Cinque sorprese dal Sei Nazioni 2018

I giocatori che ci hanno colpito di più dopo tre giornate del Torneo

ph. Sebastiano Pessina

Il concetto di ‘sorpresa’ legato a quest’articolo è più ampio di quello a cui siamo abituati a pensare. In un torneo come il Sei Nazioni, del resto, c’è poco spazio per giocatori che dall’oggi al domani cominciano a impressionare le platee d’Europa senza avere un background e una minima storia internazionale alle spalle. È il caso anche dei nostri cinque selezionati che maggiormente ci hanno colpito in queste prime tre giornate del torneo: nessuno di loro è venuto fuori dal nulla, ma tutti avrebbero dovuto dimostrare di saper gestire la pressione di una competizione così prestigiosa e capace in sole otto settimane di cambiare delle carriere. Non abbiamo inserito giocatori italiani poiché ne abbiamo già discusso in altre sedi, altrimenti Minozzi e/o Negri avrebbero certamente trovato il loro spazio.

Josh Navidi – Galles

È il giocatore più riconoscibile tra i tanti scesi in campo finora nel Torneo visti i suoi onnipresenti dreads, che ne fanno l’atleta più swag nel panorama del rugby mondiale. In questa stagione (finalmente, potremmo dire) il 27enne è salito agli onori della cronaca ovale non solo per la sua capigliatura, ma anche per le debordanti prestazioni offerte con la maglia del Galles fin qui.

Eppure, prima del 3 febbraio scorso, Navidi non aveva giocato nemmeno un minuto del Sei Nazioni. Anzi, ad eccezione dei Test Match del Galles giocati in concomitanza con le serie dei British & Irish Lions (che spalancano le porte a molti esordienti), Navidi non aveva mai giocato con i Dragoni fino all’autunno scorso, quando gli infortuni a Warburton e Lydiate e la forma poco brillante di Tipuric hanno stesso il tappeto rosso (in tutti i sensi) al flanker dalle origini iraniane, titolare contro All Blacks, Springboks e Wallabies.

Il terza linea si è tolto l’etichetta di giocatore affidabile soltanto a livello di franchigia, dimostrando di saper incidere in maniera significativa anche in campo internazionale. Pur essendo in fin dei conti soltanto una riserva (che lusso) di Warburton, nei 240 minuti giocati fin qui nel torneo Navidi è stato superlativo contro tutte e tre le Home Nations, spazzando via ogni residuo dubbio sul suo possibile impatto con certe realtà, lui che era quasi un neofita del test rugby fino a un mese fa.

Per capire di che giocatore si tratta, invece, è sufficiente leggere la voce ‘turnover vinti’, perché con 5 in testa alla classifica delle palle recuperate c’è proprio Navidi (insieme allo scozzese Barclay). Il terza linea è stato l’incubo della Scozia sui punti d’incontro, sporcando e rallentando tutti i palloni possibili anche contro Inghilterra e Irlanda, in cui nonostante le sconfitte dei Dragoni si è ugualmente distinto per due partite di straordinario sacrificio e intensità.

Il pregio più evidente di Navidi è difatti la sua resistenza, che gli permette di pestare sulle gambe senza perdere in forza o efficacia anche a match inoltrato. Non è un colosso, perché resta addirittura sotto il quintale di peso, ma sa utilizzare il suo dinamismo e il suo corpo nelle collisioni con grande efficacia. Non è più solo “un buon giocatore”, ma anche qualcosa di più

Aaron Shingler – Galles

L’attuale coppia di flanker titolari del Galles condivide un passato quasi comune, caratterizzato da sparute presenze spalmate su più anni ma soprattutto dall’impossibilità di dimostrare il proprio valore a causa della presenza di mostri sacri come Warburton e Lydiate. A Shingler era andata un po’ meglio rispetto a Navidi, ma si era dovuto accontentare comunque di 8 cap conquistati in 5 anni fino al novembre scorso.

Anche per il flanker degli Scarlets, però, da novembre è quasi cominciata una seconda carriera con la maglia della Nazionale. La sua adattabilità a contesti più probanti del Pro14 non è stata mai in discussione, ma l’altissimo rendimento mantenuto fin qui è forse andato oltre ogni più rosea aspettativa.

Continuando con questo passo, sia lui sia Navidi sarebbero dei seri pretendenti al titolo di miglior giocatore del Sei Nazioni, nonostante il Galles sia ormai tagliato fuori dalla corsa per il titolo. Come il collega di reparto, Shingler si è rivelato l’uomo giusto al momento giusto per Gatland e il suo staff in un momento di delicata transizione, che vede i Dragoni impegnati nella modernizzazione del proprio stile di gioco.

Il 30enne, ex giocatore di cricket da ragazzino, risponde perfettamente alle nuove esigenze degli allenatori, a cui ha messo a disposizione il suo dinamismo, l’ottima lettura di gioco e le pregevoli mani con cui ha smistato 5 offload in tre partite. Anche lui non è certamente una macchina da guerra in quanto a muscoli e potenza fisica, ma a compensare c’è una tecnica di base davvero notevole. Una pecca? È il gallese che ha concesso più calci di punizione di tutti finora (4 sui 18 totali).

