Otto cose di cui parleremo nel 2018 rugbistico

I temi più caldi in vista del nuovo anno, in Italia ma non solo

italia

ph. Sebastiano Pessina

Da poche ore siamo nel nuovo anno. Smaltita la sbornia dei festeggiamenti e digeriti gli ultimi (forse) lauti pasti, è il momento di scoprire cosa ci riserverà il 2018 nel mondo del rugby, sia dentro che fuori dal campo. I temi da affrontare sono tanti e lo faremo nel corso dell’anno su queste pagine, ma nel frattempo vi proponiamo l’indice delle questioni più importanti di cui sentiremo parlare nei prossimi mesi.

Cosa fare di questa Italia?

Gli ultimi Test Match di novembre hanno messo molti appassionati di fronte ad un bivio: continuare ad essere ottimisti, seguendo il l’ormai noto credo di O’Shea e degli Azzurri, oppure rinchiudersi dentro una spirale di pessimismo cronico e fatalismo. La frase del CT irlandese “vedo la luce in fondo al tunnel” di qualche mese fa è diventata facilmente oggetto di scherno e di ricami, a testimoniare l’impazienza che aleggia nel movimento.

Lo stesso O’Shea ha ripetuto nel corso dell’ultimo anno che il tempo è finito, e che “non possiamo continuare a fare le stesse cose e sperare che qualcosa cambi”. Il progetto, tuttavia, è inevitabilmente proiettato sul lungo periodo, vista la notevole quantità di lavoro da compiere su tante (troppe) componenti del rugby italiano. Il 2018 potrebbe proporci un Sei Nazioni di grande sofferenza, che poco potrà dire sullo sviluppo della Nazionale, ma a giugno (contro il Giappone) e a novembre (contro la Georgia) potremo avere un quadro ben più definito della situazione.

L’impressione, inoltre, è che la base di giocatori da cui attingere per costruire il futuro della Nazionale potrebbe crescere ancora, se si considerano gli attuali infortunati (Gega e Riccioni, per fare due nomi) e chi potrebbe/dovrebbe riconquistare la maglia azzurra (Campagnaro, Mbandà, Bisegni, Morisi, Padovani, Quaglio, Benvenuti, Venditti), senza contare i nuovi possibili naturalizzati (Meyer) e le possibili chiamate di Brex e Sisi.

ph. Ettore Griffoni

Il percorso delle franchigie

Facendo le dovute proporzioni, gli stessi concetti possono essere applicati anche al Benetton Treviso e alle Zebre. I progressi della seconda metà del 2017 sono innegabili e sotto gli occhi di tutti, pur con qualche scivolone di troppo più o meno comprensibile. La strada, in ogni caso, sembra essere tracciata. Difficile capire dove porterà nel breve periodo, ma il lavoro iniziato da Kieran Crowley e Michael Bradley sembra poter essere redditizio negli anni a venire, se non per un’esplosione immediata delle squadre perlomeno come basi di crescita future.

Oltre a confermare quanto visto fin qui, entrambe dovranno lavorare su alcuni aspetti specifici:

  • a Treviso, lo staff dovrà cercare di muoversi nella direzione in cui sta andando il rugby moderno, ovvero con un attacco più profondo e meglio strutturato (qualcosa che si è intravisto, ma solo a sprazzi), basato meno sulle qualità individuali dei singoli come Hayward, Brex, Barbieri e, ora, anche Ioane. Migliorare l’approccio alle partite, troppo spesso sbagliato in stagione, sarà anche un altro fattore da non ignorare;
  • la società bianconera non potrà prescindere dal rimpolpare la propria rosa, che dispone al momento di un XV titolare di ottima caratura ma su sole 4-5 riserve di ottimo livello. Il progetto tecnico di Bradley invece è ben riconoscibile, anche se necessita di inevitabili migliorie che solo il tempo potrà portare in dote alla franchigia ducale.

Inghilterra vs All Blacks, verso Twickenham

Per dieci mesi sarà ancora una sfida a distanza, fatta di prestazioni roboanti da una parte e dall’altra e di schermaglie mediatiche tra Eddie Jones e Steve Hansen, due profili molto diversi di allenatore anche davanti alle telecamere. Istrionico e catalizzatore il primo, fermo e riflessivo il secondo, ormai famoso per la sua straordinaria capacità di mantenere sempre la stessa espressione durante le partite, anche nei momenti più critici. Poi sarà showdown, con l’attesissima sfida del prosimo novembre tra i campioni del mondo e chi è seriamente accreditato per toglierli lo scettro in Giappone.

Tutte e due le squadre condividono da un po’ di tempo le stesse caratteristiche, ovvero l’essere capaci di gestire e regolare a proprio piacimento il flusso e il ritmo di una gara. Se non la controllano in maniera diretta (con il pallone), sono abili a sufficienza nel governare l’avversario anche senza avere il possesso dell’ovale. Il percorso di entrambe le nazionali non si fermerà con una vittoria o una sconfitta nel prossimo autunno, ma certamente potrà dire qualcosa in più delle ambizioni dell’Inghilterra per i Mondiali del 2019.

Eccellenza, l’anno della verità?

Il massimo campionato italiano potrebbe essere arrivato ad un momento di svolta. Il turning point potrebbe essere stato quello dello scorso 11 dicembre, quando venne annunciata la nascita di un coordinamento tra i dieci club dell’Eccellenza. Il princìpio di una nuova Lega? Molto probabile, stando alle prime dichiarazioni del portavoce dell’iniziativa, il presidente di San Donà Alberto Marusso, intervistato anche da On Rugby nei giorni seguenti.

