La situazione del movimento e quello che succede in campo sono temi legati tra loro ma differenti
Al sollevare del Trofeo Garibaldi da parte di Guilhem Guirado al termine di Francia-Italia, al di qua delle Alpi era già partito il fuoco incrociato delle critiche da parte di stampa e tifosi verso una nazionale italiana incapace di rimanere anche solo in partita fino al termine del tempo a disposizione. Una nuova sconfitta con più di trenta punti subiti aveva immensamente deluso il pubblico azzurro.
Adesso che il polverone sulla partita di Marsiglia sembra essersi placato, e le cose possono essere messe in prospettiva, c’è da fare un doveroso distinguo: non possiamo confondere le prestazioni della squadra con le condizioni del movimento ovale italiano.
È chiaro che si tratta di due temi legati da un rapporto di consequenzialità, ma che devono essere giudicati in maniera separata, pena qualche equivoco di troppo.
Una sconfitta più dolorosa delle altre
Aveva ragione Conor O’Shea, quando ha ripetuto più volte: “Se Inghilterra e Irlanda giocano al meglio delle loro possibilità, vinceranno la partita”. E’ quello che è accaduto, ed è anche il motivo per cui, dopo la pesante sconfitta a Dublino, ci sono state critiche ma tutto sommato la fiducia nella nazionale azzurra è rimasta immutata. Ci aspettavamo una sconfitta e sconfitta è stata.
Contro la Francia il contesto è stato diverso. Certo l’Italia partiva sfavorita, ma la sconfitta di Marsiglia è stata dolorosa perché di fronte avevamo una squadra con dei problemi, vistosi e messi in mostra anche durante l’incontro. La Francia di Jacques Brunel ci ha fatto credere che avremmo potuto competere per vincere la partita. E invece ci siamo ritrovati con un punteggio finale non molto diverso da quello a cui siamo abituati.
E’ legittimo a questo punto ritenere che questa nazionale italiana, con i propri limiti e le proprie ovvie e oramai certificate difficoltà, possa essere meglio di così. Quella di Marsiglia era una partita che poteva essere alla portata della nostra nazionale se la prestazione fosse stata migliore.
Ma in una partita dove l’ha spuntata la squadra capace di fare meno errori, l’Italia è mancata sulle basi. Non è mai riuscita ad avere continuativamente il possesso del pallone, in particolar modo nella prima parte del secondo tempo, quando la partita si decideva. Le fasi di conquista sono state perdenti: la mischia ha sofferto per tutta la partita ed ha concesso un discreto numero di calci di punizione, mentre la rimessa laterale ha sbagliato tre lanci, fra cui quello che ha innescato l’azione della seconda meta francese, quella di Bonneval che ha spaccato la partita.
Nei punti d’incontro l’Italia non è stata mai in grado di impensierire il possesso avversario, che ha concesso la maggior parte dei propri turnovers per errori gestuali. Al contrario, nei rari momenti in cui il pallone era in mano azzurra siamo stati frequentemente sotto la pressione francese in ruck, concedendo alcuni recuperi decisivi come quello di Wenceslas Lauret dopo il gran break di Negri, la migliore e praticamente unica occasione di portare a casa dei punti avuta dagli Azzurri quando la partita era ancora sul 14 a 10 e quindi aperta.
Un possesso così ridotto (37% secondo i dati ESPN) per una nazionale dalle evidenti lacune in fase difensiva è logicamente letale. Costretti a 229 placcaggi, gli Azzurri ne hanno sbagliati 24.
Proprio il placcaggio, come già evidenziato contro Inghilterra e Irlanda, sembra essere il tallone d’Achille della nazionale italiana, che anche quando riesce a completare il gesto tecnico è difficilmente avanzante. La linea difensiva subisce sempre la percussione avversaria, concedendo metri e campo agli avversari e mettendosi sempre in difficoltà. Così, può accadere che una decisione inizialmente sbagliata come quella di Mathieu Bastareaud di non passare il pallone e andare a contatto si tramuti in una occasione da meta, sfruttata poi grazie ad un pregevole gesto tecnico dello stesso Bastareaud nel dare continuità all’azione con un difficile sottomano.
Eppur si muove
Le ragione per cui la partita di Marsiglia è stata persa sono quindi evidenti e contingenti rispetto a quanto espresso sul rettangolo di gioco. Non scopriamo certo a fine febbraio che il movimento azzurro è stato fino ad oggi insufficiente nella costruzione di una nazionale competitiva a livello di Sei Nazioni.
