Oggi si parla del disastro francese e dell’atteggiamento da tenere nei confronti dell’Italia, tra le altre cose
La fine del mese di novembre porta via con sé anche i Test Match autunnali, che hanno colorato una stagione già di per sé ricca di sfaccettature e di scorci mozzafiato. Sul campo, la bellezza si è manifestata sotto varie forme: con la monolitica Inghilterra, l’organizzata Irlanda che va a memoria, gli spettacolari All Blacks e l’insurrezione della Scozia. Ma l’autunno è anche la stagione della caducità e del declino, ben rappresentate dalla smarrita Francia e dalle altalenanti Sudafrica e Australia. L’Italia? A esser crudeli verrebbe da dire che gli Azzurri sono da anni intrappolati in un autunno perpetuo, ma il processo avviato da Conor O’Shea ci induce a seguire le dichiarazioni del CT irlandese.
Nella redazione di On Rugby, invece, abbiamo cercato di combattere la tristezza per la conclusione della finestra internazionale creando un tavolo di discussione sui nove temi fondamentali di questo mese.
– La prima parte
Quale atteggiamento dobbiamo avere nei confronti dell’Italia? Dobbiamo essere ottimisti, pessimisti o semplicemente arrenderci ad una passiva rassegnazione?
Lorenzo Calamai
Tendenzialmente sono indulgente ed ottimista con gli Azzurri. È importante essere consci del proprio livello e che le cose non cambiano dall’oggi al domani: le vacche grasse sono di là da venire. Non posso nascondere però di essere deluso dal novembre della Nazionale italiana: si salva solo il risultato del primo test. Mi aspettavo soprattutto che l’Italia provasse a portare in campo un po’ di quel flair offensivo mostrato dalle due franchigie, ma lo scalino fra il livello del Pro14 e il test rugby si è fatto sentire tutto. Forse l’inizio stagione con qualche successo per Benetton e Zebre mi ha un po’ illuso. La Nazionale mi ha riportato con i piedi per terra, ricordando che i problemi strutturali ci sono e non possiamo nasconderli oltre un certo punto. Ci sono però anche tanti giovani che speriamo di veder crescere ancora e che rappresentano il lato positivo delle scorse tre settimane.
Daniele Pansardi
Se si sceglie di essere ottimisti, bisognerà schierarsi in trincea con Conor O’Shea e Sergio Parisse a suon di “fiducia nel futuro”, “vedo un gruppo che può crescere”, “crediamo nella nostra strada” e altri concetti pieni di speranza. E bisognerà restare tali anche dopo le docce fredde che potrebbero arrivare al Sei Nazioni 2018. Il disegno sembra chiaro a livello di gioco: porre delle basi solide, allargare il gruppo per avere più scelta, e costruirvi sopra una struttura più convincente. Non si potrà prescindere naturalmente da una fase offensiva migliore.
Matteo Mangiarotti
All’Italia serve tempo, tanto tempo e soprattutto tanta pazienza. E bisogna smetterla di guardare altrove per trovare le soluzioni, perchè Scozia e Irlanda – per citare due esempi di Nazioni con ridotto numero di abitanti dove comunque il rugby non è il primo sport nazionale – hanno le loro peculiarità come le ha l’Italia. Dobbiamo cominciare a pensare di essere in grado anche noi di risolvere i nostri problemi e, soprattutto, dobbiamo iniziare a pensare a noi stessi e basta. Lavoro duro, testa bassa e i risultati arrivano – guardate come stanno giocando le Zebre quest”anno, su la mano chi lo avrebbe pronosticato anche solo ad agosto…
Michele Cassano
La “Stella polare” individuata da Sergio Parisse nell’ultima conferenza stampa di Padova è stata quella della RWC 2019, quindi personalmente sino a quella data mi sento di dare fiducia al progetto tecnico di Conor O’Shea, il quale peraltro sembra sempre avere le idee chiare su come perseguire la strada per il tanto famoso “lungo viaggio”. L’allargamento del bacino di giocatori da cui attingere e la competitività che il coach sta creando potrebbero aiutarci a ridurre sempre di più quell’ingombrante senso di “coperta corta” che abbiamo avuto in questi anni. È ovvio che però il lavoro non passerà soltanto dalla Nazionale, ma dovranno avanzare anche le franchigie.
Matteo Viscardi
La crescita azzurra è sotto gli occhi di tutti. Per essere competitivi in pianta stabile nel 6 Nazioni serviva scalare tre gradini, noi, per ora, ne abbiamo scalato solo uno. Non tanto o non solo come nazionale maggiore, ma come movimento. Se avremo la pazienza di sopportare qualche altra annata di sofferenza, e la volontà di proseguire sulla strada tracciata da O’Shea e dal suo staff, potremo intraprendere un viaggio gratificante, a cavallo del prossimo mondiale.
La Francia è riuscita nell’impresa di non vincere nemmeno un Test Match tra giugno e novembre 2017. Quanto è in difficoltà la Nazionale da 1 a Guy Novès?
Daniele Pansardi
Guirado, capitano dei Bleus, l’ha detto senza tanti giri di parole: “Abbiamo toccato il fondo”. Su Le Figaro dicono addirittura che la Francia è ormai “una squadra di seconda divisione […], senza la certezza di battere l’Italia, la Georgia e le Fiji”. Ed è solo una delle pesanti stilettate rivolte verso una squadra del tutto smarrita. E il prossimo 23 febbraio, al Vélodrome di Marsiglia, ci sarà Francia-Italia: una partita potenzialmente di rara bruttezza.
