Dal punto di vista tecnico, il torneo sembra aver trovato la giusta collocazione. Ma fuori dal campo lo scenario è ancora desolante
Il rugby italiano sembra vivere una nuova fase di consapevolezza, intesa come riconoscimento degli errori pregressi e individuazione delle strade più adeguate da seguire. Sta accadendo, in maniera più o meno accentuata, quasi a tutti i livelli: è facilmente riscontrabile nelle nazionali giovanili, nella crescita dei talenti di casa nostra e nelle franchigie del Pro14, meno nell’Italrugby di O’Shea e nel campionato di Eccellenza.
Il torneo italiano è ancora nella fase embrionale di questo processo di ravvedimento, per di più limitato a poche aree, ma la stagione 2017/2018 appena conclusa ha offerto alcuni barlumi di speranza per un futuro migliore sul medio/lungo termine. Si tratta di lumicini tenui e fiochi, ma rispetto all’oscurità totale in cui era piombata l’Eccellenza nel lustro precedente è comunque un passo in avanti.
Le ormai note (e famigerate, a seconda del punto di vista) luci in fondo ai tunnel rischiarano il livello tecnico complessivo del torneo e l’impiego dei giovani italiani da parte delle dieci squadre di Eccellenza. Di entrambi gli argomenti si può discutere in maniera finalmente positiva: impressioni e numeri restituiscono uno scenario più progressista e meno caduco, ma soprattutto offrono una collocazione più precisa al campionato all’interno della piramide rugbistica italiana. Che poi è quella che tutti, da otto anni a questa parte, auspicavano a gran voce.
Il coraggio di osare
Quando abbiamo intervistato Mattia Dolcetto, CT dell’Under 18, uno dei concetti più ricorrenti riguardava la preparazione dei giocatori “ad osare”, a non essere chiusi e mai conservatori. Se si sposta il focus sull’Eccellenza, il centro di questo discorso dovrebbe riguardare invece soprattutto gli allenatori, chiamati a non accontentarsi di un gioco sotto ritmo e prevalentemente fondato sul paradigma mischia>calcio di punizione>penaltouche>rolling maul.
In questo senso, l’ultima finale Scudetto può diventare un esempio da seguire: Marcato e Brunello non hanno snaturato le proprie squadre nonostante l’importanza della posta in palio, ma hanno mantenuto un approccio proattivo, volto a costruire e non a distruggere, in cui l’intensità – sia in attacco sia in difesa – non riguardava solo le collisioni. Di riflesso, la partita è stata godibile pur con qualche turnover di troppo, che comunque non ha intaccato più di tanto l’estetica generale del match.
Affinché l’Eccellenza prepari al meglio per lo step successivo del Pro14, dunque, sarebbe fondamentale che tutti gli allenatori si allineino a questi princìpi e che propongano – nei limiti delle possibilità fisiche e atletiche dei giocatori – un rugby più dinamico e moderno. Altrimenti, il campionato resterebbe avulso dalle linee guida dettate per questo sport negli ultimi tempi, rendendolo a quel punto ben poco utile alla causa.
La responsabilità, insomma, è soprattutto di chi sceglie strategie e schemi da far seguire in campo, nonché degli arbitri che dirigono le danze. La strada imboccata da una parte del gruppo di allenatori del campionato fa ben sperare, ma per far sì che l’Eccellenza si confermi come il torneo dedito alla crescita dei giovani è necessario che tuttò ciò diventi un circolo virtuoso.
Spazio agli Under
Anche perché tanti giovani, di fatto, arrivano in Eccellenza già abituati ad “osare” e a non avere troppi timori reverenziali nei confronti di un concetto più evoluzionistico del gioco. E considerando il cospicuo numero di Under 23 che affollano ormai il nostro campionato, diventa quantomai fondamentale che gli allenatori sappiano incanalare queste forze fresche nella giusta direzione, senza interrompere il percorso di crescita compiuto fino a quel momento.
Schierarli con continuità ha già rappresentato un notevole punto di partenza rispetto ad un decennio fa, quando l’Eccellenza probabilmente entrava nella sua fase oscurantista e nessuno riusciva a leggere i presagi funesti. Nell’edizione di marzo, Allrugby metteva in fila i numeri di questo cambiamento: nella stagione 2006/2007, gli Under 23 schierati in Eccellenza erano 73, per un totale di 567 cap; nel 2016/2017, sono stati 125 per un totale di 1163 presenze.
I ragazzi si ritagliano più facilmente un ruolo da protagonista – pensiamo a quelli di quest’anno: Lamaro, Fischetti, Cioffi, Cannone, Bianchi, Biondelli, Casilio… – perché sono più preparati rispetto ai ventenni delle generazioni precedenti, ragion per cui il numero degli stranieri pescati a caso in giro per il mondo può essere mantenuto basso.
L’ingresso nel Pro14 delle franchigie italiane avrebbe dovuto liberare spazio ai prodotti dei vivai/Accademie fin da subito, ma il processo non è stato così immediato e reattivo. La rotta giusta, ora, è stata trovata.
Ma non può bastare
Dal punto di vista tecnico e della gestione delle proprie risorse umane, dunque, l’Eccellenza sembra essersi tirata fuori dalle sabbie mobili. Il paziente ha dato segnali di risveglio, insomma, sebbene non riesca a camminare ancora sulle proprie gambe.
Parliamo pur sempre di un campionato in parte svalutato, all’ombra dei vertici rappresentati da Nazionale e Pro14, maltrattato dalla Federazione e in attesa di una Lega di club ancora tutta da scoprire e decifrare. E se perlomeno per lo sviluppo di gioco e giocatori il campionato si sta ricavando un proprio spazio non solo a parole ma anche con i fatti, nell’immaginario collettivo di tanti tifosi e appassionati non è lo stesso.
Ma qual è il problema principale? Lo Scudetto che vale di meno? (Ma sarà vero? Provate a chiederlo a Mattia Bellini, per esempio) Il fatto che i migliori rugbisti d’Italia non vi giochino? O il disinteresse della gente? L’unico punto interrogativo su cui Federazione e club possono realmente lavorare sembra uno solo: la riconquista del pubblico e la creazione di un prodotto meglio confezionato per tutti, che sappia attirare maggiore entusiasmo.
Se poi i segnali delle ultimissime stagioni dovessero diventare una tendenza ben delineata, una volta scartata la confezione il pubblico potrebbe non restare così deluso. Ma considerando le attuali desolanti condizioni, potrebbero volerci anni. Tanti anni. Anche riconoscendo i propri errori.
Daniele Pansardi
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