Era così prima che iniziasse il Sei Nazioni 2018, era così lo scorso anno ed era così anche nel 2013 quando abbiamo vinto due partite e abbiamo probabilmente disputato il miglior torneo dal nostro ingresso. Quella persa a Marsiglia è stata una partita giocata male da un gruppo di giocatori figli di un movimento che sta cambiando, sia sotto il punto di vista generazionale che sotto il punto di vista della crescita dei propri giocatori.
La filiera italiana ha infatti stentato per alcuni anni, ma sembra aver accelerato il proprio passo in tempi recenti. Non a caso le recenti migliori notizie azzurre arrivano dai giocatori più giovani, come ad esempio Minozzi e Negri, rispettivamente classe ’96 e ’94.
La nazionale non ha ancora risentito dell’onda lunga che ha invece investito i club di Pro14, il cui miglioramento è sotto gli occhi di tutti, anche e soprattutto dal punto di vista dei risultati, ma è stato anche certificato a più riprese dalla stampa estera e anglosassone, non necessariamente sempre clemente con l’Italia.
Il movimento italiano si trova su una china difficile e impervia. Tanto lavoro c’è ancora da fare, ma finalmente sembra che una strada sia stata imboccata. È giusto chiedere di meglio di quanto visto a Marsiglia perché conosciamo il valore dei nostri e sappiamo di poter essere migliori di così, ma per avere i frutti del lavoro che viene fatto dietro le quinte del palcoscenico più importante ci vorrà un po’ di pazienza. La situazione somiglia per certi versi e con le dovute proporzioni a quella del 2003, quando John Kirwan operò un necessario ricambio generazionale pur passando per risultati non eccellenti e da diverse critiche al suo operato.
Da O’Shea ad Aboud, tutti coloro che stanno lavorando per migliorare la condizione del movimento ovale italiano meritano di essere giudicati per il loro lavoro lasciandogli ancora del tempo a disposizione.
Sotto con i Dragoni
Intanto però il Sei Nazioni va avanti e la partita di domenica prossima a Cardiff incombe, portando con sé una nube di curiosità e interesse per le novità che le due squadre potranno portare in campo.
Di novità si è infarcito il Galles di Warren Gatland, autore di ben dieci cambi rispetto all’ultimo XV sceso in campo contro l’Irlanda, in una sorta di terrazza sul futuro della nazionale gallese.
L’intento del neozelandese è infatti quello di ampliare sempre di più l’arsenale delle proprie scelte in vista dell’obiettivo dichiarato: la Rugby World Cup 2019. A Sei Nazioni ormai andato, qualche esperimento nel match casalingo contro l’Italia è un lusso che Gatland ha deciso di permettersi.
Dentro allora James Davies in terza linea, al fianco di un Faletau che indossa la fascia di capitano e con Tipuric a completare il lotto, per un reparto davvero atipico, molto mobile, capace di giocare il pallone e di mettere nei guai gli Azzurri al breakdown. Elliot Dee riceverà il suo primo cap da titolare in prima linea.
Nel reparto arretrato tutta la fantasia di Gareth Anscombe, che in qualche modo sembra aver sopravanzato Rhys Patchell nelle gerarchie, con Liam Williams finalmente estremo. Una formazione bersagliera, che vuole correre e avrà voglia di giocare da ogni parte del campo. Una ricetta che è spesso stata indigesta per gli Azzurri.
Mettiamoci inoltre l’ingrediente della fame che avranno coloro ai quali Gatland ha finora dato meno possibilità, nella cornice infuocata del Millennium Stadium. Una partita che per giocatori e pubblico poteva essere sottovalutata e presa sottogamba diventa così motivo di interesse ed eccitazione. Al tempo stesso, una formazione piena di giocatori dalla notevole esperienza come lo stesso Faletau, Bradley Davies, George North.
Da parte sua Conor O’Shea ha già fatto alcune scelte, lasciando ad esempio a casa Tommaso Boni ed inserendo per la prima volta nel gruppo dei convocati Giulio Bisegni. Tutti gli indizi indicano che le ottime prestazione con le Zebre potrebbero venire premiate da una sua selezione a secondo centro al fianco di Castello.
Per fronteggiare questo Galles, che ha battagliato ad armi pari in Irlanda e in Inghilterra pur uscendo sconfitto dai due confronti, l’Italia deve giocare una partita chiusa, cercando di dominare il più possibile possesso e territorio. La partita si vince là davanti, giocandola sul piano fisico. Dobbiamo, insomma, invertire la tendenza e cancellare, una volta di più, la partita di Marsiglia.
Lorenzo Calamai
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