Unità d’intenti e meno campanilismi: la strada verso la Lega di club

Inutile sottolinare nuovamente quanto sarebbe fondamentale un organismo dedicato esclusivamente alle società, che possa interessarsi in prima persona del campionato di Eccellenza (un nome dalla vita breve) senza delegarlo più alla FIR. Oltre al cambio di denominazione, le prossime mosse saranno rivolte soprattutto verso un chiarimento della situazione relativa ai permit player e alle trattative con la Federazione. A differenza di quanto accaduto nel dicembre 2016, questa volta tutti sembrano remare verso lo stesso traguardo. Ce n’è davvero bisogno.

ph. Sebastiano Pessina

La sfida di Monsieur Brunel

L’incarico di allenare la Francia, di questi tempi, pare ben più complicato di quello affidato a Conor O’Shea nel 2016. Jacques Brunel potrebbe scoprirlo presto sulla sua pelle, già scottata dalle ultime tre difficili stagioni alla guida della nazionale italiana. Il baffuto coach 62enne ha preso il posto di Guy Novès sulla panchina transalpina, dopo due annate caratterizzate da sette vittorie, un pareggio e tredici sconfitte in ventuno partite, che hanno macchiato indelebilmente la carriera di un allenatore divenuto leggenda a Tolosa.

Brunel dovrà mettere diverse toppe all’interno di una Nazionale francese affetta da problemi ben più grandi della guida tecnica (sebbene quest’ultima non abbia fatto pressoché nulla per garantire un rendimento adeguato al blasone dei Bleus). La macchina capace di sfornare a ripetizione talenti di livello mondiale si è inceppata, e la causa non può essere soltanto la presenza di tanti stranieri nel Top 14. Quella, al massimo, è una conseguenza. Con il materiale umano a disposizione, Brunel sarà chiamato ad assemblare una squadra più coesa e tatticamente meglio disposta in campo delle ultime viste di recente ma, anche se ci dovesse riuscire, la sua cura potrebbe rivelarsi soltanto un palliativo.

E la Scozia?

Se Beauden Barrett non avesse placcato Stuart Hogg allo scadere di Scozia-All Blacks, probabilmente staremmo ancora narrando le gesta dei 23 Highlanders capaci di fermare la squadra più forte del mondo, come se la partita fosse finita soltanto ieri. Alla fine Barrett ha fatto quel placcaggio, ma resta la straordinaria dimostrazione delle qualità e della crescita impetuosa compiuta dai Dark Blues negli ultimi anni, che ha trovato continuità con l’avvicendamento tra Cotter e Townsend.

L’atomizzazione dell’Australia è stata solo la ciliegina sulla torta di un 2017 quasi impeccabile, prodromo ideale di quello che potrebbe essere un 2018 ancor più stellare. A partire da un Sei Nazioni in cui le chance di vittoria degli scozzesi sono alte come non mai, nonostante i soli due match tra le mura di casa del Murrayfield.

La questione eleggibilità

Dal 2018, la nazionale Under 20 non potrà più ‘bloccare’ un giocatore anche per la nazionale maggiore, stando alle riforme adottate da World Rugby per l’eleggibilità. Non esattamente la miglior strada per impedire a nazioni come All Blacks e Australia di attingere a piene mani nelle isole tongane e samoane per rimpolpare le proprie fila, anche in un secondo momento.

Ma il 2018 sarà anche l’anno in cui World Rugby dovrà esprimersi su un’altra faccenda dal notevole impatto etico e regolamentare, ovvero la possibilità che gli ex All Blacks facciano il percorso inverso e diventino eleggibili per Samoa e Tonga, loro Paesi d’origine, in vista della Rugby World Cup 2019. Ad aver espresso questa volontà sono stati già Ma’a Nonu, Charles Piutau, Frank Halai, Victor Vito e Steven Luatua, oltre all’ex Aironi Nick Williams. Il ‘ricollocamento’ di questi fuoriclasse in nazionali Tier 2 garantirebbe senz’altro una maggiore competitività al Mondiale, ma l’ipocrisia (nemmeno tanto di fondo) dietro a tali marce indietro non migliorerebbe l’immagine dello sport e della stessa World Rugby.

Le nuove vie del rugby

Abbiamo già visto come il nuovo regolamento, che ha radicalmente cambiato la concezione del punto d’incontro e il modo di affrontarlo, abbia ‘costretto’ le squadre a rinnovare le proprie strutture e i propri schemi per adattarsi ai nuovi princìpi promossi da World Rugby. La fase offensiva si trova di fronte difese schierate quasi interamente in piedi, visto che per la creazione del punto d’incontro è necessario soltanto un uomo di una sola squadra, per cui deve ragionare (quello è l’auspicio) per trovare più spazi e linee di corsa meno scontate. Il dritto per dritto, con placcaggi sempre più spesso raddoppiati, potrebbe non essere la soluzione ideale.

Più della corsa ai bilancieri, dunque, è necessaria maggiore creatività per garantirsi il maggior numero di soluzioni possibili, con tanto movimento lontano dalla palla per manipolare la difesa. Anche per questi motivi, sarà molto interessante seguire il Super Rugby 2018, la prima edizione con le nuove regole; in un campionato generalmente votato allo spettacolo, l’Emisfero Sud potrebbe indicare nuove strade per lo sviluppo del gioco.

 

Daniele Pansardi

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