Abbiamo intervistato Kobus Potgieter, coach della nazionale e dell’Heidelberger che ha battuto Calvisano
Nel primo turno di Continental Shield Calvisano è stato sconfitto in Germania dall’Heidelberger. Un risultato che ha destato scalpore, anche alla luce del 60-16 con cui un anno esatto fa i bresciani liquidavano i tedeschi. Per capire di più sulla squadra e in generale sul momento del rugby in Germania, abbiamo intervistato Kobus Potgieter, allenatore della nazionale tedesca che in occasione delle partite in Continental Shield fa parte anche dello staff tecnico dell’Heidelberger.
L’Heidelberger ha dominato le ultime stagioni di Bundesliga 1…
Con l’eccezione dell’anno 2015/16 con vittoria finale del Pforzheim, l’Heidelberger è stato campione di Germania ininterrottamente dal 2010. E’ una squadra che riunisce i migliori giocatori anche in chiave internazionale: diciamo che almeno 22/24 membri della rosa sono nel gruppo della nazionale tedesca.
Dal punto di vista sportivo non certo un aspetto positivo…
Avere un team così forte spacca campionato non è certo un bene per il torneo in sé e nemmeno per gli altri club che vi partecipano. Sappiamo che non è certo uno scenario perfetto. Ma noi abbiamo bisogno di una squadra competitiva che possa confrontarsi contro altre formazioni europee in ambito EPCR, anche per capire a che punto siamo. E al momento questo è l’unico modo per farlo.
Il vero sogno è entrare in un torneo come il PRO 14
Esatto, per poi avere a cascata maggiore competitività a livello di club. E’ in questa direzione che lavoriamo: i campionati francesi di qualunque livello sono tendenzialmente chiusi, diverso invece il discorso del PRO 14, per tradizione e per il recente ingresso delle sudafricane. Il punto di arrivo è quello, un team che rappresenti la Germania nell’attuale PRO 14, o comunque in un torneo di alto profilo.
La stessa federazione tedesca ci aveva confermato i contatti da parte del Board. Che cerca soldi e in Germania il mercato non è poi così male…
Sì, c’era e tutt’ora c’è interesse ma al momento non siamo pronti: mancano profondità, strutture e altre cose che una simile competizione richiede. La porta comunque è aperta. Poi servirebbe uno sponsor in grado di sostenere il tutto: al momento la Federazione non sarebbe in grado di sostenere la partecipazione.
La cosa che più vi manca per farlo?
Direi la profondità e la disponibilità di giocatori. Attualmente qui in Germania c’è un forte gap tra il gruppo di giocatori di prima fascia e gli altri: è la nostra più grande sfida. Fisciamente e atleticamente diciamo che siamo già ad un punto migliore, abbiamo alcuni giocatori forti da questo punto di vista.
Sei anche DoR della Wild Rugby Academy (avviata da Hans-Peter Wild, nuovo proprietario dello Stade Francais). Come funziona?
E’ stata aperta una decina di anni fa con l’obiettivo di rappresentare un centro di formazione di eccellenza a disposizione del rugby tedesco. Non è destinata solo ai giocatori ma anche ai tecnici, che lì trovano strutture e persone dove poter imparare sia nel 15 che nel Seven. Come organizzazione, diciamo che non è strutturata come una classica Academy anglosassone per giovani e non è riservata ad una sola fascia di età. E’ un centro di eccellenza a 360°, dove si capisce e si impara il rugby professionistico.
Heidelberger è una squadra molto più forte dello scorso anno. Questione di ciclo o c’è di più?
Abbiamo cercato giocatori in Sudafrica e Nuova Zelanda che potessero rappresentare la Germania a livello internazionale attraverso genitori o nonni. Rispetto allo scorso anno la squadra ha singoli più forti e si allena con regolarità: ci alleniamo da semi professionisti ma con una mentalità professionale.
Capitolo Rugby World Cup. A che punto siete?
Siamo in corsa anche per i Mondiali 2019, ma è davvero dura perché dovremo giocare un gran European Championship. Poi c’è il 2023: sarebbe un sogno e avrebbe un eco mediatica non indifferente.
Il rugby Seven nei paesi Tier 2: opportunità o concorrenza?
La federazione ha a disposizione un certo budget e decide lei come usarlo. Al momento ci sono due programmazioni separate e nel 15 iniziamo a soffrire la mancanza di giocatori, che scelgono di dedicarsi al Seven. Lo scenario ideale sarebbe sostenere entrambi, ma al momento qui in Germania c’è molto focus sul Seven: è una situazione abbastanza delicata per noi.
Che rapporto c’è tra 15 e Seven?
Il Seven è uno sport molto specifico per atleti specifici. A livello sportivo aiuta certamente i giocatori, dà qualcosa in più. Ma a livello organizzativo e di movimento, non si può pensare che il Seven traini il 15 né che il 15 traini il Seven: servono due percorsi e due programmi di sviluppo separati, ovviamente se una federazione è in grado di percorrerli entrambi.
Che scenario vedi nei prossimi anni?
Molte Tier 2 sono di fronte ad un bivio e non è un caso che quelle più forti nel 15 negli ultimi anni, Georgia e Romania, abbiano fatto una precisa scelta, anche se la Georgia punterà ora alla qualificazione olimpica con il Seven. Chi non ha la possibilità di sostenere entrambe le cause dovrà fare una scelta. Abbiamo davanti anni fondamentali, in cui potenzialmente possiamo andare alla RWC 2023 o fare due passi indietro: dipenderà tutto dal supporto ricevuto.
di Roberto Avesani
Cari Lettori,
OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.
Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.