Lorenzo Calamai
A sentire la stampa francese, la fine del mondo è vicina. È evidente che il rugby francese sia in un momento di crisi sia dal punto di vista del movimento (ma alcuni giovani interessanti stanno salendo alla ribalta, segno che del lavoro è stato fatto) che contingente. Evidentemente alla nazionale transalpina manca qualcosa dal punto di vista del gioco e della motivazione: hanno ancora i giocatori necessari a battere le nazionali di seconda fascia, eppure non avviene. Il regno di Novès ha portato a questo punto troppi pochi frutti perché delle responsabilità non gli siano messe in conto.
Michele Cassano
Dal punto di vista francese è assolutamente giusto essere piuttosto disfattisti; certo che però i due test con gli All Blacks e la sfida con gli Springboks (dopo le tre perse a giugno) non hanno aiutato i transalpini ad arrivare con fiducia alla sfida col Giappone, dove i nipponici avrebbero peraltro meritato anche qualcosa in più. E’ in atto un ricambio generazionale lungo e forse con meno qualità di quanto Novès e tutto il movimento francese ci si aspettasse, che crea anche problemi di amalgama e certezze nella squadra. Per l’Italia, in vista del Sei Nazioni, la trasferta a Marsiglia mi sembra l’unica chance (almeno sulla carta) da poter mettere nel mirino se vuole strappare una vittoria. Quanto alla guida tecnica, è chiaro che rischia il posto e non solo per la pressione mediatica.
Matteo Viscardi
Più vicino al 10 che all’1. La sensazione è che, rispetto a uno o due lustri fa, alla Francia, manchino in primis dei fuoriclasse assoluti, e pure dei leader carismatici. Queste “assenze”, in un momento così tribolato, si fanno tremendamente sentire. Passino le due sconfitte contro AB e Springboks, ma il pareggio con il Giappone è stato inquietante, sotto ogni punto di vista. Sono curioso di capire a chi si affiderà Noves per il 6N, con.una mediana fresca ed elettrica chee potrebbe rivelarsi il vero grimaldello per sfondare il portone della crisi e proiettarsi nel futuro con il sorriso.
Georgia, Romania, Giappone e Fiji: le prime tre continuano a spingere forte, mentre i figiani sono una realtà consolidata. Tutte e quattro stanno crescendo e fanno paura all’Italia.
Daniele Pansardi
L’unica cosa che mi fa più paura della crescita di queste quattro squadre è Leone Nakarawa con la palla in mano, visto che per fermarlo servirebbe un difensore per ogni polpastrello. Quindi sì, sono preoccupato dei rapporti di forza tra l’Italrugby e il resto del gruppone tra la decima e la quindicesima piazza del ranking.
Lorenzo Calamai
È vero, il divario ai margini della prima fascia del ranking si stanno assottigliando. Credo che l’Italia abbia margini di importante solidità, in termini di struttura del movimento, rispetto a Romania e Georgia. Con quest’ultima giocheremo peraltro tra un anno per misurare finalmente le reciproche forze. Rispetto alle Fiji siamo invece attardati già da qualche tempo, mentre quello con la Francia è il primo risultato notevole del Giappone dalla Coppa del Mondo. Penso però che il vero problema sia proprio quello di doverci trovare a ragionare sui rapporti di forza fra la nostra e queste nazionali, piuttosto che sull’accorciamento del gap rispetto al “primo mondo”.
Michele Cassano
Il Giappone ha centrato questo risultato eclatante per la sua storia in Francia, ma veniva da una serie di sconfitte nette e pesanti di cui non bisogna dimenticarsi. La Georgia in questo momento è certamente più avanti della Romania, ma la squadra caucasica non è valutabile con certezza visto che – pensando al Galles – qualcuno ha pensato bene di affrontarla con le seconde/terze linee. Fiji invece, che ho avuto il privilegio di poter osservare a Catania, mi sembra una formazione quadrata e in crescita, molto più organizzata di un tempo nelle fasi statiche e con parecchie e solite abilità alla mano, ma deve disciplinarsi. Certamente delle quattro elencate la più temibile, in un quadro comunque di avvicinamento fra tutte le nazionali citate
E il migliore del mese di novembre è…
Matteo Mangiarotti
Gregor Townsend. Perchè è riuscito a far fare alla Scozia il salto di qualità e a mettere i suoi ragazzi nelle migliori condizioni possibili per dare il loro meglio. E Jonny Gray, ormai una delle migliori seconde linee al mondo.
Daniele Pansardi
Vorrei premiare uno scozzese, quindi dico Huw Jones: giocatore davvero delizioso e uno dei migliori centri in Europa al momento.
Lorenzo Calamai
Josh Navidi, se in questo momento mi stai ascoltando sappi che questo pezzo è per te!
Non ce lo vedete Navidi in un videoclip del genere?
Michele Cassano
Mi trovano d’accordo le parole di Matteo Mangiarotti: Gregor Townsend. È stato bravo ad inserirsi nel contesto scozzese portando ad un gruppo in rampa di lancio le sue idee da moltiplicatore.
Matteo Viscardi
Schmidt, perché ha gestito il trittico irlandese con grande intelligenza, ottenendo risultati (eccellenti) nell’immediato, ma soprattutto costruendo per il futuro prossimo.
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