L’ex apertura inglese racconta le sue fragilità mentali legate al campo
A distanza di anni Jonny Wilkinson ha deciso di tirare fuori uno scheletro piuttosto pesante dall’armadio. Anche un totem come lui ha sofferto di “demoni mentali” (così come sono stati definiti), nel corso della carriera ovale.
Nonostante gli innumerevoli trofei, fra cui anche la World Cup 2003 con l’Inghilterra che lo ha letteralmente consegnato alla leggenda di questo sport, l’apertura britannica ha deciso di confessare ciò che gli succedeva poco prima di entrare in campo, in diverse situazioni sia con i club sia con la nazionale.
“Con Tolone – esordisce – mi chiudevo in uno stanzino del bagno dello spogliatoio in modo che nessuno potesse vedere cosa stavo facendo: cercare di chiamare Dave, il mio guru motivazionale. La squadra intanto era fuori che mi aspettava. Avevo il compito di fare il discorso motivazionale per la partita, anche se pochi attimi prima ero in bagno a piangere e a tremare”.
“Ho avuto problemi psicologici per tutta la mia vita – continua Wilkinson – ci sono stati momenti, in Inghilterra, in cui sono stato a tanto così dal mollare tutto dicendo ai miei allenatori che non potevo giocare. Una sensazione di puro panico e caos interiore. Ero ansioso: perchè avevo bisogno di sapere che tutto sarebbe andato come volevo.
Eppure avevo tutto, non c’era motivo di non essere felici”.
Infine conclude: “Lo sport, per sua natura, ti fa vivere costantemente tra due intervalli di giudizio: l’ultima partita che hai giocato e la prossima che devi disputare. Ci sono migliaia di persone che guardano, scrivono, ti chiedono una foto e lo fanno sempre sulla tua persona. E’ facile rafforzare la propria immagine su questo, ma può anche avvenire il contrario”.
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