Le scelte criticate di Jones, una panchina inglese meno efficace del solito e la bravura scozzese nei punti d’incontro
Dal fischio finale di sabato scorso qua in Inghilterra non si parla di altro. La vittoria di Edimburgo della Scozia ha creato scompiglio e generato le prime critiche nei confronti della gestione Eddie Jones. Certo, la stampa non ci è andata giù pesante e i numeri del dopo Mondiale 2015 sono impressionanti: questa è la seconda sconfitta in 26 partite. Si iniziano però ad evidenziare alcune criticità che riguardano in particolare due settori: scelte tecniche e metodologia di allenamento.
Le critiche alle scelte di Jones
Sotto la lente d’ingrandimento c’è capitan Dylan Hartley. Le sue doti di leadership sono una certezza, è rispettato dai giocatori e da sabato scorso è il secondo giocatore di sempre per presenze dopo aver scavalcato un monumento come Jonny Wilkinson. Ha un’esperienza enorme, però si mette in discussione il suo apporto fisico e tecnico in campo. Eddie Jones ripete che ha bisogno del suo rigore e della sua presenza, ma dal punto di vista della performance non mancano le critiche.
Altro punto interrogativo è la scelta di Ford e Brown: in molti vorrebbero vorrebbe vedere Farrell mediano di apertura con Te’o o Tuilagi primo centro e Watson estremo. In questo momento l’Inghilterra soffre molto l’assenza di Billy Vunipola, il cui apporto fisico oggi non ha eguali: Hughes e Simmonds sono giocatori straordinari, ma il numero 8 dei Saracens quando è in campo è il vero punto di riferimento della squadra e nel suo ruolo oggi è probabilmente il migliore al mondo. Senza di lui, il faro della squadra è Farrell e schierarlo apertura potrebbe dare più sicurezza e riferimenti a tutti, oltre ad offrire soluzioni diverse in attacco. Contro la Scozia in un paio di occasioni è uscito male dalla linea e ha peccato di nervosismo, ma comunque sta giocando un gran Sei Nazioni e senza Vunipola è il riferimento.
Allenamenti sfiancanti
Il secondo aspetto di cui si è parlato è la durezza degli allenamenti. A Eddie Jones piace che i giocatori in settimana diano tutto: a novembre ho avuto la fortuna di assistere ad un allenamento dell’Inghilterra e il livello era superiore a quello di una partita. Un’ora intensissima, senza pause, corse, placcaggi, scatti, ritmo incredibile. Ma se si pensa che alcuni di quei giocatori sono reduci dal tour dei Lions, si capisce forse come mai alcuni, per esempio Itoje, siano calati nel rendimento. Per qualcuno la settimana di avvicinamento e preparazione alla partita è troppo dura, poi i giocatori arrivano stanchi e sabato contro la Scozia in parte si è visto. L’unica cosa che mi sento di dire è che umanamente il rugby odierno non ti permette di essere sempre al tuo 100%, perché è fisicamente impossibile e i tempi di recupero e riposo devono essere superiori rispetto al passato.
Può essere un discorso di campionato nazionale? Certamente. Nel Pro14 ti puoi permettere di non schierare sempre la tua formazione tipo, in Francia e Inghilterra ogni partita è durissima e potenzialmente decisiva. Ma soprattutto la gestione dei giocatori gallesi e irlandesi è stabilita dal dual contract e la federazione ha un peso enorme nei loro minutaggi, che sono organizzati in funzione delle finestre internazionali e delle partite importanti di coppa e campionato. E non è un caso che l’Inghilterra abbia qualificato un’unica squadra, i Saracens, ai quarti di Champions Cup.
Dove ha vinto la Scozia?
Per entrare invece un po’ più nel dettaglio tecnico della partita, credo che la Scozia l’abbia vinta sul breakdown. Il lavoro delle terze linee scozzesi è stato incredibile, sempre presenti e sempre dominanti, come testimonia il dato di 15 turnover prodotti nei pressi dei punti d’incontro. E poi c’è la splendida partita di Russell e Huw Jones. Russell in particolare è stato criticato pesantemente dopo le prime due partite ma ha reagito alla grande dimostrando forte personalità: quel passaggio per Huw Jones, passato a 30 centimetri dall’intercetto di Joseph, è fenomenale e dimostra tecnica, ma anche confidenza e lettura.
Non credo insomma che l’Inghilterra abbia peccato di presunzione o abbia sottovalutato l’avversario. Si aspettavano una partita molto difficile, e se la Scozia alla ferocia e alla passione aggiunge un’esecuzione pressoché perfetta, diventa una squadra in grado davvero di far male a chiunque. Quel giorno la Scozia è stata migliore dell’Inghilterra, senza se e senza ma.
Rispetto ad altre partite è mancato l’apporto della panchina. Siamo abituati ad un’Inghilterra che all’ora di gioco, dopo aver sfiancato l’avversario, manda dentro i finishers per, appunto, finirlo e ammazzare la partita. In questa strategia è fondamentale il ruolo di Danny Care, capace di accelerare il ritmo con la sua velocità e il timing di uscita della palla. Adesso con Young infortunato e Care titolare, dalla panchina entra Wigglesworth che è più un gestore e controllore del gioco, grazie anche al buon uso del piede dalla base. Contro la Scozia è proprio mancato questo ultimo ‘solito’ quarto di gioco: e il risultato non era già in cassaforte, perché ci vogliono 5 minuti per segnare due mete, ad ogni livello.
Cosa resta all’Inghilterra
Comunque, non credo che la sconfitta lascerà scorie anche in vista del Mondiale. Eddie Jones si è assunto tutte le responsabilità, dicendo di non aver preparato bene la squadra e levando pressione dalle spalle dei giocatori. Mi è piaciuta molto una sua frase: “Le migliori lezioni sono quelle che non vorresti mai ricevere”. Trarrà il meglio dalla sconfitta e tutti reagiranno in modo adeguato. Contro la Francia tornerà probabilmente Daly, ma non mi aspetto grandi stravolgimenti nella formazione: porterà avanti la sua idea di gioco, anche se qualcuno vorrebbe vedere in campo altri giocatori.
Andrea Masi
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