Tributo alla leggenda sudafricana, una delle ali più prolifiche nella storia del rugby
Nella storia dello sport ci sono figure che lasciano un segno indelebile con il proprio passaggio. Atleti in grado di rivoluzionare completamente l’antologia di una disciplina con le emozioni che sanno suscitare, ancor prima che con i trofei vinti. Bryan Gary Habana, senza ombra di dubbio, è stato uno di quegli sportivi capaci di inserire nello spartito ovale degli ultimi lustri una nota emozionale tutta sua, diversa da quelle abituali.
L’icona sudafricana ha regalato, per oltre una dozzina di anni, giocate superbe a qualsiasi latitudine, elettrizzando migliaia di fan con il suo sconvolgente mix di accelerazione e resistenza alla velocità, unico nel panorama rugbistico, anche a livello mondiale.
Ha stregato, sin da giovanissimo, il proprio paese, conquistandosi in tempi celeri (l’esordio avvenne nel 2004) una maglia della propria gloriosa nazionale (onorata con classe, orgoglio e dignità in 124 match, conditi da 67 mete), ha trionfato a livello di club tra le praterie dell’emisfero sud con i suoi Bulls (prendendosi da grande protagonista 2 Super Rugby) e pure in trincea, su quei campi al di sopra dell’equatore pieni di trappole tattiche, brillantemente evitate dal nativo di Benoni, in grado di trascinare il proprio Tolone a successi enormi attorno alla metà di questo decennio (2 Champions Cup, e pure un titolo transalpino, per gradire).
Già, negli occhi, forse per un discorso meramente temporale, abbiamo il suo ultimo scorcio di carriera sul litorale mediterraneo francese, eppure sul “disco di Platino Bryan Habana” (migliaia i biglietti per gare delle proprie squadre venduti grazie alla sua presenza), i brani migliori, molto probabilmente, sono quelli legati a doppia mandata alla Rugby World Cup.
Una manifestazione dal respiro globale, che porta sugli spalti miriadi di persone ed incolla davanti alle tv milioni di spettatori, anche novelli, per assistere alle giocate dei migliori rugbisti provenienti da ogni landa del pianeta. Un torneo che Bryan ha vinto nel 2007, consacrandosi come fuoriclasse assoluto, una competizione che lo ha visto entrare nella leggenda 3 anni fa, quando ha raggiunto a quota 15, in vetta alla classifica dei migliori marcatori di mete, una divinità del gioco come Jonah Lomu.
A poche ore dall’annuncio del suo ritiro, impossibile, dunque, scegliere un tributo migliore per Bryan Habana delle sue 15 straordinarie marcature pesanti in ambito Coppa del Mondo. Ognuna vanta una scanalatura emozionale diversa, di nuovo, tutta sua, ma forse non serve nemmeno risottolinearlo.
Matteo Viscardi
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