Il lungo viaggio di un gigante lettone, entrato nel mito come ‘The Siberian Bear’
Popolazione? Poco meno di due milioni (il solo comune di Milano, per esempio, conta 1,3 milioni di abitanti). Sport più seguiti? L’hockey su ghiaccio in primis, seguito da basket, atletica, calcio, tennis, ciclismo e skeleton. Il rugby? Cinque club, circa cinquecento tesserati. Non esattamente l’attività fisica più abituale in Lettonia, terra baltica non proprio ovale ma non per questo sprovvista di storie da raccontare. La più significativa e interessante del Paese è stata raccolta da Robert Kitson del Guardian. Il protagonista del suo racconto, Uldis Saulite, è la testimonianza vivente di come la perseveranza e la passione possono essere più forti di qualunque ostacolo, anche di un posto poco ospitale come la Siberia.
Uldis Saulite nasce il 28 settembre 1980 a Jelgava, ma viene a conoscenza del rugby soltanto all’età di 16 anni. Dimostra subito una certa confidenza con il gioco. Madre Natura lo ha dotato di un fisico imponente, ragion per cui Saulite non impiega molto a farsi notare per presenza in campo e ruvidità. Fino a 21 anni il rugby continua ad essere un passatempo (per ‘gente pazza’, direbbero in Lettonia) dopo il suo lavoro da falegname, perlomeno fino a quando un arbitro lettone di stanza in Russia non avvisa Saulite di alcuni provini organizzati dall’Enisej, club con sede a Krasnoyarsk in cerca di giocatori.
Chi ha dimistichezza con le Coppe Europee non avrà problemi ad identificare mentalmente Krasnoyarsk sulla cartina. In ogni caso, basti pensare che in inverno le temperature possono raggiungere i 40°C sotto lo zero. Da Jelgava, già di per sé non il più caldo dei luoghi, Krasnoyarsk dista oltre 5000 chilometri a Est, ma Saulite non si fa spaventare dall’avventura e il 2 gennaio 2001 approda al centro della Siberia.
Per chi non sapesse dove si trova Krasnojarsk
Come in ogni tentativo di sbarcare il lunario, per Saulite gli inizi però non promettono nulla di buono. Le sue abilità non erano considerate sufficienti per un contratto, e al suo secondo giorno di prova riuscì nell’impresa di rompere la clavicola ad un seconda linea della prima squadra, che lo rese ulteriormente inviso ai suoi compagni di squadra. Solo dopo che Saulite si rifiuta di affrontare il capitano dell’Enisej in una lotta, il club si convince di poter ricavare qualcosa di buono dalla determinazione del lettone, che mai avrebbe voluto tornare in patria da perdente.
The Siberian Bear
Il suo primo stipendio è sette volte più basso rispetto a quello percepito come falegname, ma per Saulite la palla ovale è ormai la sua unica ragione d’essere. Il gigante lettone di 2 metri per 117 kg ripaga la fiducia del suo club, inanellando ottime prestazioni una dopo l’altra e ritagliandosi uno spazio importante all’interno dell’Enisej. La chiamata in Nazionale è automatica, e con la maglia della Lettonia Saulite enfatizza l’attaccamento allo sport grazie al quale ha realizzato il sogno della sua vita. Una volta, nonostante alcune costole incrinate, Saulite scese ugualmente in campo dopo essersi curato autonomamente con metodi ben poco ortodossi, ma necessari per onorare la maglia indossata in carriera poi per 28 volte.
Le sue imprese gli valgono l’appellativo di ‘Siberian Bear’, ma la sua costante ascesa subisce anche un’importante battuta d’arresto nel 2010. In cerca di un giocatore che coprisse gli infortuni in seconda linea, Bordeaux mette gli occhi sul lettone e sarebbe pronto a portarlo con sé in Francia, ma un cronico problema alla schiena costringe Saulite ad un’operazione non più rinviabile. I sogni di approdare in Top 14 e di assaporare il grande rugby europeo sfumano. Al risveglio, per Saulite, resta solo il gelo di Krasnojarsk. Che, tra le altre cose, potrebbe essere capace di tranciare di netto un paio di scarpe.
Uldis Saulite oggi
Oggi, a 37 anni, Uldis Saulite è ancora una colonna dell’Enisej e ha avuto modo di confrontarsi con alcune importanti squadre europee in Challenge Cup, a cui la squadra russa ha partecipato nelle ultime tre edizioni, compresa quella in corso, spostandosi se necessario anche a Mosca e Sochi. Lo scorso anno, a Edimburgo, Saulite ha anche alzato il trofeo del Continental Shield da capitano del club, battendo in finale i concittadini del Krasny Yar.
Per Kitson, Saulite “rimane una presenza significativa nelle fasi statiche, in maniera non molto diversa da Victor Matfield nelle sue ultime presenze da Springboks”. La prossima sfida? Proprio in Francia, proprio in quella Bordeaux che non era mai stata così vicina sette anni prima. Nel frattempo, l’orso siberiano è diventato un simbolo e un’icona del rugby lettone, a dimostrazione di come anche i personaggi di un rugby di livello inferiore possano celare storie e aneddoti di grande impatto. Stand up for The Siberian Bear.
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