Con il romano abbiamo parlato di scelte di vita, della sua crescita ovale e pure del Leicester di Ranieri
Tiziano Pasquali è, senza ombra di dubbio, un pilone di livello internazionale, ma anche, e forse soprattutto, un ragazzo dalla storia particolare, quasi iconica della sua bramosia di migliorarsi sempre, giorno dopo giorno, a caccia di nuovi traguardi, in campo e fuori. Lo abbiamo intervistato con altrettanto desiderio di scoprire tutte le sfaccettature del suo carattere e le pieghe della sua parabola sportiva e non.
Tiziano, partiamo dagli inizi. Dopo la gioventù romana, a 15 anni decidi di cambiare vita e di partire per la Scozia. Come e perché si arriva ad una scelta simile?
Una scelta simile arriva perché qui in Italia è impossibile riuscire a seguire scuola e sport allo stesso tempo. Non è stato facile, come potrete immaginare, ma non ho avuto altra possibilità. Volevo proseguire con lo studio ma al tempo stesso continuare con il rugby di alto livello, così, a 15 anni, ho lasciato casa e ho deciso di intraprendere l’avventura scozzese. Sono andato ad Edimburgo, e ho iniziato il mio percorso al Merchiston Castle School. Difficile trovare di meglio dal punto di vista rugbistico. Lì, infatti, ho conosciuto grandi allenatori, ho potuto allenarmi in modo super professionale, ed ho pure vinto una borsa di studio, grazie alla palla ovale. In quel periodo mi sono appassionato sempre di più al rugby, e senza dubbio ha contribuito molto, in tal senso, il fatto di vivere in una landa che mastica il nostro sport tutti i giorni a tutte le ore. E’ stato un periodo formativo, per me, sotto tutti i punti di vista. Per mantenere il posto in squadra, serviva che mantenessi anche un buon rendimento scolastico, altrimenti non avrei potuto giocare regolarmente. Era impegnativo, ma assolutamente fattibile. In Italia, invece, era un casino. A Roma, per muoversi da una parte all’altra della città serviva un’ora di tempo, quando andava bene. La mia giornata la passavo tra macchina e campo da rugby per l’allenamento, ed i professori erano tutto fuorché elastici con interrogazioni e verifiche, anzi, sembrava proprio che volessero farmi faticare di proposito, proprio perché praticavo sport ad un certo livello.
Poi l’approdo a Leicester, club di livello mondiale…
Eh si. Con la scuola giocavamo tante partite importanti in giro per tutto il Regno Unito, la cosa sicuramente ebbe un peso notevole in termini di visibilità. Un giorno ricevetti una proposta da parte degli scout dei Tigers. Volevano che andassi subito da loro, ed entrassi nella loro accademia. Avevo ancora un anno da fare al Merchiston Castle, ma quello di Leicester era un treno da prendere al volo e mi trasferii nelle Midlands. Ho avuto la fortuna di incontrare Castrogiovanni (che all’epoca non conoscevo personalmente) ed ho imparato molto da lui. In quegli anni, poi, arrivarono anche Ghiraldini, Rizzo e Barbieri. Si creò una sorta di Little Italy del Leicestershire.
Cosa porti con te di quei tre anni in una compagine del genere?
Sicuramente la dedizione al lavoro e la professionalità eccezionale. L’etica del lavoro. A Leicester ho imparato a dare sempre il 110 percento. Non solo durante le partite, ma anche e soprattutto durante gli allenamenti, al campo e in palestra. Ho imparato ad essere professionale su tutta la linea. E poi, come scordarsi tutti i grandi campioni con cui ho diviso lo spogliatoio. L’ambiente era sereno, tutti erano disponibili con i più giovani ed ho ricevuto molti consigli preziosi per la mia carriera.
A proposito di Leicester, hai vissuto da vicino la cavalcata delle Foxes di Ranieri. Fu un evento particolarmente emozionante per la città intera. Cosa racconteresti di quei mesi leggendari e forse irripetibili?