Jefferson Poirot – Francia

Da quando Jacques Brunel ha fatto il salto dal club che stava allenando, l’Union Bordeaux-Bègles, alla nazionale maggiore, ha scelto di dare continuativamente fiducia a diversi giocatori che ha avuto modo di allenare con i girondini: Tauleigne, Jalibert, Pelissie e Jefferson Poirot (ci sarebbe anche Baptiste Serin, ma Brunel ha dimostrato di non considerarlo particolarmente in alto nelle gerarchie).

Poirot, al suo secondo Sei Nazioni (ha giocato quello del 2016), si è messo in luce come il pilone sinistro più in forma del Torneo fino ad adesso, raggiungendo un livello che non aveva mai sfiorato nelle precedenti uscita con la maglia dei Bleus.

Thomas Lièvremont, assistente di Jacques Brunel, ha detto chiaro e tondo alla stampa perché Poirot è così ben considerato da aver ottenuto 16 dei suoi 17 caps da titolare: “Ha l’attività di una terza linea”. Alla consueta solidità del pilone in mischia chiusa, infatti, Poirot abbina rapidità ed esplosività di movimenti grazie al fisico moderno.

In tre partite ha realizzato 36 placcaggi senza mai sbagliarne uno, elemento indispensabile della catena difensiva francese che è finora la cosa dove Brunel ha posto la maggior parte della propria attenzione. E ci ricordiamo tutti della sua dimostrazione di forza nel secondo tempo di Francia-Irlanda, quando ha strappato la palla dalle mani di Tadhg Furlong, non certo l’ultimo arrivato.

In attacco Poirot deve ancora mostrare il meglio invece. La struttura del gioco francese e i pochi palloni toccati non gli hanno ancora permesso di mettere in mostra quello che abbiamo potuto vedere in Top 14: il suo talento nel muovere il pallone dopo il contatto, creando avanzamento ed opportunità per i compagni.

Si profila ora all’orizzonte una delle sfide più difficili per il 25enne, quella contro l’infinita esperienza di Dan Cole e l’Inghilterra. Una battaglia fisica, corpo a corpo, nel terreno che Jefferson Poirot ha dimostrato di preferire.

Jacob Stockdale – Irlanda

Solamente due giocatori irlandesi hanno segnato più di quattro mete in una singola edizione del Sei Nazioni: Brian O’Driscoll e Tommy Bowe. E nessuno dei due era al suo primo Sei Nazioni. Ecco chi è Jacob Stockdale, una macchina da mete di impressionante valore, capace di ritagliarsi in pochissimo tempo un posto da insostituibile con la maglia numero 11 dell’Irlanda, grazie alle sue otto mete in sette presenze internazionali.

Ventuno anni, stazza fisica importante (191 centimetri su cui si distribuisce un quintale abbondante di peso) e falcata impressionante, Stockdale ha debuttato con l’Ulster nel 2016, segnando finora la bellezza di 17 mete in 36 partite. In nazionale ha esordito lo scorso giugno, contro gli Stati Uniti, condendo la sua prima da titolare con una meta. Nel tour estivo ha poi replicato contro Sudafrica e Argentina, segnando una doppietta ai Pumas che gli è valsa il Man of the Match.

E pensare che Stockdale avrebbe voluto farla finita con il rugby a 15 anni, quando era nella terza selezione della propria scuola e uno dei ragazzi più piccoli di corporatura. Poi, all’improvviso, il salto: 30 centimetri di altezza aggiunti in un battibaleno, il fisico che si struttura e il titolo di Ulster Schools Player of the Year ottenuto nel 2014.

Nonostante le grandi prestazioni offensive, fra cui si distingue quella di sabato scorso contro il Galles (due mete, 83 metri corsi, 3 breaks), il giovane irlandese deve ancora migliorare in alcune situazioni difensive, specialmente nel giudicare il momento per salire in maniera aggressiva, come vuole Andy Farrell, e quando invece temporeggiare.

Yacouba Camara – Francia

Il Man of the Match della partita di Marsiglia fra Italia e Francia sembra il volto nuovo di questa nazionale francese che è un vero e proprio cantiere aperto, ma a soli 23 anni il terza linea del Montpellier è già una figura di rilievo per i Bleus, avendo esordito proprio contro l’Italia nel Sei Nazioni del 2016.

Camara è stato fra le certezze del pack francese in queste prime tre giornate e, nella terza linea completata da Lauret e Tauleigne (in absentia di Kevin Gourdon), è l’ideale equilibratore: nonostante il numero sette sulla schiena possa trarre in inganno, le qualità di Camara sono quelle più tipicamente assegnate ai blindside flanker, le terze linee dal lato chiuso.

Un gioco aereo mercuriale in rimessa laterale, dove Camara è stato un incubo per gli Azzurri, una grande solidità difensiva (37 placcaggi, un solo placcaggio sbagliato in 3 partite) e un gioco offensivo frizzante, dato dall’unione della sua grande mobilità, dell’importante stazza fisica, e della capacità di riciclare il pallone per i compagni. La statistica più importante di Francia-Italia sono infatti i 5 offloads che Camara ha saputo far registrare. Una cifra non da poco.

“Yacouba si è ormai affermato. Con un po’ più di vissuto e un po’ più d’esperienza, sono convinto che farà ancora meglio. Ha dimostrato di poter diventare imprescindibile per questa squadra. Con Lauret, che è prezioso per rallentare o rubare qualche pallone, fanno una coppia perfetta.” Parola di Thomas Lièvremont, uno che di terza linea se ne intende.

Daniele Pansardi
Lorenzo Calamai

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