Sinergie, rinnovamento e aspetti tecnici: ecco i nuovi azzurrini, che esordiranno a Gorizia contro l’Inghilterra
Il Sei Nazioni Under 20 è alle porte. Domani sera infatti, con kick off previsto per le ore 19, l’Italia inizierà il suo torneo sfidando i campioni uscenti dell’Inghilterra in un match che sulla carta appare già molto difficile. In casa azzurra però, dopo l’annata 2017 culminata con l’ottavo posto al Mondiale di categoria, si respira aria di positività.
Un ciclo di giocatori e uno staff tecnico rinnovato sono pronti a cogliere l’eredità di Riccioni e compagni.
Per capire come faranno, siamo andati ad intervistare uno dei due capoallenatori della nuova U20: quel Fabio Roselli che dopo un passato fra l’Accademia e il ruolo di assistente è ora pronto insieme al collega Andrea Moretti ad un ruolo di grande responsabilità.
Fabio, tu e Andrea Moretti siete arrivati alla rappresentativa U20 dopo l’ottimo evento iridato di categoria dell’anno scorso. Qual è stato il vostro impatto in questi mesi di raduni?
Ho iniziato a prendere confidenza con questa realtà già al Mondiale dove, pur non facendo parte dello staff tecnico, ero stato invitato nelle prime due settimane di lavoro in previsione di questo incarico concordando il tutto con Carlo Orlandi, Alessandro Troncon e Stephen Aboud.
In passato poi erò già stato assistente di Tronky e, essendo stato anche responsabile dell’Accademia Ivan Francescato, posso dirti che una quindicina di ragazzi già li conoscevo perchè eravamo stati coinvolti insieme in alcune sessioni di lavoro. Questo mi ha indubbiamente facilitato, così come aver già collaborato con Andrea Moretti e anche il nostro preparatore atletico Massimo Zachini.
Ci hai parlato proprio di Aboud nella risposta precedente: che sinergia c’è tra voi e lui immaginando che ogni tanto vi rapportiate anche con Conor O’Shea?
Con Stephen ci conoscevamo già da qualche tempo. Attualmente stiamo cercando di trovare una visione d’assieme per capire cosa serve al rugby italiano per arrivare all’alto livello. Il confronto è continuo, lui è molto presente nell’attività della nostra rappresentativa.
Per quanto riguarda O’Shea invece posso dirti che abbiamo avuto un incontro ad inizio stagione, soprattutto per l’individuazione di qualche profilo spendibile in futuro nella nazionale maggiore: non va dimenticato che l’Under 20 è l’anticamera del rugby internazionale di alto livello. C’è stato un confronto anche con lui incentrato sulla profondità della rosa e la definizione di alcuni ruoli in particolare.
In tema di profili futuri, le figure di Giovanni Licata e Marco Riccioni possono essere da esempio trainante per i ragazzi della nazionale: come si lavora sull’aspetto mentale di un gruppo giovane?
Questi ragazzi sono un esempio positivo e stimolante in tutti i sensi per i ragazzi che sono qui ora, anche se hanno avuto due percorsi formativi diversi. Licata, in particolare, è un prodotto proprio dell’Accademia e ora siamo contenti che possa dimostrare il suo valore a quei livelli.
L’aspetto mentale diventa quindi importantissimo, perchè normalmente vediamo che prospetti di 17, 18 0 19 anni non hanno tutta questa forza mentale. E’ una cosa su cui cerchiamo di esserci al massimo delle nostre possibilità.
In Accademia avevamo la possibilità, ogni tanto, di poter consultare uno psicologo dello sport ma io credo che dobbiamo essere anche noi allenatori a dover capire i ragazzi; visto quanto tempo passiamo con loro.
Bianchi, Cannone, Lamaro, Rizzi e D’Onofrio, solo per citarne alcuni, invece costituiscono la “linea di continuità” fra il vecchio ed il nuovo gruppo che si sta formando. Come procede la formazione del team?
