Italia e Galles, il progresso arriva per tutti

Nella prima giornata del Sei Nazioni 2018, Azzurri e Dragoni hanno utilizzato gli avanti in modo diverso dal solito

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ph. Sebastiano Pessina

L’estinzione della figura dell’uomo di mischia grezzo, monodimensionale e poco dotato tecnicamente è avvenuta già da tempo. Piloni, seconde e terze linee hanno dovuto progredire di pari passo alle esigenze di allenatori e gioco e, sebbene il loro mestiere primario in attacco rimanga quello di garantire palloni puliti alla cavalleria leggera, ad alti livelli è sempre più raro scovare un avanti incapace di trattare l’ovale con una certa grazia.

Le migliori abilità dei singoli hanno permesso agli allenatori di virare verso strade inesplorate, con l’implementazione di strategie e schemi offensivi innovativi e tarati proprio sulle capacità gestuali del pack. Le evoluzioni tecniche, atletiche e tattiche, del resto, si inseguono sempre tra di loro e, nel caso del rugby, hanno settato il gioco su determinati parametri, in cui una delle caratteristiche più evidenti è l’asfissia provocata da difese sempre più impetuose.

Un’altra, invece, è l’assegnazione di compiti specifici agli uomini pesanti per manipolare le suddette difese, come abbiamo potuto ammirare nel corso della prima giornata del Sei Nazioni 2018, soprattutto per quanto fatto da Italia e Galles. Si tratta di tendenze già in voga da qualche anno, ma ormai largamente utilizzate da qualsiasi squadra che voglia rendere più complesso il suo piano di gioco offensivo.

Meno autoscontri, più passaggi

La maggior parte delle squadre di club e nazionali utilizza uno schieramento denominato 1-3-3-1 (ne avevamo parlato a proposito dell’Argentina), che per l’appunto fa riferimento alla disposizione degli avanti sul campo durante una normale fase di gioco. Un simile scaglionamento permette alla formazione in attacco di avere una copertura ottimale su tutto il fronte offensivo, oltre che di strutturare le proprie fasi sapendo che al centro del campo potranno essere utilizzate due mini-unit composte da tre ball carrier pesanti. Questi ultimi assolvono ad alcuni possibili compiti: corrono linee di corsa senza ricevere per impegnare la difesa (i dummy runner), alimentano l’azione in profondità servendo la seconda linea d’attacco o agiscono da testa di ponte con il portatore che impatta sulla difesa, subito supportato dagli altri due che ripuliscono il punto d’incontro.

È sempre più frequente, tuttavia, vedere anche una quarta opzione. I tre giocatori si dispongono in modo tale da caricare a testa bassa sulla difesa avversaria, ma il portatore non decide di attaccare in prima persona e si limita ad attirare la pressione del diretto avversario, scaricando invece ad uno dei due compagni al proprio fianco. C’è una nazionale, in particolare, che nell’ultimo weekend ha dimostrato di puntare molto su questa tattica dopo le buone impressioni destate a novembre, ottenendo dei dividendi più alti di quanto ci si potesse immaginare.

 

In questo caso, il difensore scozzese sale anche piuttosto rapidamente, il che invita ancor di più a passare il pallone invece di tenerlo saldo con sé. Nella vecchia versione del Galles, forse Alun-Wyn Jones avrebbe tentato ugualmente lo sfondamento, ma la suddetta situazione invece è soltanto uno dei tanti piccoli esempi del nuovo corso intrapreso da Warren Gatland e Rob Howley. Vedere per credere.

Per smentire subito chi pensasse ad un’improbabile coincidenza, i Dragoni hanno ripetuto lo stesso pattern di gioco alla fase successiva in maniera molto più spettacolare, con il tocco vellutato di Samson Lee che ha aperto lo spazio per la corsa di Ross Moriarty (e che gli è valso un “Samson Lee is a Fijian” dai commentatori della BBC).

La ricerca dello spazio ai fianchi dei difensori è il nuovo dettame dello staff gallese per i suoi carroarmati, liberati dall’obbligo di cercare il sistematico annientamento fisico dell’avversario con ripetuti sfondamenti. La trasformazione è stata pressoché radicale e, per il momento, sta riscuotendo successo, vista la notevole prestazione sfornata dai primi otto Dragoni contro la Scozia. In questo senso, avrà sensibilmente influito il lavoro svolto da Wayne Pivac con gli Scarlets, abili nel tenere vivo il pallone anticipando gli avversari, che si ritrovano poi nelle peggiori condizioni possibili per portare un placcaggio e rallentare l’attaccante. I passaggi ravvicinati tra gli avanti rappresentano una soluzione tanto intelligente quanto difficile da leggere per la difesa, mentre l’attacco può guadagnare la linea del vantaggio e mettersi sul piede avanzante. Anche l’Italia ha potuto godere di qualche beneficio da queste situazioni, seppur effimero per la poca continuità dimostrata in alcuni momenti del suo attacco.

L’uso dei pivot

Il Leinster e l’Irlanda, sotto la guida di Joe Schmidt, hanno fatto scuola. La trademark move delle due squadre è il ben noto loop, ovvero il raddoppio operato da Jonathan Sexton con i centri (ma non solo) per ritardare la salita difensiva e avere quelle necessarie frazioni di secondo in più per gestire il possesso (ne avevamo parlato su queste pagine).

Per garantire più distanza tra il mediano d’apertura (o un altro playmaker esterno) e gli avversari desiderosi di farne un sol boccone, tuttavia, si ricorre sempre più spesso anche ad un’altra delle opportunità offerte dalla formazione di mini unit in mezzo al campo: utilizzare un uomo di mischia per rifornire la seconda linea d’attacco, magari mentre il collega di reparto fissa la difesa da dummy runner.

Far ruotare un’azione attorno ad un pivot è meno complesso di un loop per coordinazione e sincronismo, ma è necessario che la velocità d’esecuzione sia adeguata per poter sfruttare al meglio il maggiore spazio che si viene a creare tra regista e linea difensiva.

In entrambe le mete segnate contro l’Inghilterra, l’Italia ha fatto buon uso di questo ‘scudo’ rappresentato da Lovotti prima e Parisse poi per allargare il gioco verso Allan, che ha subito meno l’opprimente velocità inglese nel chiudere il gap uscendo dai blocchi dopo un punto d’incontro. In particolare, nella meta di Bellini è perfetto il timing del capitano azzurro nel passaggio verso il numero 10, soprattutto per continuità e armonia del movimento.

Per sventagliare da una parte all’altra del campo, anche il Galles si è costantemente servito dei vari Hill, Shingler e Jones per favorire la trequarti, mandando sempre fuori tempo la Scozia. Definirle delle novità è senz’altro inopportuno, ma il massiccio impiego di queste soluzioni anche da parte di squadre come Italia e Galles – per vari motivi un po’ in ritardo rispetto alle altre – è un segnale di come tutti vogliano muovere il pallone, a prescindere da avversari e contesto.

Daniele Pansardi

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