Il coach inglese, dopo il fallimento della Coppa del Mondo 2015, ha avuto una grande influenza sul successo europeo del Leinster
“Ciò che è successo l’anno scorso non scomparirà dalle teste di chi l’ha vissuto: giocatori, allenatori e staff. Ma io voglio guardare avanti”. Stuart Lancaster, un mese dopo essere diventato uno dei tecnici del Leinster nel settembre 2016, non si era nascosto: l’eliminazione dell’Inghilterra dalla Coppa del Mondo casalinga del resto rimarrà marchiata a fuoco nella mente dell’allenatore di quella nazionale, inesorabilmente diventato il primo colpevole agli occhi del pubblico e dei media.
Nel periodo compreso tra il suo licenziamento, annunciato nel novembre 2015, e lo sbarco a Dublino per affiancare Leo Cullen alla guida della provincia irlandese, attorno a Lancaster comincia a circolare ogni tipo di voce: un incarico in Giappone, la sostituzione di Conor O’Shea agli Harlequins, un’avventura nel Super Rugby in Australia o Nuova Zelanda… Di concreto, alla fine, ci sarà soltanto una collaborazione con una squadra di football americano e nulla più.
Trasferirsi nell’Emisfero Sud non resta che un’ipotesi, perché – come dirà lui – “ho capito che l’avventura nel Super Rugby non è così facile, soprattutto a livello familiare”. Lancaster, forse consapevole di dover ripartire da un ambiente quantomeno diverso da quello inglese, vira allora verso l’isola di smeraldo, per ricoprire un ruolo di primo piano in una delle squadre più importanti d’Europa ma che, allo stesso tempo, gli consenta di restare nell’ombra, o comunque un passo indietro rispetto a Leo Cullen. Non è l’head coach, ma solo uno dei senior coach.
A Dublino, insomma, Lancaster può occuparsi solo di insegnare rugby e di far crescere i giovani, perché i compiti manageriali sono affidati all’ex seconda linea della franchigia. Due attività in cui il 48enne inglese, a prescindere dai risultati ottenuti sul campo, ha sempre eccelso. “Sta facendo una grande differenza, basta vedere come difendiamo. Ha portato idee fresche che ci hanno fatto migliorare”. Le parole sono di Jonathan Sexton, un mese e mezzo dopo l’ingresso di Lancaster nello staff tecnico, a dimostrazione di come l’IRFU e la provincia avessero operato una scelta oculata e ponderata: non solo nell’ingaggiare Lancaster, ma anche nel coprirgli le spalle e nel tenerlo in una sorta di comfort zone.
La stagione 2016/2017 del Leinster, però, finirà per somigliare molto ad uno qualunque dei Sei Nazioni dell’Inghilterra lancasterriana, sempre seconda tra il 2012 ed il 2015: eliminazione dalla Champions Cup in semifinale, eliminazione dal Pro12 in semifinale. Nel frattempo, a completare un quadro malinconico come l’espressione standard dell’ex terza linea, c’era un’Inghilterra capace di (ri)vincere il Sei Nazioni e additata da tutti come l’unica credibile alternativa agli All Blacks.
Ma se attorno alla nazionale inglese negli anni precedenti il clima era ansiogeno all’inverosimile, nella provincia di Dublino la doppia semifinale persa lasciava intravedere i segni di un progetto più grande e di sicuro avvenire. Senza troppi indugi, la dirigenza rinnova il contratto a tutto lo staff e costruisce una squadra strutturata in ogni minimo dettaglio, con un’Academy florida e capace di produrre talenti come James Ryan e Jordan Larmour, solo per citare gli ultimi in ordine di tempo.
Su chi abbia avuto ragione, due giorni dopo la finale del San Mamés a Bilbao, non c’è il minimo dubbio. L’organizzazione scientifica del Leinster ha portato i suoi frutti in Europa, con nove vittorie su nove partite e il quarto trionfo negli ultimi dieci anni in Champions Cup, ma il double con il Pro14 è tutt’altro che fuori portata per i commandos dublinesi. E il merito, stando a tutte le dichiarazioni dei protagonisti e alle voci provenienti dall’Irlanda, è anche – se non soprattutto – di chi ha portato nuove idee e strutturato alla perfezione il gioco della squadra: sì, proprio Stuart Lancaster.
“Se conosci il rugby e guardi quell’Inghilterra, capisci che [Lancaster] ha fatto un lavoro incredibile con quella nazionale – ha detto sempre Sexton nella conferenza stampa post partita a Bilbao – Quando era in carica, hanno vinto quattro gare su cinque al Sei Nazioni per due o tre anni di fila (quattro in realtà, ndr)”.
“Giocando con l’Irlanda contro le squadre allenate da lui, abbiamo capito che sono molto difficili da difendere. E anche molto difficili da attaccare. Ha ricoperto un grande ruolo in tutto ciò”.
Murray Kinsella, su The42.ie, scrive che data l’importanza di Lancaster negli allenamenti del martedì, dedicati a tattica e tecnica individuale, quelle sessioni sono state ribattezzate “Stuesdays”; un altro indizio della grande influenza del coach inglese su schemi, strategie e le impeccabili esecuzioni del Leinster.
C’è chi insinua che il vero allenatore del Leinster sia lui e non Leo Cullen, probabilmente per cercare di ridare ulteriore slancio ad una reputazione che sembrava rovinata per sempre a fine 2015. Lancaster non potrà mai cancellare il suo nome da quella disfatta, che forse lo condizionerà ancora per le scelte a venire, ma questa vittoria – anche personale – lo riabilita definitivamente agli occhi di tutti. E forse è solo il primo passo della redenzione.
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