Il forte terza linea analizza le cause delle sue due concussion e la tecnica di placcaggio: un tema sempre più caldo
“Per me la più grande considerazione da fare è stato pensare a come mi preparo al contatto. E’ un gioco di numeri: se hai un gran numero di contatti dove la tua testa è in una posizione vulnerabile e sono forti contatti, hai più probabilità prima o poi di metterla nel posto sbagliato.”
Le parole sono di Sam Underhill, così come riportate dal Guardian. Il terza linea inglese è il favorito per l’ambita maglia numero sette della Rosa, nonostante le due concussion che l’hanno tenuto fuori per gran parte della stagione. Underhill è un flanker di grande fisicità, che esegue un gran numero di placcaggi in una partita, ma il fatto di essere stato fermo per ben due volte in un periodo di tempo ravvicinato a causa di traumi cranici aveva sollevato dei dubbi sulla sicurezza della sua tecnica di placcaggio.
“Non c’è nessun merito nel tentare di dare gran botte tutto il tempo, devi placcare efficientemente. Se dai delle gran botte, solo perché sei bravo in un tipo di placcaggio, non significa che tu sia un buon difensore – ha detto Underhill al quotidiano inglese, sottolineando la sua maturità nonostante i 21 anni appena – Avere una migliore coscienza della situazione significa essere più efficace.”
In un rugby sempre più fisico e con contatti sempre più estremi, soprattutto ad alto livello, sta crescendo l’attenzione sulla tecnica di placcaggio, essenziale a garantire la sicurezza dell’atleta contro colpi che potrebbero essere pericolosi. Troppe volte sui campi da rugby vediamo i giocatori impegnarsi in placcaggi tecnicamente sbagliati pur di essere sicuri di fermare l’avversario: un modo pericoloso e poco efficiente di mettere il proprio corpo a disposizione della squadra.
“Vuoi sempre aggiungere un elemento di fisicità – dice Underhill, con lucidità – ma l’importante è essere a proprio agio con differenti modi di placcare. Non tutti i placcaggi devono essere dei colpi forti. Guardate François Louw: può dare delle gran botte, ma anche essere un difensore molto intelligente. La sua continuità dimostra che avere un arsenale vario è più sostenibile.”
La sostenibilità diventa quindi un concetto chiave del rugby nel presente e nell’immediato futuro: da una fisicità grezza è necessario passare a impatti consapevoli. Non basta gettare il proprio corpo nella mischia, ma occorre farlo con consapevolezza per garantire una continuità e un approccio diverso a seconda delle situazioni, che non significa non vedere più autoscontri degni delle giostre, ma una crescita di tecnica individuale di ogni giocatore per applicare differenti placcaggi a seconda delle situazioni.
“Una bella botta è una cosa più che altro emotiva, ma è dura da sostenere ripetutamente durante una stagione. E’ dura essere sempre il giocatore più aggressivo in campo, ma puoi essere continuativamente il giocatore più intelligente.”
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