Fu una cosa bellissima, specialmente quando avemmo la possibilità di fare amicizia con Ranieri, una grande persona. Io sono tifoso Laziale, ma vi confesso che ho vissuto con molto più trasporto il calcio in pochi anni a Leicester che non in tutta la vita precedente a Roma. Quando le Foxes vinsero il titolo, poi, ci fu un’invasione di italiani in città. Molta gente partì dall’Italia e venne a celebrare l’impresa direttamente sul posto, portando grandissimo entusiasmo. Gli inglesi accolsero benissimo queste persone festanti e si creò veramente una’atmosfera indimenticabile.
Ovviamente il rugby ha dinamiche molto diverse dal calcio, ma credi possa esserci una “Leicester ovale”, magari proprio a latitudini a noi care, nel prossimo futuro?
Non te lo nascondo, parlo spesso di questa impresa ai miei compagni. La strada è dura, lo sappiamo, ma dobbiamo renderci conto di essere tutti dei giocatori di alto livello, pur con i nostri limiti. Dobbiamo crescere, migliorare giorno dopo giorno, ma anche levare gli steccati mentali che a volte ci impediscono di fare il salto di qualità decisivo. Qualsiasi step di crescita è difficile da archiviare, richiede grande lavoro e dedizione, ma dobbiamo metterci in testa che nulla è impossibile.
A Treviso avete già tolto qualche steccato questa stagione…
Tutto quello che abbiamo seminato l’anno scorso, pian piano, sta dando i propri frutti. L’anno scorso abbiamo iniziato un percorso nuovo, tanti ragazzi alla prima stagione in veneto (me compreso), lo stesso dicasi per lo staff. In un anno abbiamo implementato al meglio diverse soluzioni di gioco ed abbiamo imparato a gestire molto meglio anche situazioni complesse. Nel gruppo c’è molta positività, trasmessa anche dagli allenatori, siamo consapevoli delle nostre qualità. Si vede anche dalle grandi partite che abbiamo fatto. Penso alla vittoria di Edimburgo, alla battaglia con Tolone. C’è una grande mentalità e i giocatori sono tutti disponibili per lavorare al meglio, dentro e fuori dal campo.
Cosa vi manca per vincere le gare come quelle con Tolone e Scarlets?
Abbiamo una difesa valida, abbiamo un attacco di buon livello, ma ci manca ancora qualcosina. Creiamo abbastanza opportunità, ma non siamo concreti a sufficienza quando entriamo in zona punti. Non a caso questo è uno dei focus principali dei nostri allenamenti.
Cosa vi ha dato la doppia vittoria nei derby? Può essere un trampolino di lancio per un 2018 ancora migliore?
Le due vittorie ci hanno dato grande consapevolezza. Loro sono una grande squadra. In attacco hanno ottime doti, e noi siamo stati bravi ad arginarli, rallentando quasi tutte le loro palle e concedendogliene pochissime di vera qualità. Li avevamo studiato per due settimane e credo si sia visto tutto il lavoro che c’è stato dietro le partite. Ora bisogna subito ripartire al meglio contro i Cheetahs, una squadra molto fisica e veloce, che sta richiedendo in questi giorni un tipo di preparazione al match ovviamente diverso rispetto alle Zebre. C’è grande bramosia di vittoria. Vogliamo risalire in classifica ed andare a riprendere Edimburgo.
Matteo Viscardi
Cari Lettori,
OnRugby, da oltre 10 anni, Vi offre gratuitamente un’informazione puntuale e quotidiana sul mondo della palla ovale. Il nostro lavoro ha un costo che viene ripagato dalla pubblicità, in particolare quella personalizzata.
Quando Vi viene proposta l’informativa sul rilascio di cookie o tecnologie simili, Vi chiediamo di sostenerci dando il Vostro consenso.