Clara Munarini: la promessa, al femminile, dei fischietti italiani

Intervista al giovane arbitro, grande protagonista in questa stagione: la prima italiana ad arbitrare al massimo livello tricolore

clara munarini

ph. Andrea Pagin

Clara Munarini è una giovane ragazza di Parma, che, negli ultimi anni, sta scrivendo pagine importanti dell’arbitraggio ovale (in Italia, ma non solo). Dopo un’esperienza di peso tra serie B e serie A, lo scorso gennaio ha diretto una gara del Trofeo Eccellenza, diventando così la prima donna italiana (la seconda arbitro donna dopo l’irlandese Neville) a fischiare al livello più alto della piramide rugbistica nostrana (anche se in coppa, e non in campionato). Mentre si trova in Belgio per il Rugby Europe Women Championship con Spagna, Germania, Belgio e Olanda, a pochi giorni di distanza dalla fatica in Pro14 come assistente in quel di Parma (per Zebre-Cardiff), abbiamo deciso di intervistarla per approfondire il suo rapporto con ovale e fischietto.

Come definiresti in maniera esaustiva la figura dell’arbitro?

L’arbitro è quella figura che aiuta i giocatori a divertirsi ed offrire un bello spettacolo. Ha il dovere di garantire l’equa contesa, un concetto che piace molto nel mondo rugby. Al tempo stesso è anche colui che si occupa dell’incolumità dei trenta ragazzi sul terreno di gioco.

Entrando nel dettaglio della tua esperienza, negli anni hai arbitrato sia il rugby a XV che a sette. Quanto cambia il tuo approccio alla direzione a seconda del numero di elementi in campo?

Per quanto mi riguarda la differenza è abissale. A seven il rapporto empatico con  giocatori praticamente è pari a zero. Semplicemente perché non si ha il tempo materiale per costruirselo: non si va mai in touche, ci sono molto meno mischie, il ritmo è frenetico, va tutto tremendamente veloce (e anche la componente fisica è sollecitata al massimo). L’arbitro seven, dunque, è praticamente “invisibile”. Deve prendere, di solito, un numero limitato di decisioni, affatto banali (e senza potersi “nascondere” dietro alla chiamata di un vantaggio), ma poche, a brevissimo giro di posta. Nel XV, invece, la parte di “management”, il “farsi ben volere” dai giocatori ha un peso enorme, almeno quanto l’aspetto tecnico. Un’altra differenza sta proprio nell’aspetto tecnico.

A proposito di “proteggersi”. Pensi che la possibilità di utilizzare (a volte in modo esasperato) il TMO modifichi un arbitraggio medio, magari modulando in moto diverso la “frequenza attenzione” di un direttore di gara?

Secondo me non è possibile per un arbitro di alto livello farsi influenzare da questa cosa, perché ritengo che sia fondamentale essere sempre al cento percento nel controllo della “temperatura” della partita, e nel timing di una sanzione. Ecco i motivi per cui sono convinta che il TMO non abbia effetti da questo punto di vista, pur sottolineando che sapere di averlo a disposizione è un bel salvagente nelle situazioni più spinose.

Restando ancorati all’alto livello, negli ultimi tempi si sta discutendo molto sulla nuova regola sul fuorigioco e sull’impatto che ha avuto sulle partite, con sempre meno uomini a contendere nei raggruppamenti e troppa gente in piedi. Tu, se potessi intervenire in senso lato sul regolamento attuale per accrescere fluidità di gioco e spettacolo, cosa cambieresti?

Probabilmente, più che modificare il regolamento, credo vada aggiustata, nel prossimo periodo, la situazione esageratamente e maliziosamente caotica del placcatore che, “casualmente”, cade invadendo lo “spazio avversario”, impiegando tantissimo tempo nel rotolare via, generando così difficoltà extra sul mediano di mischia altrui. Le sanzioni, in tal senso, dovrebbero essere automatiche, per smussare gli angoli fastidiosi di questa abitudine ormai consolidata. Meno tolleranza, dunque, sulla presunta involontarietà in queste situazioni è la mia prima opzione come risposta ad una domanda simile.

Non posso salutarti senza chiederti anche un parere sulla situazione dell’ovale femminile. Anche alla luce di quanto visto nel mondiale irlandese dello scorso agosto, a che punto è il rugby rosa?

La manifestazione della scorsa estate, per quanto mi riguarda, è stata ampiamente all’altezza delle aspettative sotto ogni punto di vista: rugbistico, arbitrale ed organizzativo. Se parliamo di livello di gioco, è evidente come ci siano delle superpotenze che esprimono un rugby di notevole spessore, e poi un solco, difficilmente colmabile da chi insegue, almeno nel breve periodo. Quello che manca alle nazioni emergenti, molto probabilmente, non è il numero di praticanti, ma i fondi e le strutture. In ogni caso il livello tecnico medio si sta alzando, e in tal senso il seven sta aiutando molto. Lì, infatti, serve decisamente meno per generare competitività, e alcune squadre, con il tempo, stanno trasferendo la loro competenza maturata a sette anche nel XV. Per i prossimi anni, comunque, sarebbe bello organizzare più finestre internazionali, per permettere a tutte le ragazze di fare maggior esperienza e confrontarsi in modo continuativo con le migliori degli altri paesi. Sarebbe estremamente formativo.

Matteo Viscardi

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