aggiunto di questa Australia. Non è tanto la meta, certo facilitata dalla difesa avversaria (ma intanto bisogna farla), quanto l’apporto a tutto il gioco offensivo della nazionale australiana, sdoppiandosi nei ruoli di playmaker aggiunto quando il pallone è in mano ai Wallabies e di membro del triangolo allargato quando il pallone lo hanno gli altri, ma il territorio occupato è quello avversario.
Per l’Australia una prova importante contro l’Argentina la prossima settimana: due squadre assetate di vittoria si giocheranno tanto nello scontro di sabato. Una sfida da non mancare.
di Lorenzo Calamai
Ovale Internazionale
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