Dentro al progetto giovanile federale: intervista a Maurizio Zaffiri

Il suo ruolo in Federazione, a contatto con club, Accademie e Centri di Formazione, ma anche con ragazzi e famiglie

Nello scorso luglio, Maurizio Zaffiri è stato scelto come nuovo Manager Operativo del Progetto Élite Giovanile, una figura centrale nell’organizzazione e nel coordinamento di tutto il percorso scelto dalla FIR per i talenti del futuro. On Rugby lo ha intervistato per comprendere meglio le tante dinamiche del suo lavoro al fianco di Stephen Aboud, ma anche per entrare a fondo in realtà come i Centri di Formazione Permanente, da cui dovrebbero emergere gli Azzurri per i prossimi anni.

Il tuo incarico può essere considerato un prolungamento sul territorio del lavoro di Stephen Aboud?
Sono due ruoli a stretto contatto, ma con specifiche differenti. La mia mansione di responsabile operativo è relativa principalmente all’andamento dei Centri di Formazione Permanenti Under 18 e dell’Accademia Nazionale. Sfocia anche nella programmazione dell’attività internazionale delle Squadre Nazionali Under 17, 18 e 20. Per quanto riguarda i Centri di Formazione Under 18, ho individuato cinque aree di competenza nel mio lavoro, alcune esterne e interne. Quelle esterne riguardano i rapporti con famiglie, con le strutture logistiche che ospitano i Centri e con i club afferenti; quelle interne riguardano i rapporti con i nostri collaboratori e le strutture periferiche dove questi operano, oltre che il processo di selezione dei giocatori, sia per individuare i nuovi atleti sia per le eventuali riconferme.

Quali competenze bisogna avere per un ruolo del genere e quali invece hai capito di dover acquisire col tempo?
Sicuramente mi trovo più a mio agio nelle situazioni di coordinamento con la sede centrale della Federazione, con i vari collaboratori e le strutture periferiche, ma anche in tutto quello che comprende i discorsi amministrativi, logistici e organizzativi.
La parte in cui mi sento di dover crescere è quella relativa ai bilanci, dove affronto qualcosa di importante e che richiede molta accuratezza.

Con che frequenza visiti le varie strutture?
Almeno una o due volte al mese visito i Centri di Formazione Permanenti, mentre almeno 1 o 2 volte a settimana sono a Roma in Federazione. Le varie aree di cui mi occupo mi impongono una presenza costante sia sul territorio sia in ufficio per il coordinamento delle varie dinamiche.

Che rapporto c’è tra struttura federale e club? Ci sono realtà più restie a collaborare?
Ci sono dei club che non si riconoscono nel progetto di formazione federale. Noi cerchiamo di far diventare i Centri di Formazione Permanenti non solo una struttura finalizzata alla crescita del giocatore, ma anche un luogo di confronto con i club del territorio su metodologie e progetti tecnici. Sarebbe sinonimo di un buon lavoro secondo me. In questo senso, all’interno della programmazione dei CdF effettuiamo degli incontri con i club; ad esempio oggi (ieri, ndr) ce n’è uno molto importante a Treviso con l’aiuto-responsabile per la formazione dei tecnici, Andrea Di Giandomenico, che incontra i tecnici del territorio Under 16 e Under 18. E il tema è proprio la formazione di questi atleti.
Ci sono altre iniziative di questo genere, che proponiamo con ritmi cadenzati proprio per cercare di ascoltare i club che hanno progetti tecnici differenti, ma anche per cercare di aiutare e collaborare con le società che hanno minore possibilità di evoluzione.

La penisola italiana è divisa in 58 aree di formazione, ma il Centro di Formazione Permanente più a Sud è a Roma. Che tipo di lavoro si sta sviluppando con il Meridione, visto che le strutture di Catania e Benevento sono state chiuse?
Come dici tu sono state chiuse, ma c’è il Centro di Formazione di Roma come punto di riferimento. Anche quest’anno ci sono giocatori siciliani e campani che svolgono regolare attività lì, per poi rientrare settimanalmente nei club per i loro impegni di campionato. È un progetto che riguarda tutta l’Italia, non solo il Sud. Ovviamente la divisione in aree è stata fatta in base alla demografia del rugby italiano e l’attività è concentrata soprattutto in sei regioni. È chiaro che la Federazione ha agito di conseguenza. Questi progetti centrali e territoriali non vanno pensati come due rette parallele, ma come vasi comunicanti.
Ti faccio un esempio. Per permettere la continuità scolastica ai ragazzi che sono all’interno dei Centri di Formazione, è stata pensata una distribuzione di circa il 65% degli atleti che avevano già effettuato il primo anno all’interno dei CdF e del 35% dei ‘nuovi arrivati’. Con questa distribuzione, avendo un totale di 114 atleti di cui il 65% nati nel 2000, il 35% potrebbe essere non bastare per svolgere l’attività internazionale Under 17. Quindi è molto probabile che ci saranno ragazzi attualmente non all’interno dei Centri di Formazione, impegnati in attività di club e monitorati all’interno del progetto territoriale, che potranno prendere parte a impegni internazionali.

L’obiettivo dunque è quello di calamitare tutti i talenti sotto l’ala federale, anche indirettamente.
Il riallineamento del progetto tecnico è stato pensato proprio in prospettiva dell’Alto Livello. L’idea è quella di mettere a disposizione dei giocatori i migliori tecnici e le migliori strutture in maniera più costante. È chiaro che non si tratta di un meccanismo perfetto al 100%. Parliamo di un periodo di grossa formazione, dunque è possibile che ci siano dei giocatori di talento non inclusi nei CdF.

