Port Elizabeth e Philadelphia, un doppio flop di pubblico. Ma con due facce diverse

Scenario desolante per Kings-Leinster. Non va molto meglio per Newcastle-Saracens, ma la Premiership sa guardare oltre

ph. Action Images / Felix Dlangamandla

ph. Action Images / Felix Dlangamandla

C’era grande curiosità attorno alle prime partite nella storia del neonato PRO 14 in Sudafrica, dopo la rivoluzione lampo portata avanti in estate dalla lega celtica. I Cheetahs e i Kings hanno accolto il Leinster e le Zebre in due stadi moderni e incantevoli come il Free State Stadium e il Nelson Mandela Bay Stadium, entrambi utilizzati per la Coppa del Mondo 2010 di calcio e entrambi capaci di ospitare circa 46.000 persone. Ma se a Bloemfontein, complice anche l’ingresso gratis agli spalti, la risposta di pubblico è stata positiva (circa 13.000 spettatori), lo stesso non si può dire dell’interesse generato intorno alla sfida tra Kings e Leinster a Port Elizabeth, dove lo scenario è stato a dir poco desolante. La curiosità, insomma, stava soprattutto in Irlanda.

 

Ma quanta gente c’era, dunque, al Nelson Mandela Bay Stadium? Poca, pochissima. I dati ufficiali del PRO 14 parlano di 3.011 anime, ovvero un numero di persone che non rimpirebbe completamente nemmeno la tribuna coperta dello stadio Monigo a Treviso. Tutto questo nonostante un potenziale bacino di utenti superiore al milione se ci riferiamo all’intera municipalità di Nelson Mandela Bay, di cui Port Elizabeth è la città più grande e rappresentativa. Un’accoglienza esageratamente fredda, che non promette di migliorare considerando l’avversario affrontato dai Kings nell’ultimo fine settimana: Leinster. Con tutto il rispetto, non esattamente le Zebre, i Dragons, lo stesso Benetton o Edimburgo. Se una squadra con tre Heineken Cup, quattro PRO 12 e numerosi giocatori all’interno della categoria di quelli che “valgono il prezzo del biglietto”, nonché una delle più entusiasmanti da veder giocare in Europa, attira poco più di 3.000 spettatori allora i dubbi su quanto l’ingresso di una franchigia come i Kings possa portare alla competizione possono diventare legittimi.

 

Tutto l'entusiasmo di Port Elizabeth per l'arrivo del PRO 14 (ma poi sono davvero 3.011 spettatori?).

Tutto l’entusiasmo di Port Elizabeth per l’arrivo del PRO 14 (ma poi sono davvero 3.011 spettatori?), nonostante i prezzi dei biglietti partissero da una cifra come tre sterline.

 

Non sappiamo quali fossero le previsioni del board dei Kings o di quello del PRO 14, ma pare improbabile che non abbiano temuto un risultato del genere. Nell’ultimo Super Rugby, del resto, la panoramica del Nelson Mandela Bay Stadium non è stata poi molto differente, eccezion fatte le partite contro gli Sharks (22.000 persone) e contro i Cheetahs (10.000), ultima partita nel massimo torneo dell’Emisfero Sud. Oltre all’occasionalità del pubblico casalingo, proprio lo splendido impianto di Port Elizabeth sembra rappresentare un altro problema per i Kings, come Murrayfield allo stesso modo rappresentava un mastodontico dilemma da risolvere per Edimburgo. Il trasferimento al Myreside concretizzato durante la precedente stagione è da leggere proprio in questo senso: creare un ambiente più accogliente ed evitare una dispersione che, anche a livello di immagine, poteva essere estremamente dannosa. Ma alla franchigia sudafricana, al momento, sembra mancare innanzitutto il pubblico (e i risultati, ma quello è un altro discorso). Non il miglior modo per iniziare un rapporto che, stando ai contratti firmati, dovrebbe essere di ben sei anni.

 

Diciamocelo: non erano proprio 3.000.

Diciamocelo: forse non erano proprio 3.000.

 

Il flop di Philadelphia e l’ottimismo della Premiership

Nemmeno la città dell’amore fraterno ha visto di buon occhio il tentativo di espansione dell’Europa, in questo caso la Premiership, all’interno delle sue mura. Al Talen Energy Stadium il massimo campionato inglese ha esportato la sfida tra Newcastle e i Saracens, ovvero la squadra più forte del Vecchio Continente negli ultimi due anni che, per l’occasione, faceva debuttare in stagione fuoriclasse come Liam Williams, Owen Farrell, Maro Itoje, Jamie George e i fratelli Mako e Billy Vunipola. Rispetto allo scorso anno, quando London Irish e sempre i Saracens si sfidarono davanti alla discreta platea dei 14.811 della Red Bull Arena a Harrison (capienza di 25.000 spettatori), la Premiership può serenamente ammettere la propria sconfitta di fronte alle poco confortanti immagini arrivate dalla Pennsylvania. Il Talen Energy, impianto da 18.000 posti a sedere, era pieno soltanto per un terzo considerando il dato ufficiale di 6.271 spettatori.

 

Il grande legame di Philadelphia con lo sport non è bastato per fare bella figura Oltreoceano alla palla ovale inglese, rimandata anche al secondo appello dopo la non eccezionale risposta di pubblico di un anno fa. E il capitombolo, questa volta, ha fatto più rumore tra i media inglesi, che hanno sottolineato come il rugby britannico sia ancora distante dal far breccia nel cuore degli statunitensi. Tra i dirigenti della Premiership, tuttavia, resta l’ottimismo per un progetto a lungo termine che prevede altre tre partite in altrettante stagioni da giocare negli USA, con la speranza che il mercato ovale a stelle e strisce possa spiccare definitivamente il volo.

 

La città dell'amore fraterno, ma non con la Premiership. Almeno per il momento.

La città dell’amore fraterno, ma non con la Premiership. Almeno per il momento.

 

Nonostante il dato di Philly sul pubblico sia il quarto più basso delle 18 partite giocate fin qui in campionato, la Lega che organizza il torneo ha fatto sapere al Daily Mail che sarebbe sbagliato giudicare negativamente l’avventura americana della Premiership. “Vorremmo sempre più persone ai nostri match – ha dichiarato un portavoce al quotidiano – Ma il pubblico non fa tutta la differenza con la nostra strategia sostenibile negli Stati Uniti. La nostra prima uscita a Philadelphia è stato molto più di un semplice match di Premiership. È importante ricordare che la partita è solo una parte di quello che vogliamo fare negli States. Inoltre, ci sono anche i dati sugli ascolti di NBC Sports (che trasmette il campionato inglese, ndr)”. Anche se l’American Rugby Dream resta ancora nel cassetto, la Premiership effettivamente si sta mobilitando per gettare le fondamenta per il successo nel futuro non solo con l’evento di facciata (la partita), ma anche con delle attività collegate al di fuori dal campo: nel caso di Philly, degli allenamenti per 1000 giovani giocatori americani e delle sessioni per gli allenatori con due coach inglesi. Si pongono le basi lavorando, per l’appunto, sulle basi. E con una progettualità del genere, a questo punto, qualche flop può essere pure giustificato nel momento in cui si decide di espandersi verso nuovi orizzonti. Anche i migliori sbagliano, ma fino a un certo punto.

 

di Daniele Pansardi

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