Entro la fine del 2018 inizio della collaborazione con Wayne Smith. Tanti i temi toccati dal capitano azzurro
A margine della presentazione dei test match di novembre, Conor O’Shea e Sergio Parisse si sono intrattenuti con la stampa per le classiche interviste di rito. Sia l’allenatore che il capitano azzurro non si sono fermate alle classiche dichiarazioni di circostanza, ma anzi hanno offerto non pochi spunti di riflessione in vista dell’imminente futuro del movimento italiano.
Wayne Smith, una collaborazione entro fine 2018
L’amo era stato lanciato dallo stesso Wayne Smith in occasione della sua ultima partita come assistente degli All Blacks, a Brisbane contro l’Australia. “Se mi chiamerà per parlare con gli allenatori, io ci sarò. Si tratta di aiutare, senza però lavorare troppo”. Il neozelandese si riferiva al ct della Nazionale italiana Conor O’Shea facendo presupporre una possibile collaborazione con la FIR, visto che nei programmi futuri del 60enne Smith (definito spesso come l’assistant coach migliore del mondo) ci sarà anche molta Italia, lui che è rimasto legato al Bel Paese e al Veneto in particolare: ha giocato a Casale allenando anche la squadra tra il 1986 e il 1988, per poi passare alla guida del Benetton Treviso tra il 1992 e il 1994, mentre nel novembre del 2014 ha fatto visita al Mogliano e affiancando lo staff tecnico per un paio di settimane.
Ieri, a Milano, OnRugby ha interpellato O’Shea proprio sulle recenti dichiarazioni di Smith, e il ct irlandese ha fatto capire che le trattative con il neozelandese sono già ad uno stato piuttosto avanzato. “Spero venga ad aiutarci. Abbiamo parlato con lui un anno fa, quando gli All Blacks erano qui in Italia, e anche nelle ultime due-tre settimane. Spero che prima del nostro tour in Giappone (previsto per il prossimo giugno, ndr) e delle partite del novembre 2018 avremo un accordo con lui. È importante per noi sviluppare non solo i giocatori, ma anche degli allenatori. Lui è molto appassionato al rugby italiano”. La formazione dei coach italiani, dunque, sarebbe l’area di lavoro a cui si interesserebbe Smith qualora la Federazione riuscisse a stringere una collaborazione conl’esperto tecnico neozelandese, che seppur con un impegno part-time rappresenterebbe un innesto di assoluto livello per l’intero movimento rugbistico nazionale.
Le avversarie di novembre: il Sergio Parisse pensiero
“Se si possono vincere tutti e tre i test match? Quando uno parla deve fare molta attenzione a quello che dice, altrimenti uno passa per presuntuoso. Non amo i pronostici. Quando indossi la maglia azzurra devi pensare a non aver paura di nessuno e a cercare di portare a casa la partita, a prescindere se siano le Fiji, l’Argentina il Sudarica o la Nuova Zelanda.
Parisse poi passa all’analisi delle tre avversarie: “Sono tre realtà diverse, tre nazionali completamente diverse. Sono molto fisiche, è l’aspetto che li accomuna. I figiani sono una squadra meno strutturata ma veramente pericolosa, con giocatori che fanno la differenza nei migliori campionati europei. L’Argentina gioca da anni nel Championship e affronta spesso All Blacks, Sudafrica e Australia e ha abitudine a giocare contro le squadra. Il Sudafrica è rinato dopo la sconfitta contro di noi a Firenze. Ha messo in difficoltà gli All Blacks fino alla fine, al di là dei 57 punti presi, saranno un avversario difficile anche perché sarà rimasto questo ricordo amaro di Firenze”.
Abbiamo poi chiesto a Parisse un parere nello specifico sulla situazione dell’Argentina, e se può essere paragonabile all’Italia viste le difficoltà dei Pumas nel ritagliarsi uno spazio importante nel Rugby Championship contro All Blacks, Sudafrica e Australia, e del movimento nel complesso dopo l’ingresso dei Jaguares nel Super Rugby. “Non conosco a fondo i loro problemi, il dato di fatto è che l’Argentina è cresciuta moltissimo in questi ultimi anni, ed è riuscita ad ottenere risultati grandissimi. Ultimamente ha scelto di far rientrare i suoi migliori giocatori per farli diventare eleggibili per la Nazionale, ma la verità è che nel Championship giocano con squadre che hanno un vissuto diverso. Nonostante dicano tutti che sia in difficoltà perché tutti si aspettano di più, il nostro movimento è ancora distante da loro. Resta ancora una squadra davanti a noi e lo dice anche il ranking”.
