Federico Angeloni, manager della struttura a Treviso, ci ha raccontato le esperienze dei giovani atleti
Dopo aver affrontato l’argomento con una prima intervista a Maurizio Zaffiri, con cui abbiamo discusso delle tante dinamiche all’interno del progetto giovanile federale, On Rugby ha idealmente bussato alle porte del Centro di Formazione Permanente Under 18 di Treviso, con sede in Ghirada. L’obiettivo? Entrare a fondo nelle pieghe del percorso dedicato ai potenziali Azzurri del futuro, ma anche comprendere il loro vissuto quotidiano nella struttura federale. Ad accoglierci è stato il manager del Centro, Federico Angeloni, che ci ha portato per mano dentro la sua routine quotidiana e degli atleti. “Il nostro Centro di Formazione ha ereditato alcuni ragazzi da quello di Mogliano. Da quest’anno è un Centro spurio: abbiamo ventuno atleti residenti, che vivono completamente la vita in Ghirada, mentre altri otto sono residenti a 15-20km di distanza dalla sede. Dormono a casa e vengono da noi per gli allenamenti, dopodiché in serata tornano alle loro abitazioni”.
Angeloni ci racconta la loro giornata tipo. “Dopo aver giocato la partita con il club, la domenica sera arrivano da noi. Il lunedì, dopo la scuola, si ritrovano alle 13:30/14 per pranzare; lo fanno tutti, sia residenti che non. Nel pomeriggio, dalle 14 alle 17, ci sono due tutor di materie umanistiche e scientifiche che aiutano i ragazzi nello studio. In questo modo i ragazzi hanno anche un’agevolazione per alcune materie e sono seguiti meglio – continua – Dalle 17 alle 20 sono impegnati prima in palestra e poi in campo. Il tempo personale è estremamente ridotto, perché la mattina dopo si ricomincia. Questo tipo di vita si fa dal lunedì al giovedì. Al venerdì i giocatori ritornano nei club, per giocare nel weekend. Poi si ricomincia”.
Disponibilità e atteggiamento dei ragazzi
“La parte più importante del mio lavoro è alleggerire la vita di questi ragazzi dal punto di vista scolastico, sociale e morale – spiega Angeloni – Cerco di essere estremamente vicino a tutti, perché mi rendo conto che uscire di casa a 16 anni, seppur a 50-100km di distanza, ti fa cambiare lo stile di vita. Tutte le responsabilità di un ragazzo, in questo momento, sono sulle sue spalle”.
Ad un’età così verde, quanta disponibilità hanno i ragazzi nell’ascoltare e nel recepire le vostre indicazioni? “Sarò estremamente sincero: non so se sarei stato così disponibile da giovane come lo sono questi ragazzi nei nostri confronti. Parliamo sempre di ragazzi Under 18. Alcuni di loro si alzano alle 6 di mattina, vengono in Ghirada, fanno allenamento e tornano a casa alle 21. Il tutto per quattro volte alla settimana”.
Grazie a Andrea Masi, la scorsa settimana, abbiamo parlato della cultura di squadra all’interno dell’Academy dei Wasps. Per ovvie ragioni, un Centro di Formazione non può essere paragonabile ad un club vero e proprio, ma la trasmissione dei valori è comunque un punto saldo del lavoro di tutto lo staff. “L’ho letto. Tra l’altro pensavo: «Chissà che figura ingrata farò in Ghirada dopo questo bellissimo articolo di Andrea». – scherza Angeloni – Condivido ogni parola. Lui è stato un mio compagno di squadra, oltre che un mio caro amico. Ha colto nel segno tutti gli aspetti di un giocatore che vuole aspirare ad essere un campione alla Richie McCaw, alla Dan Carter…”.
“Mi dispiace ripetere proprio le parole di Andrea, ma è innegabile che non bisogna lamentarci quotidianamente per quello che non si ha. È impossibile avere tutto. Soprattutto a 16-18 anni, poi, bisogna essere grati della possibilità di lavorare serenamente con tecnici di altissimo livello. Ti faccio un esempio: noi lavoriamo spalla a spalla con il Benetton grazie a Fabio Ongaro e Marco Bortolami, che contribuiscono agli allenamenti come tecnici specialisti. Sono stato un pessimo giocatore rispetto a loro, quindi ascolto quello che fanno perché ciò che propongono è molto formativo. In più ci sono Corrado Pilat, come aiuto allenatore, Mattia Dolcetto come primo coach, Giacomo Vigna come preparatore fisico, la dottoressa Francesca Foresto e il fisioterapista Andrea Frassinella: uno staff estremamente competente.”
Angeloni ha le idee molto chiare in merito: “I nostri ragazzi dovrebbero eliminare la parola «lamentela» dal loro vocabolario, come dovrebbero eliminare dalla loro esistenza il non essere sereni o l’essere vittima dei propri umori. So che far parte di un atleta o di una persona in evoluzione, in particolare a 16 anni, però bisognerebbe lavorare con il sorriso e essere grati di quello che si ha”.
