Ultima partita del tecnico nello staff neozelandese. Le (bellissime) parole su Carter e quelle sul futuro…
L’ultimo atto – la sconfitta di Brisbane contro l’Australia – non può certo cancellare anni di successi e trionfo. Quella di sabato al Suncorp Stadium è stata l’ultima parta di Wayne Smith nello staff tecnico All Blacks. A dirlo era stato in conferenza stampa a maggio lo stesso Smith, classe 1957 e una carriera da giocatore in cui ha collezionato 17 caps ufficiali tra il 1980 e il 1985: “E’ incredibile pensare a quante cose abbia fatto e in quante sia stato coinvolto con gli All Blacks in 20 anni. Ma per me è arrivato il momento di prendere una pausa, tirare il fiato e dedicare più tempo alla famiglia”. Non banali le parole di ringraziamento che nell’occasione l’head coach Steve Hansen gli aveva tributato: “Ha dato un enorme contributo non solo al rugby All Blacks, ma al rugby mondiale. Ha lasciato un’eredità eterna: è una leggenda All Blacks“.
La prima panchina importante Smith l’ha avuta ai Crusaders nel 1997, che porterà nel giro di due anni a conquistare due Super 12 consecutivi. Nel 1999 la chiamata agli All Blacks, la parentesi triennale a Northampton prima di tornare in patria come assistant coach della Nuova Zelanda, ruolo che lo impiegherà dal 2004 al 2011 e dal 2015 a ieri: in tempo per vincere due Mondiali consecutivi.
“Si tratta solamente di una persona che lascia un ambiente dove è stato per tanti anni. Non la trovo una cosa veramente importante. Le cose vanno avanti e non mi piace troppo l’attenzione”. Parole di Smith al NZ Herald prima del match di Brisbane. Sui trofei vinti: “Quelli si arrugginiscono, le relazioni e i legami no“. Mischia a parte, in carriera si è occupato di tutto, dalle skills alla difesa passando per l’attacco: “Se tornerò ad allenare a tempo pieno, cosa che probabilmente non farò, vorrei fosse da head coach […] Il lavoro di assistente si fa dietro le quinte e riguarda il tuo settore, ma ora mi interessa il gioco nella sua completezza e organicità”.
Sui giocatori allenati. Carter, “ha un’immensa consapevolezza del gioco. Più che allenarlo, devi entrare in relazione con lui, stimolarlo, fargli domande“. Kaino, “un cardine della nostra difesa. Probabilmente finirà la carriera da migliore numero 6 del mondo”.
Nel futuro di Smith ci sarà Italia e forse la nazionale azzurra. Al nostro paese Smith è legatissimo da quando giocò a Casale a fine anni Ottanta e ora trascorrerà diverso tempo nella Penisola, tra casale e Mogliano. “Se mi chiamerà, per parlare con gli allenatori, io ci sarò – ha dichiarato riferendosi a Conor O’Shea – Si tratta di aiutare senza però lavorare troppo”
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