A Revenga, grazie alla sua distilleria e alla palla ovale, un imprenditore sta portando avanti una vera e propria rivoluzione
Nelle classifiche dei Paesi con il più alto tasso di pericolosità al mondo, il Venezuela occupa stabilmente le posizioni di rilievo. Nello scorso settembre, per esempio, il World Economic Forum lo ha inserito al sesto posto a causa della dilagante criminalità: “Rapine a mano armata, omicidi, sequestri di persona e furti d’auto sono forme di violenza comuni in gran parte del Paese”, si leggeva nelle motivazioni.
Per l’Ufficio delle Nazioni Unite per il controllo della droga e la prevenzione del crimine, invece, il municipio di Revenga era al terzo posto mondiale nel 2003 per tasso di omicidi ogni 100.000 abitanti con un dato pari a 114 delitti. La difficile situazione diventa drammatica se si pensa alla tragica situazione economica e umanitaria che sta attraversando la nazione sudamericana, soprattutto a causa degli scarsi introiti derivanti dalla malsana gestione dell’esportazione del petrolio, di cui il Venezuela è uno dei maggiori referenti sul pianeta.
Queste premesse sono doverose per spiegare in che contesto e in quali difficoltà è nato, si è sviluppato e si è radicato uno straordinario progetto di inclusione sociale da parte di Alberto Vollmer Herrera, 49enne di origini tedesche e proprietario della distilleria Santa Teresa, storica produttrice di rum conosciuta a livello globale. Tra gli altri, la sua storia è stata raccontata da Paolo Ricci Bitti su Il Messaggero e dal blog Gli occhi della guerra, che hanno incontrato Vollmer nel corso di un evento promozionale per la sua azienda al Guido Reni District di Roma, ed è unica nel suo genere per spirito d’iniziativa, coraggio e volontà di cambiare lo status quo in un Paese pesantemente condizionato dalle influenze statali e dal controllo delle gang sul territorio.
Riabilitazione
Revenga, nel nord del Venezuela, è la sede dell’hacienda Santa Teresa, attiva da 220 anni. Un territorio in perfetta sintonia con il resto del Paese quanto a criminalità e pericolosità per i suoi abitanti, non l’ideale per cercare di far prosperare un’attività nel migliore dei modi. All’inizio del 2000, difatti, Vollmer è costretto ad assistere all’invasione di 400 famiglie povere sui terreni della Santa Teresa, una sorta di esproprio statale ordinato dall’autoritario presidente Hugo Chavez. Un episodio che, unito al peso delle bande locali, avrebbe messo in ginocchio qualunque azienda, costringendola a rifugiarsi altrove o a ricorrere alle maniere forti per continuare senza intoppi il proprio lavoro.
La strategia di Vollmer, però, è stata diversa, come ricorda lui stesso con una frase molto esplicativa: “Voi invadete le mie terre, io vi invaderò la mente con le idee”. Vollmer non demorde e, anzi, rilancia mostrando la sua visione illuministica. Fa costruire delle abitazioni per gli inattesi ospiti (grazie anche all’appoggio del governo) e stringe un’intesa con le disagiate famiglie, a cui viene concesso di rimanere a Revenga a patto di cominciare a lavorare per la Santa Teresa. L’azienda e l’intera comunità ripartono insieme, ma è solo un primo tassello del puzzle.
Nel 2003, l’aggressione da parte di alcuni delinquenti ad un guardiano della Santa Teresa offre a Vollmer lo spunto per un progetto tanto ambizioso quanto pericoloso, ma che paradossalmente rappresenta l’unica strada possibile per arginare la criminalità locale. E per volgere anche il corso degli eventi a proprio favore.
Jimin, il suo capo della sicurezza, rintraccia uno dei malavitosi e lo consegna a Vollmer, che lo mette davanti al proprio destino: essere consegnato alla polizia oppure lavorare per lui. Il criminale accetta di prestare servizio per la Santa Teresa, innescando una reazione a cascata tra gli altri membri della gang. Nella distilleria, infatti, entreranno ben 22 ragazzi abituati a uccidere e a rubare, ovvero l’intera banda della Placita compreso il capo (“Un tipo da brividi”). Qualche tempo dopo si unisce alla Santa Teresa anche la gang dei Cimiteri, che porta in dote all’azienda 32 nuovi lavoratori. Per Vollmer è un successo su tutta la linea, ma le intenzioni dell’imprenditore si spingono oltre.
Il rugby
Vollmer aveva conosciuto la palla ovale durante i suoi studi universitari a Parigi, assimilandone i valori e le grandi opportunità che ne potevano derivare in tema di integrazione sociale. Nel tentativo di distendere i rapporti tra le gang, rendendo quindi meno ostile un ambiente comunque potenzialmente esplosivo, Vollmer si affida alla palla ovale. Dopo aver insegnato il gioco ai bambini delle famiglie povere arrivate a Revenga, l’imprenditore istruisce anche le gang. “[Il rugby] viene spesso definito uno sport da bestie giocato da gentiluomini. Mi sono detto che la parte bestiale era già presente, non restava che trasformarli in gentiluomini, insegnando loro rispetto, lavoro di squadra, umiltà, disciplina. E ovviamente spirito sportivo”.
Vollmer tocca le corde giuste, ottenendo una vittoria dopo l’altra. Come la riappacificazione dei capi delle due gang, Darwin e José Gregorio. “Li ho chiusi nella stessa stanza – racconta – e ho detto: se avete il coraggio di ammazzarvi, dovreste avere anche il coraggio di perdonarvi”. Il timore che per i componenti delle bande il rugby possa diventare un pretesto per un regolamento di conti è alto, ma non succede. È il segnale definitivo del cambiamento.
La miccia accesa da Vollmer permette al rugby di deflagrare. In poco tempo prende vita il progetto ‘Alcatraz’, con cui la palla ovale si fa conoscere anche nelle carceri venezuelane. Otto, per la precisione, dove cominciano a giocare ben 300 detenuti (la Fundacion Santa Teresa Rugby Club indossa i colori bianconeri, come i Barbarians). Una lenta rivoluzione civile, non violenta, che al suo culmine ha portato il tasso di omicidi ad appena 12 su 100.000 a Revenga, contro i 113 del 2003. Darwin e José Gregorio, capi delle gang protagoniste di questa storia, sono diventati rispettivamente una guardia del corpo della famiglia Vollmer e un allenatore di rugby.
All’interno di uno dei Paesi più pericolosi al mondo, Revenga ha saputo ritrovarsi, guidato per mano dal coraggio e dall’intraprendenza di chi non ha voluto arrendersi ad un destino apparentemente già scritto. “I risultati ottenuti, a cominciare dal drastico calo di omicidi e fatti di sangue, hanno convinto tutti – dice Vollmer – Si è capito che alla Santa Teresa, che ha oltre due secoli, lavoriamo ogni giorno pensando ai prossimi 200 anni. Vogliamo essere incondizionatamente costruttivi”.
Anche in Italia, negli anni scorsi, è stato avviato un progetto che ha come obiettivo la diffusione del rugby nelle carceri.
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