Alla grande disponibilità dei ragazzi si contrappongono altri aspetti del loro comportamento ancora inevitabilmente da sgrezzare. “Bisogna condividere lo spirito di squadra e capire di essere parte di un meccanismo più grande. Noi dobbiamo rispettare l’utilizzo di tutti gli spazi: rimettere a posto i pesi, lasciare gli spogliatoi puliti alla fine di partite e allenamenti… Questa è una delle parti più frustranti ancora per i ragazzi, perché tendono a fare i bomber – ci dice Angeloni – Aspettano spesso che ci sia qualcuno a raccogliere i cerotti e le fasciature, oppure le zolle di campo vengono lasciate negli spogliatoi. Su YouTube i ragazzi possono vedere una quantità di video tecnici enorme, però non vedono mai quando CJ Stander raccoglie il materiale dallo spogliatoio, oppure quando Sonny Bill Williams abbraccia la famiglia della squadra avversaria”.
Una solida cultura di squadra, del resto, si forma soprattutto fuori dal campo. “Trovo ingiusto che venga dato rilievo soltanto ad alcune fasi del gioco, e che altri momenti di vita quotidiana vengano tralasciati. E i ragazzi spesso hanno un atteggiamento un po’ troppo superficiale. Il mio obiettivo è quello di far capire loro che un club felice è un club più redditizio. Tutti i giocatori del Benetton sono i primi a salutare i nostri ragazzi e a chiedergli come stanno. In molti ci danno anche una mano, sono molto partecipi nella vita dei giocatori”.
Angeloni dà poi un altro ‘consiglio’ ai suoi ragazzi. “Mi piace pensare che in questo sport ci sia un aspetto empatico che vada rispettato e valorizzato. Sono contento quando un ragazzo presta qualcosa all’altro se l’ha dimenticato, oppure quando un compagno offre un aiuto per la versione di greco e latino. Quando si formano questi tipi di amicizie diventa molto più piacevole e edificante portare avanti qualsiasi tipo di attività”.
Sulla sua esperienza da manager, invece, Angeloni ci confida che”a livello personale sono soddisfatto di lavorare con dei ragazzi. Quando c’è da riprenderli naturalmente perché sbagliano, vanno male a scuola, non hanno portato gli scudi o non hanno messo a posto il materiale devo essere un cane cattivo, ma penso che un qualsiasi essere umano che viene trattato con riguardo avrà sempre una certa considerazione nei suoi confronti”. Sull’andamento scolastico, in particolare, la scelta è quella di essere inflessibili. “Se non si va bene a scuola si rischia di essere rimandati a casa, è uno dei princìpi della Federazione”.
Ma affinché un Centro di Formazione sia davvero produttivo, per Angeloni sono fondamentali anche i genitori dei ragazzi. “Spesso, quasi sempre, vengono poco considerati, ma sono il motore trainante della nostra attività. Io, nelle prime riunioni per i nuovi ingressi, dico sempre che tutta la famiglia (genitori, familiari ed atleti) sarà coinvolta nell’anno del Centro di Formazione. Un buon genitore è sicuramente una presenza positiva, mai invadente, e che gioisce dei successi del figlio in maniera velata e posata”.
La selezione dei ragazzi e l’aspetto sportivo
Per entrare nei Centri di Formazione, spesso il solo talento rugbistico non basta. “Sono scelte molto delicate. Si parte da una base di giocatori che rimangono. Il primo obiettivo è individuare i ragazzi che, anche per logistica, sono compatibili. Quando lavoravo a Remedello (dove prima c’era un altro Centro di Formazione, ndr), purtroppo gli studenti del Liceo Classico non potevano essere scelti, poiché avrebbero dovuto fare 50 minuti la mattina per andare a scuola – spiega Angeloni – Con i carichi di allenamento che ci sono, francamente sarebbe stato impossibile sostenere uno stile di vita del genere. In questi casi, i ragazzi venivano segnalati al Centro di Formazione di Milano, oppure venivano comunque presi in considerazione e tenuti d’occhio”.
Chi rimane fuori dalle strutture federali in un primo momento, dunque, non è automaticamente escluso dal progetto, come ci aveva raccontato lo stesso Zaffiri nell’intervista di ieri. “Pur non facendo parte del Centro di Formazione a Remedello, lo scorso anno un ragazzo ha comunque fatto la sua esperienza con la Nazionale Under 17. Se un ragazzo non fa parte del Centro di Formazione, non significa che non sia un buon giocatore. Abbiamo cercato di mantenere i rapporti con la società sportiva e con lui; lo spronavamo affinché si allenasse e mantenesse alto il suo livello di prestazione, perché volevamo portarlo in Nazionale”.
