Premiership: il futuro potrebbe essere a 10 squadre

Lavori in corso in Inghilterra per ripensare le prime due divisioni: in gioco c’è l’accorciamento della stagione e un miglioramento del livello

wasps wade rugby premiership

ph. Reuters

Ristrutturare il rugby professionistico dei club inglesi sarà l’argomento al centro della riunione del Professional Game Board, il consiglio che, in seno alla federazione inglese, si occupa del rugby dei club pro. Fra le proposte analizzate dal Board non ci saranno solo i piani per allungare la stagione inglese a dieci mesi di lunghezza, un’idea alla quale i giocatori si sono già opposti con vigore, ma anche la possibilità di avere una Premiership a 10 squadre, tagliandone due rispetto alla situazione attuale nel tentativo di risolvere il dibattito sulla lunghezza della stagione.

In quest’ottica, la proposta sarebbe quella di avere una Premiership a 10 squadre, così come 10 ne avrebbe il Championship, la seconda divisione inglese. A fianco di questa ristrutturazione, una più equa redistribuzione delle risorse economiche. Il Championship, inoltre, cesserebbe di essere amministrato direttamente dalla RFU, la federazione inglese, ma finirebbe sotto l’egida della Premiership Rugby Limited, l’ente che gestisce la massima divisione.

Uno dei principali benefici della riduzione del numero di squadre sarebbe la riduzione del numero di partite giocate e, al contempo, un minor numero di match disputati in concomitanza con le sfide internazionali. In questo modo i club avrebbero più spesso a disposizione i loro migliori giocatori, potendo anche accorciare la profondità delle rose e aumentando la qualità della competizione. Una condizione di vittoria per tutti gli attori: meno partite per i giocatori, come da loro richiesto a più riprese, più risultati potenziali per i club.

Inoltre, sarebbe innalzata anche la qualità del Championship, campionato che negli ultimi anni si è rivelato non ottimale sotto il profilo della qualità e della competitività. Troppo accentuato il gap economico fra alcuni club: quest’anno Bristol, la corazzata con ambizioni di promozione, non ha badato a spese ed ha ingaggiato diversi giocatori internazionali. La squadra è finora imbattuta nel Championship, cosa che non sorprende dato che l’ex All Blacks Steven Luatua ha un ingaggio annuale superiore al bilancio complessivo di diversi altri club.

Un’altra proposta emersa e che sarà probabilmente al vaglio del Professional Game Board è l’opportunità di bloccare il meccanismo di promozioni e retrocessioni fra le due serie maggiori, un’idea che la federazione inglese aveva annunciato di aver seppellito, ma che è tornata prepotentemente alla carica nelle ultime settimane.

Secondo Owen Slot del Times la soluzione del cosiddetto “ring-fencing”, cioè il blocco delle retrocessioni, non sarà adottata nell’immediato, ma un provvedimento che verrà preso nel medio periodo. Anche in questo caso, l’obiettivo è strutturare il rugby inglese in modo da evitare situazioni di scarsa competitività e di instabilità economica come quella che sta attraversando il Championship. Non solo, infatti, negli ultimi anni ci sono stati uno o due club solamente interessati a salire in Premiership e con le effettive possibilità economiche per restarci (spesso tra l’altro, si trattava di chi era appena retrocesso dalla massima serie), ma spesso e volentieri accade che, appena un club riesce a tirarsi fuori dalla lotta per non retrocedere, cominci a tagliare giocatori, rescindendo contratti che altrimenti non potrebbero essere pagati.

Il blocco delle retrocessioni avrebbe il contro di togliere una delle principali attrazioni del campionato, la lotta per non scendere nella serie inferiore. C’è comunque da considerare che, sia in Premiership che in Championship, negli ultimi anni è stata una lotta dove lo sconfitto è già chiaro dall’inizio.

Il problema principale che queste due soluzioni portano con sé è che il rugby professionistico inglese ha in questo momento circa 13 squadre con i mezzi e le capacità per essere considerate di prima fascia, troppe per un solo campionato. Difficilissimo che possano esistere altri casi come Exeter, più facile che esistano nuovi London Welsh, che per arrivare al top del rugby inglese hanno finito per implodere economicamente. Per questo la possibilità di un allargamento a 14 squadre è già stata bocciata in passato. La soluzione dell’enigma sta proprio alla discussione in seno al Professional Game Board, messo sotto pressione dalle richieste dei giocatori per la tutela della loro salute.

Al vaglio ci sono molti altri temi, oltre alla struttura dei campionati: il salary cap per i club, gli stipendi dei giocatori, il numero esorbitante di infortuni nel corso di questa stagione e i problemi della A League, il campionato delle squadre riserve, terranno banco. Il futuro del rugby inglese è in discussione: da una parte le esigenze del business, dall’altra quelle per la salute degli attori del gioco.

 

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