Italia: riflettere sugli errori, qui e ora

In Francia è arrivata la peggior prestazione della stagione, in cui non c’è quasi nulla da salvare

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ph. Reuters

Anche se dopo certe sconfitte diventa arduo non farsi sopraffare da sconforto e pessimismo nel pensare al futuro dell’Italrugby, il particolare limbo in cui si ritrovano gli Azzurri da diverse stagioni a questa parte imporrebbe delle riflessioni più aderenti al solo presente dopo ogni partita del Sei Nazioni.

Dall’esterno, il progetto di Conor O’Shea e soci nella sua globalità e proiettato sul lungo termine diventa infatti difficile da giudicare al momento, sia perché non sono passati nemmeno due anni dall’insediamento dell’irlandese, sia perché non si conoscono tutti gli effettivi parametri su cui fare delle valutazioni (i risultati delle franchigie, per esempio, non possono essere gli unici da tenere in considerazione).

Meglio, dunque, concentrarsi sul qui e ora: non per rimandare il dibattito sul futuro, ma per affrontare subito quei problemi che contro la Francia sono emersi in maniera più preoccupante del solito, e che all’interno della Nazionale non possono ammettere un rinvio nella loro discussione, proprio per poterli trattare e – chissà – curare un giorno.

(Piccole) Speranze in fumo

Se contro Inghilterra e Irlanda ogni possibile strada sarebbe diventata senza via d’uscita anche prima di scendere in campo, contro la Francia gli Azzurri partivano con qualche speranza in più. Ad aspettative maggiori, corrispondono ovviamente delusioni sempre più grandi: e considerando il rendimento degli uomini di O’Shea negli ultimi Sei Nazioni, bastava quel piccolo barlume in più per accendere la fantasia di appassionati ed addetti ai lavori, in parte giustificata dalla disastrosa situazione sportiva e disciplinare in cui verteva la Francia.

Il concetto di base, tuttavia, rimaneva sempre lo stesso: senza una prestazione al 100% delle proprie possibilità, per gli Azzurri sarebbe stato pressoché impossibile uscire dal Vélodrome con un risultato di lusso. Anche se non sappiamo a cosa corrisponde nei fatti il tanto invocato 100%, possiamo dire senza troppo margine d’errore che quanto ammirato a Marsiglia dagli Azzurri si è discostato parecchio dalla perfezione, rendendo di fatto impossibile pure la conquista di un bonus difensivo. Anzi, considerando l’avversario, si è trattata senza ombra di dubbio della peggior partita stagionale dell’Italia, compresi i Test Match autunnali.

In questo senso, hanno avuto un suono stridente le dichiarazioni di Tommaso Castello nell’immediato post partita, quando il centro delle Zebre ha indicato il primo tempo giocato contro la Francia come la parte migliore del Sei Nazioni italiano finora. Il genovese, autore di una partita senza infamia né lode, è probabilmente stato tratto in inganno dallo scarto di soli 4 punti con cui le squadre sono andate al riposo nell’intervallo, perché a ben guardare dei quaranta minuti iniziali degli Azzurri non c’era nulla da salvare, se non l’immediata reazione arrivata dopo la meta di Gabrillagues.

Se i Bleus, dalle quattro incursioni sui 5 metri italici del primo tempo, avessero ricavato tra i 20 e i 28 punti, nessuno avrebbe avuto niente da obiettare. È vero anche che Parisse&co. hanno avuto una maggiore attitudine difensiva in zona rosa rispetto alle partite precedenti, ma sulla bilancia dell’11-7 maturato al 40′ hanno pesato soprattutto i demeriti di una Francia arruffona e realmente ai minimi storici (questa no, non è una fantasia).

Si poteva vincere?

Ragionare con i “come sarebbe potuta andare se…” diventa piuttosto difficile visti i pochi termini di paragone, ma alcuni legittimi dubbi possono essere sollevati. Non tanto sulla strategia scelta dallo staff tecnico, ovvero quella di puntare a conservare il possesso e non giocare per il territorio, ma per la tattica utilizzata per portare avanti questo piano di gioco.

Contro l’Inghilterra, per esempio, avevamo visto l’Italia variare molto nelle sue opzioni offensive, utilizzando gli uomini del pacchetto come pivot per trasferire la palla alla linea arretrata, oppure evitando gli autoscontri con i giocatori pesanti che muovevano il pallone nello stretto. A Marsiglia, la scelta è andata verso un tipo di gioco più verticale e senza troppi fronzoli, con cariche dirette e trame ridotte all’osso, ma il disavanzo tecnico e fisico nel corpo a corpo era fin troppo ampio per poter pensare di trarre qualcosa di buono da una tattica del genere.

Di conseguenza, gli allargamenti del gioco – che dovrebbero arrivare solo quando l’attacco è sul piede avanzante – sono stati ampiamente penalizzati, perché sui punti d’incontro i francesi hanno sempre rallentato l’ovale (l’Italia ha concluso con un mediocre 87% di successo nelle ruck) agli Azzurri e tagliato i tempi per esplorare la difesa. In un contesto del genere, solo Sebastian Negri (in parte anche Zanni e Ghiraldini) ha saputo fare realmente la differenza grazie alle sue caratteristiche tecniche e fisiche, tant’è che il terza linea del Benetton ha chiuso la partita con 8 difensori battuti, su un totale di squadra di 17.

Ad un game plan quantomeno rivedibile e poco lungimirante, vanno poi aggiunte le esecuzioni eufemisticamente poco accurate di tanti Azzurri, che hanno generato 13 turnover e una parte delle 16 penalità concesse ai transalpini. Gli errori dei singoli possono essere una causa diretta di tattiche poco congeniali, ma anche per una scarsa attitudine (vedasi certi placcaggi sbagliati), mancata lettura di situazioni in corsa o per carenze intrinseche al giocatore che non sono mai state sviluppate al meglio (i calci dalla base di Violi e Gori, per esempio).

Questo mix di cattive interpretazioni sia strategiche sia esecutive si è visto anche nella fase difensiva, soprattutto per come gli Azzurri hanno scelto di provare a fermare le avanzate dei ball carrier francesi. Come preventivabile, Brunel si è affidato alla brutalità fisica dei suoi e all’irruenza di Bastareaud, vero e proprio incubo dei difensori, a cui l’Italia non ha mai saputo trovare la benché minima soluzione.

È difficile dire se placcando più basso di quanto fatto, gli Azzurri avrebbero concesso meno metri ai Bleus, ma forse avrebbero ovviato in qualche modo all’evidente divario muscolare esistente tra le due squadre, e che in alcuni frangenti del primo tempo ha fatto sembrare l’Italia qualcosa di molto simile ad uno sparring partner. Adattarsi in corsa al contesto, d’altronde, non è mai stato un punto forte degli Azzurri per svariati motivi. Anche per questo, ogni errore commesso in sede di preparazione alla partita rischia di diventare un rebus irrisolvibile in campo.

Daniele Pansardi

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