Risposta un po’ stizzita, invece, a chi gli chiede delle prestazioni del Sei Nazioni e sulla partecipazione meritata o meno dell’Italia: “L’ho già detto diecimila volte e sono anche un po’ stanco di ripeterlo. Certo, prima di ogni Sei Nazioni ci sono delle premesse in base alle prestazioni della squadra nel corso dell’anno. I test match ci faranno arrivare al Sei Nazioni con più o meno fiducia al torneo, più o meno timore per le altre suadre. L’Italia ha meritato di far parte di questo torneo non a parole, non con interviste, ma sul campo […] I risultati parlano da soli. L’anno scorso abbiamo messo in difficoltà l’Inghilterra a Twickenham, a dimostrazione che siamo una squadra capace di fare grandi cose. Non abbiamo raccolto i frutti che volevamo: tanto sacrificio, pochi risultati e poche vittorie, però non sono qui per lamentarmi, sono molto entusiasta e voglio togliermi soddisfazioni con questi ragazzi”.
Una nuova mentalità
“Con Conor abbiamo la stessa visione e per questo per me è stato fondamentale. Sono felice di essere il capitano e per me è importante stare bene fisicamente e mentalmente, è la cosa più importante. È un nuovo ciclo, ma penso che già negli ultimi mesi si possa vedere il lavoro che sta facendo dietro le quinte il nostro allenatore con le franchigie – ha spiegato il numero otto italiano – Per noi dall’interno non è una sorpresa vedere la Benetton e le Zebre che fanno grandissime partite e vincendo, lottando contro suadre che sono molto più forti delle nostre. Ci sono delle buone premesse per questi tre test match”.
Sull’approccio alla partita, invece, O’Shea chiarisce la filosofia di fondo che l’irlandese sta provando ad inculcare agli italiani: “È chiaro che per ogni sportivo, in ogni disciplina, vuole scendere in campo per vincere. Quando Conor dice che dobbiamo pensare alla prestazione e non al risultato vuole dire che noi giocatori dobbiamo concentrarci sul fare prestazioni di altissimo livello, perché se giochiamo al 60-70% non riusciamo a vincere. Siamo una squadra che vince quando giochiamo al 100-110%. Vedo che i giocatori della Benetton e delle Zebre sono incazzati o delusi se perdono di uno o due punti partite che potevano portare a casa. È un cambio di mentalità non da poco, credetemi, perché abbiamo una cultura da dieci anni a questa parte che ci fa essere negativi a priori sempre su tutto. Da un anno a questa parte vedo che c’è un approccio diverso e sono straconvinto che ci porterà a risultati positivi.
Le possibili analogie con il 2012
Nel novembre 2012 l’Italia fu protagonista di ottime prestazioni nella finestra internazionale di test match (vittoria con Tonga, buona partita con gli All Blacks e pareggio sfiorato con l’Australia), frutto anche di un blocco Benetton Treviso reduce da un bel cammino in PRO 12. “Non faccio paragoni con quell’annata lì perché le franchigie erano in un momento diverso e avevamo un altro allenatore, Brunel. Sono convinto che quando ci sono due franchigie che giocano bene, vincono e sono in forma e questo non può che darmi fiducia”.
E se Parisse facesse l’impact player?
Infine, tra il serio e il faceto, On Rugby ha chiesto a Parisse come si vedrebbe in un possibile ruolo da impact player partendo dalla panchina, magari lasciando il posto da titolare a due giovani in rampa di lancio come Giammarioli e Licata. “Non sono decisioni che prendo io, sono soprattutto a disposizione dell’allenatore. Non voglio che nessuno regali niente: se gioco bene è giusto che giochi, se gioco male o se un altro gioca meglio di me è giusto che giochi lui. Per me è una felicità vedere giocatori come Giammarioli e Licata con questa potenzialità, mi fa piacere e io non regalerò il posto a nessuno, perché mi batterò fino alla fine e perché questo è il mio modo di esserlo e lo sarò sempre, anche a 40 anni. Sono dell’idea che uno deve giocare quando sei ad un certo livello e meriti di giocare”.
Interviste di Michele Cassano
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