La nazionale Under 20 è una squadra particolare, perchè ogni anno più o meno si rinnova; anche se in questo caso possiamo contare su giocatori che hanno avuto la possibilità di essere precursori all’interno di questo gruppo.
Io e Andrea quindi, sempre coordinati da Aboud, ci siamo posti due obiettivi sin dall’inizio: il primo era quello di individuare i giocatori più esperti da confermare e il secondo quello di trovare nuovi elementi da inserire stando particolarmente attenti ad aumentare la profondità nei ruoli scoperti. Conoscevamo i ragazzi e anche loro avevano già un rapporto fra di loro.
L’approccio comportamentale è cambiato, ma amalgamare il gruppo è stato molto semplice. Ciò che era importante era trovare e far capire al gruppo un’identità in cui rivedersi: valori da condividere in allenamento, ma anche nella vita di tutti i giorni.
Passiamo invece a parlare degli aspetti legati al campo: che Sei Nazioni dobbiamo aspettarci dagli azzurrini? Ci sarà una continuità di gioco, con quanto visto dodici mesi fa?
Sicuramente arriviamo al torneo con qualche infortunio importante, ma proprio perchè abbiamo lavorato per allargare il gruppo crediamo comunque di essere pronti.
Ci sentiamo confidenti e in linea di principio vogliamo esprimere un gioco che non si discosti troppo dalla precedente edizione dell’Italia. La base di partenza sarà costituita dalla fase difensiva, atta a togliere spazio ai rivali ai rivali, per poi cercare di sfociare in una fase offensiva più confidenziale.
Stiamo inoltre lavorando molto per imparare a gestire i momenti della partita, in cui la bilancia può pendere da una parte o dall’altra. Il Sei Nazioni è una bella sfida: abbiamo possibilità di migliorare, raggiungere gli obiettivi dell’anno scorso e, di partita in partita, mostrare il nostro potenziale.
Nella preparazione verso l’esordio, quanto possono averci aiutato l’allenamento con le Fiamme Oro e il test contro i parigrado della Francia?
Quello che ci ha aiutato di più è stato sicuramente l’allenamento con i transalpini, questo perchè il rugby internazionale ha un altro ritmo e un’altra intensità: se vuoi essere forte devi competere con chi è nell’alto livello.
Ringrazio comunque Gianluca Guidi e le Fiamme Oro, una società che ha a cuore lo sviluppo dei suoi giovani giocatori verso l’elite professionista, ma giocare con una squadra di Eccellenza ad oggi non ci ha potuto dare lo stesso riscontro.
Che Inghilterra dobbiamo aspettarci a Gorizia? Sulla carta è certamente la partita più difficile.
Essendo la prima partita non abbiamo avuto tanto materiale su cui poter studiare. Ci attendiamo una squadra-fotocopia rispetto alla loro rappresentativa seniores: molto solida e forte nelle fasi di conquista e di imposizione del gioco.
Sappiamo che hanno un bacino ampio e sono quelli che hanno più possibilità. I loro giovani giocano in un campionato come la Premiership e questo li aiuta indubbiamente accelerando il loro processo di crescita.
Se, infine, dovessi mettere nel mirino una partita in particolare?
A livello internazionale partiamo con meno esperienza degli altri, ma indicarti una partita in particolare non è una cosa che mi viene cosi facile. Sono invece curioso di capire come potranno svilupparsi le nostre sfide contro Irlanda, Francia e Scozia: a Dublino dovremo capire come loro vivranno questa battaglia, visto anche il precedente dell’ultimo Mondiale quando li battemmo di un punto, così come quando giocheremo nell’ultima partita a Bari contro gli scozzesi, che invece ci superarono di misura nella kermesse iridata, mentre Oltralpe ci opporremo ad una compagine un po’ più conosciuta, dove quindi diventerà necessario lavorare di più sull’aspetto mentale.
I ragazzi hanno capacità per vincere delle partite sgretolando le certezze avversarie e andando a vivere nel modo giusto i momenti delle singole sfide che vivremo: starà a noi dello staff aiutarli a mettere in campo tutto questo.
Michele Cassano
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