Non il migliore dei Sei Nazioni per il capitano azzurro, che però rimane un patrimonio azzurro, nonostante le statistiche
In occasione del suo centotrentatreesimo cap in maglia azzurra, Sergio Parisse ha ottenuto non solo il record per il maggior numero di presenze al Sei Nazioni (65, condiviso con Brian O’Driscoll), ma anche il meno lusinghiero traguardo delle cento sconfitte in Nazionale, tariffa dovuta proprio alla sconfitta con la Scozia, che è stata anche la diciassettesima sconfitta consecutiva nel Sei Nazioni per l’Italia.
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Se il capitano continuerà a giocare, come previsto, almeno fino alla prossima Rugby World Cup, la centesima probabilmente non sarà l’ultima sconfitta che dovrà annoverare nel suo ruolino di marcia con la maglia dell’Italia, ma il titolo che gli conferisce la statistica, quello cioè di giocatore più perdente nella storia del rugby internazionale, non è un marchio che dovrebbe condizionare l’importanza che la figura di Parisse ha avuto nell’ultimo decennio e più dell’ovale azzurro.
“Ho detto a questi ragazzi: assorbite tutto quello che potete da lui perché avete solamente un altro anno e mezzo di lui” ha detto Conor O’Shea. Le sue parole sono riportate in un interessante pezzo nella versione online del Telegraph, quotidiano britannico fra i più attenti e autorevoli sulle vicende della palla ovale, che si intitola eloquentemente Le 100 sconfitte di Sergio Parisse non saranno la sua eredità, è la cosa più vicina ad una squadra fatta da un sol uomo nel rugby.
Per farla breve, la brillante penna di Daniel Schofield, una delle firme più importanti delle pagine sportive del Telegraph, sostiene che il rugby italiano non dovrebbe concentrarsi sulle 100 sconfitte di Parisse, ma piuttosto fargli un monumento per tutto quello che per il rugby italiano ha fatto.
Una tesi che, sebbene eccessivamente ingenerosa nei confronti dei tanti che hanno affiancato Sergio Parisse in questi anni con la maglia azzurra, dimenticando che il rugby si gioca sempre, ma proprio sempre, in quindici (anzi in ventitré) è tutto sommato condivisibile e le critiche che il capitano della nazionale italiana ha ricevuto durante questo Sei Nazioni e in occasione di altri brutti momenti del nostro rugby sono perlopiù immeritate.
Francamente, non è stato questo il miglior Sei Nazioni di Sergio Parisse. Qualche errore di troppo, anche in alcuni momenti clou della gara contro la Scozia, ne ha adombrato le prestazioni. Come tutti i grandi giocatori, Parisse è il primo a sapere quando non ha reso come avrebbe voluto e a esigere di più da sé stesso. Inoltre sicuramente l’età e i chilometri fatti cominciano a farsi sentire per tutti, anche per i supereroi, come certe volte Parisse ha cercato di essere per la Nazionale, caricandosi di un peso eccessivo da portare sulle proprie spalle, a discapito della fiducia nei propri compagni.
Una sua epurazione o una marginalizzazione del suo compito, come da diverse parti si sente acclamare, rimangono però una circostanza impraticabile nel breve periodo.
Quello che troppo spesso ci si scorda è che dall’altra parte della statistica delle 100 sconfitte ci sono 33 vittorie, una cifra raggiunta solamente da Alessandro Troncon prima che da Sergio Parisse con la maglia azzurra; dall’altra parte degli errori con la palla in mano contro la Scozia ci sono 22 placcaggi fatti, con 0 errori, in una squadra che ha difficoltà difensive; c’è la verità che Parisse rimane a 34 anni un giocatore speciale (costantemente il secondo distributore di palloni per l’Italia, misurato come numero di passaggi effettuati) al quale l’Italia non ha ancora trovato un sostituto comprovato, nonostante le belle speranze di una terza linea che sta guadagnando in livello e profondità.
Indipendentemente dalle 100 sconfitte, quindi, il vero lavoro per Sergio Parisse comincia adesso: quello di lasciare, con i suoi ultimi probabili 18 mesi in azzurro, il sentiero tracciato per coloro che verranno, per i Negri, i Polledri e i Licata che sgomitano per esserne i successori. E di questo lavoro, tanto Parisse ne ha già fatto nelle scorse 100 sconfitte.
Lorenzo Calamai
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