Con il riallineamento del progetto avvenuto in estate, il livello si è inevitabilmente alzato. “Non me ne vogliano gli altri, ma quest’anno è davvero altissimo. Guardo questi ragazzi di 16-17 anni e penso siano incredibili dal punto di vista rugbistico, atletico e mentale. Secondo me qualcuno di questi lo vedremo molto presto giocare nelle Nazionali, perché sono veramente bravissimi. Non tutti lo faranno, ma per quello che vedo ogni sabato e domenica in campo, credo che i nostri atleti possano già esprimersi a un buon livello. Già a 20 anni sono molto in gamba. Prendete Licata… Ho tanta fiducia in questi ragazzi, sono entusiasta”.
Un altro aspetto di fondamentale importanza è la quantità di informazioni che lo staff tecnico passa ai ragazzi, perché il rischio di sovraccaricare troppo degli Under 18 è sempre dietro l’angolo. “È un tipo di problema affrontato quotidianamente, non soltanto per la video analisi ma in generale. Come manager dell’Accademia, anche se a me piace definirmi bidello perché sono impegnato in tantissimi aspetti, parlo tantissimo con i ragazzi e cerco di dare loro tante dritte. Cerco di sviluppare una certa empatia, perché vorrei che abbiano le spalle più coperte rispetto alla mia situazione negli anni ’90 e 2000. Li riempio di parole (ride, ndr)”.
“Il video analyst (Simon Luca Pistore, ndr) riporta le sue informazioni, date soprattutto in maniera visiva poiché noi riprendiamo tutti gli allenamenti – continua Angeloni – Alla fine, Simon Luca taglia le clip, fa vedere errori e progressi, in modo dare subito un feedback e far prendere coscienza a ragazzi del lavoro svolto, nel bene e nel male. È un lavoro importante, a livello strettamente rugbistico è quello che ci dà quel qualcosa in più”.
Avere come esempio una grande stella internazionale? Sarebbe molto positivo, secondo lo staff. “Quando Dolcetto e Pilat svolgono i colloqui individuali, che avvengono una volta ogni venti giorni circa e sono estremamente informali, fanno vedere al ragazzo i video degli allenamenti e delle partite nel club. Durante questi incontri, una delle domande rivolte da Mattia all’atleta è se ha un giocatore preferito, a cui si ispira; se non ce l’ha, i tecnici gli consigliano di trovarlo, perché è importante avere un punto di riferimento. I nomi che escono fuori sono i soliti ovviamente”.
La comprensione del gioco è un fattore rilevante nella formazione di un giovane, a cui viene consentito di seguire il suo istinto il più possibile, ci dice Angeloni. “A quest’età si tende a dare la possibilità ai ragazzi di sbagliare. Alla fine delle sedute, si dicono più dettagliatamente alcune cose. Essendo in ventotto, provenienti da undici società, ci sono stili di rugby molto eterogenei, che i nostri tecnici faticano molto a mettere in campo. Mattia e Corrado hanno le capacità di rendere semplice la comunicazione del gioco. In campo non ci inventiamo nulla di particolarmente strano: giochiamo un rugby veloce con punti d’incontro fulminei, passaggi molto rapidi e cerchiamo di arrivare alla meta con meno ruck possibili. Gli allenatori comunque cercano di non reprimere il giocatore, ma di canalizzare il loro gioco”.
Il rapporto con il Benetton Treviso
Di Bortolami e Ongaro e del loro contributo si è già detto, ma è con tutto il club biancoverde che il Centro di Formazione è in piena sintonia. “Da un punto di vista collaborativo mi trovo splendidamente con tutta la società, fatta di persone molto disponibili. Ti faccio un esempio: ci sono tre atleti che si sono distinti sia in campo sia a scuola, e nei primi di febbraio avranno la possibilità di allenarsi con la prima squadra del Benetton, come premio. Non ci sarà il contatto, ma per un ragazzo fa gola provare esperienze del genere. Treviso è molto disponibile nei nostri confronti e ha delle strutture molto importanti: cinque campi, una palestra enorme…”.
Il Centro di Formazione e i club
“A marzo, aprile e maggio, quando ci sono le fasi finali dei campionati, le società tendono ad avere un atteggiamento più conservativo, ma in quattro anni ho sempre lasciato andare via ragazzi anche il mercoledì o il giovedì”. I problemi dove sorgono? Si pongono nel momento in cui i giocatori sono infortunati, oppure quando non c’è comunicazione con i piccoli club che non hanno la possibilità di venire spesso a trovarci, che hanno pochi tecnici al lavoro nella società. Alcune volte interagire è complicato”.
Gli incontri con gli altri Centri
La riduzione dei Centri di Formazione non eliminerà la possibilità, per le varie strutture federali, di confrontarsi tra di loro come accaduto nel recente passato. “A febbraio saremo a Parma con tutti i Centri di Formazione Permanenti (Roma, Treviso, Milano e Prato) per un Festival, diverso però dagli altri anni perché sarà di tre giorni. Gli allenatori delle Nazionali Under 17 e Under 18 avranno la possibilità di vedere tutti i giocatori di tutte le Accademie”.
Daniele Pansardi
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