Come giudichi il rapporto impostato con le famiglie?
I Centri di Formazione Permanenti sono assolutamente trasversali da un punto di vista sociale. È chiaro che i contesti di provenienza possono essere diversi. L’aspetto positivo di queste esperienze è che i ragazzi si contaminano e riescono, da questo confronto, a crescere dal punto di vista personale. La vita in gruppo e i vissuti differenti aiutano la coesione e la crescita collettiva all’interno della struttura anche nella parte sportiva. In questa situazione, con i ragazzi che a 16 anni entrano in Accademia, noi godiamo dell’educazione che le famiglie hanno trasmesso, anche dal punto di vista dell’attitudine allo studio e dell’importanza che questi ragazzi danno al percorso. Senza le famiglie, il nostro lavoro sarebbe difficilissimo. Le ringraziamo perché ci danno la possibilità di lavorare su dei ragazzi praticamente già formati, anche se non è un discorso valevole per tutti quanti.

ph. Corrado Villarà

Istruzione, famiglia e rugby: come si intrecciano le tre cose?
Cerchiamo di seguirli sia a scuola che in campo. Mettiamo a disposizione delle famiglie dei tutor scolastici che coadiuvano e coordinano la parte legata allo studio all’interno dei Centri di Formazione. I nostri tutor fanno dei report mensili sulla disponibilità dei ragazzi allo studio, che noi giriamo alle famiglie; i manager dei Centri hanno dei colloqui con cadenza mensile (o ogni mese e mezzo) con i rappresentanti dei professori degli istituti, per cercare di evidenziare e anticipare eventuali problematiche. Qualora si presentino, le famiglie vengono subito informate. Si cerca una collaborazione.
Nel mese di dicembre ho incontrato tutti i genitori di tutti i ragazzi dei Centri di Formazione, facendo un’analisi SWOT del nostro percorso (SWOT: Strenghts, Weaknesses, Opportunities, Threats; punti di forza, debolezze, opportunità, minacce, ndr). Ci è stata riconosciuta la qualità del progetto tecnico. E ce l’aspettavamo. L’analisi fatta è stata costruttiva. Essendo un percorso selettivo, può esserci una prosecuzione oppure un’interruzione, non dal rugby ma proprio dettata dalla formazione federale. In questo senso, la figura della famiglia è importante e di supporto. Ciò che è uscito fuori da quest’analisi – e che mi ha fatto molto piacere, essendo stata evidenziata dai genitori – è che, oltre agli obiettivi a lungo termine, l’attività svolta negli anni di Centri di Formazione è di per sé un’esperienza formativa che potrà aiutare i ragazzi in un futuro sportivo di alto livello, ma anche nell’affrontare le problematiche di tutti i giorni.

Dal punto di vista prettamente sportivo, invece, quali tendenze hai potuto notare tra i ragazzi e quali sono le differenze rispetto alle generazioni precedenti, per esempio di dieci anni fa?
Bisogna tenere in considerazione il passaggio da 9 a 4 Centri di Formazione, perché così facendo la qualità degli atleti si è innalzata. Si può parlare di prime scelte. Volendo fare un raffronto con le generazioni di dieci anni fa, quelle attuali sono più consapevoli. Portano avanti una vita diversa dai loro predecessori avendo scelto in maniera ragionata, tra mille sacrifici, un percorso davvero impegnativo. Anni fa c’era più istintività e meno consapevolezza.
I risultati raggiunti negli ultimi anni dalle Under 17 e 18 possono già essere una verifica di tutto ciò. In queste categorie infatti siamo competitivi: possiamo vincere o perdere di un punto con le altre del Sei Nazioni, a parte con l’Inghilterra che ha un bacino di giocatori e un progetto tecnico superiore a tutte al momento.
In passato potevamo fare partite dall’elevata intensità emotiva, ma anche incappare in sconfitte pesanti. Adesso mi sembra che le qualità tecniche e fisiche siano maggiori. Questo perché abbiamo avuto la percezione di dover anticipare il percorso: il livello che si raggiungeva prima a 20/21 anni ora si raggiunge a 18/19.

Per far sì che il gap con le altre nazioni si riduca ancora, la gestione degli Under 20 diventa fondamentale, ma forse lo sono di più gli anni immediatamente successivi. Legare le Accademie alle franchigie, come accadrà a breve, potrebbe servire.
La volontà di creare due Accademie Nazionali direttamente collegate alle franchigie non è una novità. Se ne è già parlato a lungo in passato e lo ritengo un passaggio coerente con il progetto tecnico, così come è impostato oggi. Non posso però dare alcun genere di anticipazione o comunicazione ufficiale sulle tempistiche con cui questo accadrà. L’obiettivo inoltre è innalzare il numero di atleti che compiono il percorso federale, per aumentare il bacino su cui può contare la Nazionale Under 20. Ci siamo resi conto che ci vuole anche più coraggio, per permettere ai ragazzi di competere al massimo, perché in alcuni casi la formazione ottenuta è conforme al livello con cui si confronteranno. Sarebbe davvero importante che, di pari passo alla creazione di un doppio polo con le Accademie, ci fosse una nuova regolamentazione dei permit player con un doppio contratto tra franchigie e Eccellenza. Permetterebbe ai ragazzi di confrontarsi settimanalmente al livello che più li compete.

La liaison tra l’attuale Accademia e le Zebre, invece, è diventata più complicata dopo lo spostamento a Remedello. Ci sarà la possibilità di continuare questo percorso comune, nonostante il trasloco da Parma?
Stiamo cercando di mantenere la continuità del rapporto con la franchigia. È chiaro che la situazione logistica è cambiata e questo contesto ci agevola di meno rispetto all’anno scorso. La maggior parte degli atleti dell’Accademia Nazionale vanno ancora a scuola, quindi incastrare degli allenamenti congiunti con le Zebre è possibile ma in maniera meno costante.

Daniele Pansardi

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